Il Portavoce. Ritratto di un giovane che farà strada nel Pd.

bambino con il megafono

Il Portavoce è un ragazzone alto e tarosso. Più che un Portavoce sembra un armadio, di quelli che si parcheggiavano, un tempo, agli angoli delle vecchie case di campagna e rimanevano lì per sempre, anche perché nessuno riusciva a spostarli più.

Non che sia vecchio, il Portavoce, però fa di tutto per sembrarlo. Avrà la mia età, ma veste una giacca di un grigio così grigio che persino un ottantenne la giudicherebbe troppo seria, ha un maglioncino a girocollo color impiegatizio slavato, cravatta bigia, seri occhiali tondeggianti similoro, taglio di capelli severo, scrive solo con una penna stilografica e, quando non scrive, cincischia fra le mani una pipa.

Il Portavoce è portavoce del Partito Democratico al seguito di un onorevole margherito, ma attualmente, dopo la trombatura del suo datore di lavoro alle ultime elezioni (aveva ritentato la scalata alla Camera, ma le urne non gli sono state favorevoli e ora deve accontentarsi giusto della cucina di casa sua), è tornato in un istituto tecnico ad occuparsi con tristezza dei suoi studenti: tristezza reciproca, dato che gli studenti avevano sempre auspicato per lui una luminosa carriera, non foss’altro perché, fintanto che restava in politica, non andava ad addormentarli con le sue lezioni in classe.

Il Portavoce, non appena mi presentano a lui, mi guarda con sospetto, perché il mio ruolo in quella augusta compagnia non è chiaro, ed il Portavoce ha sempre paura che qualcuno aspiri a fregargli la carica di Portavoce, che attualmente è vacante, in quanto l’ex onorevole margherito non ha più alcuna voce da portare in giro, né alcuna funzione che giustifichi l’emissione, da parte sua, di una qualsiasi voce; ma nonostante il posto non vi sia più, il Portavoce sospetta a priori di tutti, perché oggi, è vero, il lavoro non c’è, ma per il futuro non si sa mai, ed è meglio pararsi in tempo, che siamo in un mondo di squali.

Siamo entrambi, ma per diversi motivi, ad un convegno, e la sera, dopo l’abbuffata di cultura, tocca pascersi di qualcosa che non siano colte polemiche; anche gli intellettuali, persino quelli di sinistra, mangiano, soprattutto dopo una giornata trascorsa a scannarsi sull’interpretazione di questo o quel reperto. Ma siccome gli intellettuali, soprattutto di sinistra, amano nel loro intimo l’avventura, non prenotano mai il ristorante, e questo può causare qualche problema, soprattutto se il convegno e gli scannamenti filologici finiscono di sabato sera, quasi alle nove, e tutto il resto del mondo, che di scannamenti filologici non si intriga, a quell’ora ha già occupato tavoli e sedie di ogni pizzeria, ristorante e bistrò possibili, e mangia, mentre noi non riusciamo a trovare un buco.

Vaghiamo così per le strade della amena cittadina, che è amena, ma a stomaco vuoto lo sembra assai di meno. I due Grandi Maestri (detto senza ironia, lo sono davvero), che aprono il corteo, al terzo tentativo si arrendono: i ristoranti che erano stati consigliati traboccano già tutti, e i maitre han fatto capire, con quella faccia di sufficienza arcigna che all’istituto alberghiero deve far parte delle materie di studio per maitre di sala, che non c’è nemmeno la speranza di un tavolo prima di un’ora.

Che si fa? Si digiuna? Il Grande Maestro n.1, da sempre dotato di maggior senso pratico del n.2, propone: «Be’ lì in quell’angolo c’è una insegna simpatica, andiamo a vedere?»

L’insegna è simpatica, in legno, e si rivela quella di una specie di bistrò con panche e tavolacci in bella vista: niente di che, sembra una cosa alla buona, ma magari un panino ce lo fanno. Il Portavoce, però, dopo una occhiata dal di fuori, storce la bocca: «Oh per carità, questi sono quelli del commercio equo e solidale! Fanno cucina etnica e non sai mai se garantiscono un minimo di igiene! Io di queste robe terzomondiste non mi fido.»

La faccia è altamente schifata, come quella di chi si aspetta che da un momento all’altro guizzino fuori dalla porta nugoli di scarafaggi; pericolosi, par di capire, non tanto per essere scarafaggi in sé, quanto perché di certo comunisti, venendo fuori da quel covo di sovversivi.

Il Grande Maestro n.1 non l’ha nemmeno sentito, il Portavoce, impegnato com’era a contrattare con il gestore, un ragazzo con barba dall’aria un po’ assopita. Con gran sollievo del Portavoce, però, la cosa non va in porto: il locale, quella sera, è tutto prenotato: gli scarafaggi terzomondisti paventati dal Portavoce sono già precettati ad assediare qualcun altro.

Si ricomincia a vagare, dunque, fintantoché una delle convitate, che è sempre stata una donna sveglia, propone: «E se andassimo al ristorante dell’albergo?»

Il ristorante dell’albergo è in effetti aperto, anzi spalancato, così pieno di vuoto che pare non aspettare che noi. Quando ci arriva il menù è chiaro che si tratta di uno di quei posti dove le porzioni sono omeopatiche ma compensate da nomi altisonanti: così il tempo perso a capire che diavolo di cibo stai ordinando si recupera quando si tratta di buttarlo giù. Il Portavoce, però, è soddisfatto: lo si evince da quella cosa che gli si stampa in viso, e che, se non è una paresi, dovrebbe essere una espressione quasi felice. Quando giunge la carta dei vini, se ne impossessa ed ordina, dopo lunga e sofferta meditazione, un non-so-cosa di non-so-che-anno: lascia cadere il nome dall’alto, quasi fosse una profezia di Fatima, e lo deve essere davvero, perché sul maitre ha lo stesso effetto di una rivelazione divina: annuisce serio e si allontana in retro schiena, comparendo poco dopo con una bottiglia ostentata come un bambingesù.

A cena il Portavoce mi studia, con una serie di domande mirate, solo in apparenza cortesemente banali: di estrazione è un margherito pure lui, quindi sono sibilate con bofonchio chiesastico e caramelloso retro sorriso da tombola in parrocchia; nel contempo tenta di decifrare le reazioni degli astanti, per capire in che rapporti sto con loro e, soprattutto, in che rapporti stanno loro con me. Non è chiaro, perché si accorge dal tono dei discorsi che con gli altri sono in buona familiarità, anche se gli sfugge la natura esatta della familiarità stessa, e questo lo manda in tilt, perché nulla spiazza più il Portavoce che il non capire se mi deve incensare o può mandarmi affanculo senza perder troppo tempo.

Di politica, però, si parla assai poco: c’è così poco da dire, di questi tempi, che tutti divaghiamo su altro. Ma il Portavoce è portavoce nell’anima: la sua è una vocazione, non un mestiere. E così quando il Grande Maestro n.1, pappandosi uno scampo, sbotta: «Be’, qua lo posso dire, che tanto a questo tavolo stiamo tutti dalla parte giusta…Oh io non lo so, ma guarda dove siamo andati a finire, che adesso è diventato un eroe persino uno stalliere mafioso! E lo dicono, pure!», lui non può tacere, non riesce a trattenersi: lo scampo che sta per addentare rimane a mezz’aria, e ribatte, con aria seria e puntualizzante:

«Be’, ma la dichiarazione andava letta nel senso che a Mangano sarebbe bastato fare il nome di Berlusconi per uscire di galera, perché i giudici volevano solo quello. In questo senso intendevano dire che non ha ceduto, si è comportato con onore, e in questo senso si intendeva dire che è un eroe…» e lancia a tutto il tavolo una occhiata di piccato risentimento, quasi l’oggetto dell’insinuazione non fosse stato Berlusconi, ma lui stesso.

Al Grande Maestro n.1 pure lo scampo resta a mezz’aria: lui, battagliero di natura e capace di divertirsi come pochi nell’incastrare sadicamente i nemici sfruttando i loro stessi errori, è di quelli che agli avversari non fanno sconti, per principio. Ma questo quando sa di essere in partibus infidelium: qui pensava di essere fra amici e praticamente a casa, e la timidezza che gli è propria, anche se nessuno gliela sospetta mai, lo blocca. Infatti, spiazzato, mi lancia uno sguardo basito, come a chiedere : «Cazzo, ma ho fatto una gaffe ed è passato dall’altra parte?»

Io scuoto la testa, per rassicuralo: tranquillo, non ha cambiato partito, piddino era e piddino resta. Solo che la politica dei blocchi contrapposti ha fatto il suo tempo, l’antiberlusconismo è, dicono quelli che se ne intendono, una roba passata di moda. Bisogna comprendere, dialogare, mediare, essere civili e cortesi, venire incontro con fair play all’avversario, capirne le esigenze, quando serve fornirgli gli assist e, già che si è là, anche invitarlo a cena in un bel ristorante cinque stelle, così ci si può beare a parlar delle comuni passioni, cioè i vini e il golf, perché via, siamo uomini di mondo, mica buzzurri proletari terzomondisti con le pezze al culo. La nuova era è degli uomini, pardon, dei ragazzoni come il Portavoce, che sono la futura luminosa classe dirigente del PD. Con loro, non vinceremo forse mai più le elezioni, temo, ma una soddisfazione ci resta: con nemici come noi, Berlusconi non ha nemmeno più bisogno di amici.

12 Comments

  1. Mmmhh…..
    A me i luoghi del racconto, ed almeno uno dei due grandi maestri descritti, suonano stranamente familiari…
    Mi sbaglio?

    Inchino e baciamano

    Ghino La Ganga

    "Mi piace"

  2. Ma si, basta con questi blocchi contrapposti, che sa di vetero-ammuffismo. Perché non facciamo un post con i valori condivisi? C’era anche una canzone di Silvestri: Le cose che abbiamo in comune…
    mmmm sta nascendo l’idea di un nuovo post….galatea, facciamo a chi fa prima?

    "Mi piace"

  3. @->Ghino: Chissà come mai ti suonano familiari, neh? 😀
    @->Vocidipopolo: possiamo anche scriverlo insieme, che dici?

    "Mi piace"

  4. L’espressione che più mi ha preoccupato in questo racconto è “qui stiamo tutti dalla parte giusta”. Se le parole fossero state “qui non c’è nessuno che stia dalla parte sbagliata”, non avrei avuto nulla da ridire… ma credere di stare “dalla parte giusta” è un sentimento che trovo, oggi e sempre, pericoloso.

    "Mi piace"

  5. A Napoli, Bassolino e’ diventato il portavoce di Berlusconi.
    A Roma, Berlusconi e’ diventato il portavoce di Bassolino.
    A Napoli daranno i soldi degli italiani, a Roma daremo indietro i soldi degli italiani…
    Da napoletano, mi sento vicino a Bossi.

    "Mi piace"

I commenti sono chiusi.