Filologia e libertà. Ovvero le sudate carte e gli eroi nascosti.

Riproduzione di antico documento da Fantasy Magazine

Uno sente dire: «È un filologo.» e subito pensa ad un topino grigio, chino sugli scartafacci da mattina a sera; un culo di pietra, come si diceva fra noi al liceo, di quelli che mai mettono fuori il muso dalla biblioteca, vivono una esistenza lontano dalla realtà e dai suoi problemi, ad occuparsi di virgole che mancano, a mettere parentesi quadre qui, per integrare, lì tonde, per togliere; che inanellano note a piè pagina e minuzie assortite, e hanno sempre a portata di mano una matita con la punta ben fatta, perché i filologi sono così, precisi e pallosi come poche cose al mondo. Uno pensa: «È un filologo.» e subito il corollario è: brav’uomo, ma votato ad un lavoro oscuro e sostanzialmente inutile, buono solo per quei quattro gatti, pazzi quanto lui, che vivono di diatribe da intellettuali, sepolti fra i libri, capaci di far le nottate per chiosare un passo sconosciuto di un autore più sconosciuto ancora. È un lavoro di lusso, il filologo, per eruditi un po’ fuori dal mondo, anzi, per gente che al mondo si disinteressa perché non ci sa stare. Avessi un figlio poco interessato alla cronaca, gli farei fare il filologo, ecco: un porto sicuro per la sua mente così poco adatta alle battaglie del quotidiano.

Poi si va in libreria, e, fra i nuovi arrivi, ti capita per le mani Filologia e Libertà, il nuovo saggio di Luciano Canfora (Mondadori, 2008), ed improvvisamente la prospettiva ti cambia. Perché Canfora, che è filologo (grande, e precisissimo, e magari anche un po’ monomaniaco, a volte, ma è il mestiere che rende tali) dei filologi in questo suo saggio dà un ritratto titanico, da eroi del nostro tempo. È una disamina, il libro, delle battaglie sostenute dai filologi, dalla riforma protestante in qua, per affermare il loro diritto a trattare i testi sacri per ciò che sono, testi appunto, e pertanto applicare ad essi quelle stesse regole di critica testuale che vengono applicati agli scritti di qualsiasi altro periodo ed autore. Una battaglia sorda, dura e lunghissima, portata avanti con le unghie e con i denti nel silenzio ovattato delle biblioteche e delle scuole di alti studi, nei corridoi delle Università cattoliche e protestanti, in cui il colpo mortale e la condanna che può determinare la chiusura di una carriera viene non da un pugnale ma dallo stilo, o dalla bolla papale e dall’enciclica che ti taccia senza appello di eresia.

Quando si dice che la Chiesa (che le chiese, anzi, a voler essere precisi) ostacolano la scienza, il pensiero corre a Galileo, o a Darwin; ma non meno tribolata fu la vita di chi rivendicò il diritto ed il dovere di leggere i testi sacri come un prodotto umano, e pertanto di considerarli soggetti a tutte quelle forme di fraintendimento e degenerazione che i prodotti umani subiscono. I filologi, in questo, sono più eversivi di Darwin: perché Darwin, da scienziato, non può escludere che, alla fine, persino la sua teoria evoluzionistica possa essere inglobata in una filosofia del disegno divino (difatti i sostenitori del disegno intelligente ci provano a incasellare l’evoluzionismo nelle loro elucubrazioni filosofiche). E i filologi no, vanno diritti alla giugulare, son più carogne: perché le religioni basate sulla rivelazione di un Libro sono destinate a cascare miseramente, nel momento in cui tu spieghi che la verità rivelata nel Libro non è fissa, ma passibile di infinite varianti, e che il Libro stesso, invece che essere verità rivelata, si è formato nel corso del tempo, a furia di aggiunte e manipolazioni del tutto umane. È come far cadere una casa assestando un colpo secco alle fondamenta: sbang, e i muri crollano di botto.

I Papi odiano i filologi, anche se, ormai, non lo possono più dire a piena voce, come in passato: ma li sorvegliano da vicino, tengono loro il fiato sul collo. Ma a odiare i i filologi sono tutte le autorità costituite, perché le autorità si costituiscono con le parole e sulle parole, usate come pietre angolari di verità, anzi, di Verità con la V maiuscola, unica ed indiscutibile. E i filologi, invece, le parole le trattano da parole, cioè si intestardiscono a fare ciò che gli altri cercano di non fare mai: leggerle, vagliarle, inserirle nel contesto in cui sono nate, scoprire cosa volessero dire veramente gli uomini che le avevano scritte in origine.

Le parole sono pietre, ma anche le pietre con il tempo si usurano, e poi c’è sempre qualcuno che le sposta, le riutilizza per fare qualcosa di nuovo, le sbreccia; e il filologo è lì, tignoso, che rintraccia le origini, segue le evoluzioni.

Non è bello il filologo, con il suo sguardo da topino miope, e il naso perennemente infossato nei libri, ad assorbirne la polvere e usmarne gli odori: non è aitante e ha poco dell’eroe. Ma alle volte la libertà nostra viene custodita e preservata da uomini apparentemente anonimi, difesa a spada tratta da eruditi che sembrano lontani mille miglia dalla capacità di battersi per qualcosa. Omini pacifici e inoffensivi, che poi però, al momento buono, con la punta dello stilo, colpiscono nel punto giusto.

I severi custodi della Tradizione sono lì, tutti una rodomondata a difendere la loro Verità inamovibile, e loro puffff, una punturella, gli sgonfiano il Libro come un palloncino, gli dimostrano, carte e manoscritti alla mano, che ogni libro è un prodotto umano e pertanto zeppo di imprecisioni, di tartagliamenti, di errori e revisioni, nonché di ritocchi attribuibili alle centinaia di persone che, nei secoli, ci han messo le mani sopra per pasticciare ulteriormente. Il filologo non ce l’ha con la religione e men che mai Dio; ma se gli si presenta qualcuno davanti che gli dice. «Io sono colui che sono», il filologo gli va controllare dove il tizio aveva messo le virgolette.

E il mondo ha bisogno, sempre e tanto, di gente che va a rivedere dove sono state messe le virgolette, o quando sono state aggiunte e da chi, senza badare alla pretesa autorità di chi ha pronunciato le parole.

14 Comments

  1. Ho sempre pensato che i veri eroi siano coloro che possiedono gli strumenti per interpretare e spiegare le finte verità (religiose e no) che da sempre vengono elargite al popolo.
    Questo, essenzialmente, dovrebbe essere il lavoro degli intellettuali. Ricordate Pasolini?
    Giovanni

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  2. I filologi dovrebbero essere messi su un’isola deserta e lasciati’ li, senza nemmeno la parabola di Sky.
    No dico, uno costruisce un ponderoso edificio tipo chesso’ la mistica occidentale, ecco lo costruisce sull’opera di un Grande, mettiamo Dionigi Areopagita. Poi arriva il topetto che tira fuoori una carta e mostra che in effetti Dionigi non poteva averle scritte quelle cose e che forse le ha scritte un amanuense anche un po’ sfigato. Ma scherziamo?! Di punto in bianco bisogna citare lo Pseudo-Dionigi, come fosse un mezzo fantasma! Di punto in bianco non si e’ piu’ sicuri di nulla! Si puo’ sempre chiosare “Lo ha detto lo pseudo-Dionigi”, ma non fa piu’ l’effetto di prima.
    Di questo passo non si avra’ piu’ nessuna certezza, nemmeno che Montale correva dietro alle donne, mica ai ballerini!
    Che miseria, che miseria.

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  3. Bel post! Concordo su tutto.. O quasi.
    In realtà l’unica pecca è che sembra che i filologi siano atei “a prescindere”.. E invece no, ci son fior fiore di studiosi e filologi anche credenti (e io ho avuto la fortuna di averne uno come insegnante). Ed è proprio lì che si sviluppa la “battaglia” che descrivi sopra, lo scontro a colpi di penna, traduzione e interpretazione.
    Bel post comunque!

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  4. Mi ha telefonato un filologo dicendo che ci sono 2 “i” ripetute nel quarto paragrafo. Gli ho risposto che aveva sbagliato numero.

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  5. Luciano Canfora si è peraltro, giusto ieri, guadagnato i galloni da maresciallo, avendo scoperto che nella versione di greco di Luciano di Samòstata mancava una parola.
    Ma siccome a scegliere i testi ci mandiamo certe signorotte che leggon seppie, ma capiscon finocchi……

    Inchino e baciamano

    Ghino La Ganga

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  6. Bellissimo post Galatea! Sono cose che ho sempre pensato e che non sono mai riuscito a dire così bene.

    Dò il mio contributo ricordando che la filologia moderna nasce con un attacco frontale alla Chiesa: la dimostrazione della falsità dell’Editto di Costantino.

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  7. @->Paolo: Guarda che nessuno sostiene che i filologi siano atei a prescindere, anzi Canfora parte proprio dalle battaglie sostenute dai filolologi credenti per guadagnarsi comunque il diritto alla libertà di pensiero.
    @->Ghino: Canfora è un grande. Mi spiace solo che a Rimini non sono riuscita a sentirlo parlare per motivi di treno. Quanto alle signore che preparano i testi per la maturità.. be’ lasciamo perdere. Si dedicassero allo shopping e lasciassero stare i testi letterari in qualsiasi lingua.

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  8. scusa l’OT, ma volevo soltanto dirti che sono davvero felice di poterti leggere di nuovo!!

    Tra l’altro lasciami dire che questo blog, a mio avviso, è molto pià bello del precedente! (se poi riuscissi, non so, magari smanettando col css, a levare il bordino nero alle immagini – come era nel vecchio blog – sarebbe davvero perfetto! 😀 )

    ora vado a studiare che a breve ci ho un esame terrificante… da luglio torno a impestare i tuoi commenti! 😉

    GG

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