Una modesta proposta: a questo punto, la scuola aboliamola del tutto

Massì, in fondo, che volete che importi? Quindici giorni in meno di lezione, che saranno mai? Avete mai visto uno che si laurea in quindici giorni, che in quindici giorni scrive, chessò, un’opera fondamentale? Sì, vabbe’ giusto Mozart o Verdi. Ma quelli erano geni, mica si potrà far testo su di loro, adesso.

Madama Gelmini, stretta fra la pupa da allattare e Tremonti con le forbici in mano, una bella soluzione per far risparmiare soldi allo Stato e rilanciare nel contempo stesso l’economia l’ha trovata: la scuola si fa cominciare il 1 di ottobre. Geniale, strano che non ci abbiano pensato prima: stipendi dei supplenti annuali decurtati di una mensilità, importi dei contratti di manutenzione e pulizia,  nonché consistenti risparmi per luce e servizi. E poi, soprattutto, un mese in più di ferie ai pupi e ai loro genitori, i quali, secondo la logica ferrea di Madama Gelmini, potranno impiegare questo surplus di tempo libero girando allegramente per città d’arte o spiagge – rigorosamente italiane, per carità – e aiutare quindi il nostro turismo, così duramente provato dalla crisi. Del resto Madama Gelmini, lo aveva già ribadito con le sue precedenti interviste, vive in un mondo in cui tutte le famiglie hanno come massimo problema il fatto che vorrebbero andare via per il week end e, al pomeriggio, fare salutari sedute di shopping mentre i figli sono al corso di nuoto e di vela, ma talvolta tocca rinunciare perché ‘sti cani di professori comunisti si intignano a fare lezione. Al problema del tempo pieno e dei pomeriggi non disponibili, Madama aveva già ovviato, in pratica falcidiando le sezioni con rientro; al problema delle ferie settembrine di mamma e papà – si sa, settembre è il mese ideale per i Caraibi e le Maldive – ci pensa ora.

Non so cosa sia più sconfortante, in queste dichiarazioni, come nella proposta, lanciata qualche tempo fa da parte anche di seri rettori universitari, di abolire tout court l’ultimo anno di scuola, perché così i nostri ragazzi arriverebbero sul mercato del lavoro diciottenni, come gli altri ragazzi europei. Forse soprattutto il fatto di avvertire chiaramente in questi ragionamenti il totale disprezzo e la completa mancanza di fiducia che questi signori hanno nel nostro sistema scolastico.

Tagliamo ore di lezione, quindici giorni, un mese, tagliamo un anno: ma sì, che differenza vuoi che faccia? Tanto noi docenti a scuola mica insegniamo mai qualcosa, abbiamo dei programmi da portare a termine, spieghiamo o facciamo verifiche. Nell’immaginario collettivo di questi signori a scuola, in realtà, non si fa nulla, le ore sono una sorta di baby sitteraggio e di parcheggio per bimbi annoiati, piccoli delinquenti o casi sociali. Ormai questo paese ha assorbito al suo livello di coscienza più profondo l’idea che la scuola, tutta la scuola (ovviamente quella pubblica!), sia una specie di girone infernale che non produce nulla di utile alla società, ma serve solo a tenere per un determinato numero di anni i ragazzini lontani dai pericoli del mondo reale, si incarica di sorvegliare per un po’ di ore al giorno quelli che sono destinati comunque a creare disagio sociale. Tutto ciò che serve realmente nella vita si impara fuori, o a pagamento: sono gli stages nelle aziende, sono i corsi di lingue o i master fatti in istituti privati. La scuola è un parcheggio obbligato che dà, come contentino, un pezzo di carta certificante al massimo la costanza con cui si sono sprecati alcuni anni della propria vita fra i banchi. Un obbligo di legge da ottemperare, il prima possibile e con meno fatica si può. Nulla più.

Ci hanno così martellato per anni con la propaganda per la quale tutti i docenti sono fannulloni, ignoranti, incapaci, ci hanno così profondamente convinto che durante le ore di lezione nessuno faccia mai nulla, né insegnanti né alunni, salvo consumare atti di violenza sui compagni e filmarli per poi metterli su You Tube, che a questo punto proporre tagli di ore, di giorni, di interi anni passa via. Per chi ha alle spalle una famiglia benestante – o che ci tiene veramente – togliere ore a questo strazio inutile è un regalo, perché i figli saranno finalmente liberi di poter andare dove loro serve veramente, cioè ai corsi di lingua, di nuoto, ai camp settembrini all’estero dove a dieci anni insegnano loro economia e diritto; gli altri, quelli che non hanno alle spalle nulla, nemmeno i soldi per iscriversi al Grest della Parrocchia, non protesteranno, perché tanto anche loro sono convinti che quelle ore fra i banchi non diano nulla, siano una amena perdita di tempo che non qualifica e non apre nessuna strada. Tanto vale rimanerci davvero, per strada: si impara di più. Così tagliando ore, giorni, mesi ed anni pian piano si rosica la possibilità, per chi ha meno, di provare a tentare la scalata sociale attraverso la qualificazione scolastica; e in tutti si inculca l’idea che comunque studiare non serva a nulla, che sia comunque meglio, se te lo puoi permettere, andare a fare un bel giretto con mamma e papà sulla spiaggia, così almeno rendi felice l’albergatore e l’economia riparte. Per andare dove, non si sa. Ma queste sono domande che uno rischia di farsi quando è stato un pochino di più sui banchi.

33 Comments

  1. Acutissima analisi, come sempre. Niente da aggiungere, salvo che questo programma di progressivo annichilimento è in corso da tempo anche sull’università, così se qualcuno avesse studiato decentemente a scuola comunque da diciotto a chissà quanti anni sarebbe comunque costretto in un parcheggio sempre più privo di senso (salva la propaganda anti-professori portata avanti con equilibrio bipartisan). Così c’è più tempo per la televisione, della quale ormai il paese reale non è che il flebile specchio.

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  2. “Ci hanno così martellato per anni con la propaganda per la quale tutti i docenti sono fannulloni, ignoranti, incapaci, ci hanno così profondamente convinto che durante le ore di lezione nessuno faccia mai nulla, né insegnanti né alunni, salvo consumare atti di violenza sui compagni e filmarli per poi metterli su You Tube, che a questo punto proporre tagli di ore, di giorni, di interi anni passa via.”
    Lo dice anche un “esimio” insegnante di Latino e Greco! Il migliore insegnante di Latino e Greco dell’universo.
    😀

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  3. @Michele: il fatto è che, per anni, si sono continuati a riproporre in una scuola diventata ormai di massa, modelli di insegnamento che andavano bene per scuole dove la provenienza degli alunni era invece quella dell’élite. Visto che quelli non funzionavano, si è buttato tutto in vacca per un altro lungo periodo, promuovendo tutti e pensando che quello fosse un metodo democratico per garantire a tutti il “pezzo di carta”, dimenticando che così sarebbe finito per non valere nulla. Adesso siamo al peggio del peggio: si taglia e basta, fra lìaltro colpendo in questo modo proprio quei docenti e quegli istituti che invece hanno puntato ad assicurare la qualità. Vedo un luminoso futuro davanti a noi per le prossime generazioni. Come emigranti in Albania, per esempio.

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  4. Poi, a dirla tutta, nessuno pensa mai a tutte quelle povere istitutrici che sono rimaste senza lavoro quando la scuola è diventata popolare. Questa proposta risolverebbe anche il loro annoso problema. Brava!

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  5. E’ vero, dimenticavo anch’io le istitutrici! Alla luce di questa svolta, non posso che trovare il tuo post inutilmente polemico. Vuoi forse falciare una nuova generazione di Signorine Rottermayer (Rottenmeier, Rottermaier, non trovo nessuno concorde sulla giusta grafia) sul nascere?! 😉

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  6. Del resto dato che i modelli di riferimento sono Totti che studia al cepu, le veline che si acculturano a striscia la notizia, il grande fratello come luogo di riflessione, perchè mai continuare a perdere tempo su polverosi,insalubri e fatiscenti istituti scolastici? Oltretutto pieni di professoresse comuniste.

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  7. Ciao Galatea, io pur concordando sull’imbarazzante e preoccupante direzione che ha preso la scuola italiana non posso condividere del tutto il tuo post.

    La scuola, come altri campi, ha una limitazione abbastanza fondamentale, ovvero che non si possono fare previsioni troppo corrette sull’evoluzione di modifiche che si vogliano imprimergli. Togliere un anno, quindici giorni o quindici ore sono azioni che hanno certo un impatto, ma quale ? E non intendo in che direzione (meglio peggio), ma una valutazione più globale, più olistica.

    Giusto per fare un esempio chiarificatore, le tecnologie verdi per la generazione di energia elettrica non hanno una grande spinta perché il loro costo di produzione dell’elettricità è più alto rispetto a quello di bruciare petrolio (semplificando). Si può dire che il petrolio inquina, mentre (per esempio) il solare no, e quindi possiamo anche sobbarcarci la spesa maggiore perché di converso avremmo un ambiente meno inquinato. Ma non è così. Le parole sono belle, ma i numeri sono utili. Se la differenza di prezzo fosse dell’ordine di dieci a uno, con la differenza (cioé usando sempre il petrolio ed investendo parte della differenza) potremmo “pulire” i danni ambientali creati.

    Questa è una semplificazione forte del problema, ma quello che intendo dire, ricollegandomi all’argomento del post, è che togliere (o aggiungere) tempo all’istruzione ha degli effetti, ma è anche vero che c’è un bilanciamento ottimale di tempo e costi, infatti l’equazione più tempo = migliore istruzione è vera se non consideriamo i costi. Io non so se esistono studi ed eventualmente quali siano le conclusioni (e dubito fortemente che Mariastella ne abbia letti), ma la riduzione dell’orario in se e per se non può essere demonizzata perché (come effettivamente si pèuò presumere) diminuirà la forza formativa della scuola. Perché se si dicesse (e non accadrà mai, ma il mio discorso vuole un po’ staccarsi dal contesto specifico) che il risparmio servirà per dare un pc per bambino/pagare i libri scolastici di tutti/altri vantaggi, non sarebbe “meglio” ?

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  8. Da buon albergatore il proclama della Gelmini dovrebbe farmi sfregare le mani invece mi fa cadere le braccia…per l’ennesima volta. Sinceramente non mi interessa guadagnare due settimane di lavoro se la contropartita è un impulso allo sfascio (già abbondantemente “in progress”) di questo paese. A parte il fatto che, come giustamente fai notare anche tu, nessuno ci assicura che il bonus di vacanze venga speso in Italia, anche se così fosse un ministro dell’istruzione dovrebbe pensare ai benefici che la sua azione può portare al proprio ambito di competenze, non a quello di altri (poi penso a chi è a capo del ministero del turismo e mi viene da piangere…)

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  9. Sono d’accordo: quindici giorni in più o in meno possono fare la differenza.
    Infatti, limitatamente alla scuola pubblica che io conosco, per quanto riguarda alcuni professori (che non sono pochi e, inoltre, vagano inspiegabilmente a piede libero), meno mi tengono i miei due figli sui banchi delle medie meglio è.
    Naturalmente, mi auguro che la mia esperienza non rappresenti la media nazionale; altrimenti, signori, veramente scendiamo la gola sotto il livello del guano.

    Saluti

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  10. ecco, una proposta per i ricchi e per i poveri.
    per i ricchi, che così vanno in vacanza.
    per i poveri, che così sognano di andare in vacanza.
    perché, finalmente lo abbiamo capito, si vive per andare in vacanza, no?

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  11. @Icy stark: Facciamo un po’ di conti della serva: prima delle riforma Gelmini alle medie si facevano 11 ore di materie letterarie per classe, ora invece 9 a settimana. Il programma è invariato, ma in compenso è salito il tetto massimo di alunni per classe, che da 24 sono arrivati a 29/30 per classe. La qualità delle lezioni può essere la stessa? E anche la mera quantità di cose spiegate?
    Tagliamo 15 giorni di scuola. Prendiamo solo in esame le ore di grammatica. Serve la grammatica, giusto? A 3 ore di grammatica settimanali, fanno 9 ore perse. Come e quando le recupero? La storia che basta “ottimizzare” e investire sulla qualità del tempo oltre che sulla quantità è una bubbola quando ci si trova in queste situazioni. Per avere la “qualità” devo investire in tempo e risorse. Qua si taglia e basta, e tanti saluti.

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  12. @marcozifgim: Non dubito che “alcuni professori” siano delle ciofeche. Li abbiamo avuti tutti, e bisognerebbe trovare il metodo di evitare che quelli finissero in classe. Ma tagliando 15 giorni di scuola e basta, i tuoi figli finiscono anche per non fare le ore con gli altri professori, quelli che invece sono bravi e insegnano loro qualcosa. Risultato: i professori “ciofecanti” restano al loro posto e non fanno un cazzo felici e contenti, e i tuoi figli si perdono anche le ore dei prof bravi, e non avranno più occasione di recuperarle. Ottima soluzione, nevvero?

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  13. il problema è che davvero interi blocchi sociali, specie in alcune aree d’italia, considerano la scuola fondamentalmente inutile

    sinceramente credo che la scuola sia invece utilissima proprio in un momento come questo in cui c’è un grande sfilacciamento del corpo sociale, in un momento in cui per certi ragazzi non c’è che la scuola come luogo dove qualcuno, magari come può, si occupa di loro

    effettivamente c’è il problema, io sono un artigiano quindi sento nel mio ambiente anche pareri di questo tipo, che la scuola è vista più che altro come una forma di assistenza sociale, ma non verso i ragazzi, ma verso le tante persone che senza la scuola non avrebbero un lavoro; questo è parzialmente vero ma, la scuola serve ai ragazzi, eccome

    un mio amico è un professore di matematica, uno bravo davvero che, per scelta, anche se poteva andarsene tranquillo in un bel liceo classico, è rimasto in un istituto professionale della periferia di una grande città; e mi ha detto: se non ci penso io a questi ragazzi, chi ci pensa? sono del tutto abbandonati; ma lui, il mio amico, non ha figli, e forse vive il suo lavoro come una vera e propria missione

    professori fannulloni ce ne sono, ma ce ne sono anche così, persone che davvero rendono la scuola forse il luogo migliore della nostra scassata italia

    e invece di scuola ce ne sarebbe bisogno in modo enorme, non solo per i ragazzi, ma anche per tante persone adulte che andrebbero strappate al tritacarne del cervello che è la televisione commerciale

    io dico ai professori, lottate, lottate per salvare la scuola, non è più il tempo delle situazioni normali, è il tempo di difendere ad ogni costo la dignità di tutti, attraverso proprio la scuola

    è chiaro che la scuola pubblica efficiente, è il primo strumento del ricambio sociale, della libertà individuale, ed è per questo che la stanno uccidendo, e ci riusciranno, sicuramente; ma spero almeno che debbano faticare un pò, e non trovare i professori ormai rassegnati

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  14. “Li abbiamo avuti tutti, e bisognerebbe trovare il metodo di evitare che quelli finissero in classe”

    Dici niente.
    Purtroppo temo che i ciofecanti abbiano superato la soglia fisiologica tollerabile (forse già da parecchio tempo a questa parte?)
    Se tolgo i casi possibili in cui l’insegnante non è ben visto per il metodo di insegnamento adottato (ma qui cadiamo nell’opinabile), la mia esperienza attiva (sono del ’63) può annoverare rarissimi esempi di “casi umani”, la cui maggior parte concentrata negli ultimi anni di liceo.

    Magari è una coincidenza di fattori: io fortunato da ragazzino; i miei figli sfigati, oggi.
    E la differenza si sente.

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  15. @marcozifgin: per quanto posso invece dire della mia esperienza personale, sia come alunna che come insegnante, la percentuale di insegnanti veramente deleteri non è poi così tanto elevata, e non poi tanto differente dalla percentuale di cretini ed incompetenti che ho incontrato in altri settori (per esempio, nelle redazioni dei giornali). Va detto però che, taglia oggi taglia domani, è difficile che anche gli insegnanti bravi e coscienziosi possano fare molto. Vedi l’esempio di prima: se non ho più fisicamente le ore per insegnare in maniera abbastanza approfondita la grammatica, è difficile che i tuoi figli possano saperla come la sapevano i ragazzi delle generazioni precedenti, per quanto io mi ci impegni. Non è questione di fortuna tua e di sfiga dei tuoi figli: sono proprio le condizioni materiali che rendono impossibile ciò che una volta era normale.

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  16. Trovo la retorica antiscolastica fascista e incivile. Ne ho sentite troppe. Basta. Questa gente è mai stata in classe?

    Un giornalista si trova di fronte a venticinque tredicenni per parlare delle sue esperienze vissute in Africa, nella quale viaggia ormai da vent’anni. Sul grande schermo della lavagna magnetica cominciano ad apparire le diapositive che ha raccolto nel tempo; ce ne sono centocinquanta, se i ragazzi si perdono nelle sue parole possono trovare agio nelle immagini, strutture complesse nelle quali però anche cervelli poveri credono di potersi accomodare. Il giovane reporter dichiara di voler rovesciare l’immagine stereotipata del continente nero, interessante solo perché povero, sfortunato e premoderno. Inizia però con cifre che dovrebbero aizzare l’attenzione e provocare stupori: venticinquemilioni di malati di Hiv, i paesi più poveri del mondo nell’area sub sahariana, centinaia di morti al giorno per malattie curabili in Europa con qualche pastiglia. Le facce degli studenti rimangono immote e fisse, incapaci perfino di fingere, come se si trattassero di cifre trite o irreali. Il giornalista non sa che davanti a sé ha qualcuno che una settimana prima dell’incontro, solo per battuta, come se le battute fossero solo dono di sorrisi, e non sperpero di senso, pietrificazione di punti di vista, violenza rappresa, aveva fatto girare in classe un foglio che chiedeva una firma per proporre all’insegnante di geografia la geniale idea di asfaltare i nove milioni di chilometri quadrati del Sahara, che solo per la miserabile incapacità imprenditoriale degli africani è stato lasciato per secoli e secoli a poltrire sotto il sole senza dare nessun lavoro ai suoi residenti. Le diapositive scorrono, le spiegazioni ed i racconti pure, i ragazzi sonnecchiano sui banchi cercando un’evasione in tutto ciò che nelle immagini li restituisce al loro piccolo mondo di certezze tranquille: bambini che giocano a calcio con indosso le magliette di una nota squadra italiana; i seni di una donna che allatta, i muscoli di un giovane lavoratore, cellulari e solita tecnologia colonialista. Vedono questi segni familiari e riprendono fiato, si sollevano e non si sentono più spersi in un viaggio che non hanno scelto. Le ragazzine si mettono la mano davanti alla bocca quando commentano i pacchi dei neri che appaiono, i ragazzini cercano la Naomi che li salvi dal torpore. Si tratta dell’unica classe della scuola che per punizione non andrà in gita, di quella che per fama è la peggiore terza dell’istituto, della classe in cui quasi la metà dei componenti, almeno a mio avviso, non merita di stare in terza. In questa classe non si può leggere il manuale per più di cinque minuti, non si può interrogare perché i non interrogati ridurrebbero l’aula ad una giungla, non si può fare un discorso articolato senza essere prontamente interrotti. Gran parte del tempo della lezione viene speso per negoziare le regole minime di convivenza.
    Nelle pagelle del primo quadrimestre volevo che i voti negativi calassero come una scure sul lago ghiacciato della loro indifferenza. Degli alunni ma anche dei genitori. Undici insufficienze in Geografia. La collega più severa è stata quella di Musica, che ha regalato una serie di quattro e che l’anno prossimo va in pensione. La vicepreside, alla lettura dei voti di Musica, ha commentato: “Menomale che l’anno prossimo non ci sarà più!” Quando io ho provato a descriverle lo stato della classe mi ha illuminato con una frase taglia-gambe: “Quando un insegnante decide tutte queste insufficienze il fallimento è il suo!”. Tenendo conto che io ho una cattedra di due ore di Geografia ( sì, solo due ore) e che ho conosciuto questi ragazzi in terza, mi chiedo come avrei potuto NON fallire.

    Ecco, abbiamo clienti da sedurre. Garantiamo una scuola che esibisca mille “progetti”, gite, incontri e lasciamo perdere il plebeo nozionismo. Attiriamo le iscrizioni dei genitori pubblicizzando (in quelle farse che si chiamano “Open day”) un prodotto nel quale la certezza delle regole, a partire da quella che premia l’impegno e punisce la negligenza, non è un principio fondante. Non ci sono più gli esami di quinta elementare, non ci sono gli esami di riparazione nelle superiori, la riforma universitaria del 3/2 ha diminuito di molto le pagine da studiare, Tullio De Mauro da anni ci parla dell’analfabetismo di ritorno di una grande fetta della popolazI colleghi ti affibbiano la nomea di “cattivo” appena notano un’insufficienza su una tua verifica, per non parlare di quando la scorgono, oasi di verità in un deserto di arrendevolezza, nelle tabelle dei giudizi dei quadrimestri. “Quante insufficienze! Che nazista!” Per essere umani bisogna invece premiare la semplice presenza e il mancato abbandono scolastico, la riluttanza alla partecipazione alle risse, l’astensione dal ricoprire i docenti d’insulti e raggiri offensivi. Spesso l’accondiscendenza viene celata dietro una coltre di arroganti pre-giudizi sul ragazzo, reputato incapace di cambiare e di trasformarsi, responsabile per natura delle sue mende e dei suoi limiti, imprigionato a vita nel suo destino gramo di inabile al sapere. La certezza dell’immutabilità dell’alunno salva dalla fatica di affrontare una battaglia di minoranza, unici o rari sostenitori della sua intelligenza e della sua fuga dall’ignoranza preassegnata. Un conflitto perso in partenza soprattutto grazie ai potentissimi genitori, acerrimi nemici di ogni concezione che veda la rinuncia, il sacrificio ed il sacrosanto dolore come prezzi della formazione, necessari strumenti della costruzione di un carattere forte e indipendente, capace di pensare e non di assentire servilmente agli andazzi della maggioranza.
    Il concetto della pena legittima è ormai in via di ridefinizione, se non di palese abbandono, sostituito da una più pacifica e piacevole amnistia, con il suo necessario seguito di oblio delle identità, prescrizione dei reati, assoluzione delle responsabilità. Tutti devono essere aiutati e liberati dal castigo della valutazione negativa, demone da scacciare con tutte le forze della retorica mistificante. Ognuno ha la sua croce ed ogni croce permette e costringe alla giustificazione ed al proscioglimento da tutte le feroci aggressioni al tuo disperato amore per l’educazione culturale. Quello lì ha una famiglia che non ti dico, quell’altro non sai dove abita, l’altro ha i genitori separati, l’altro divorziati, l’altro troppo ricchi e indifferenti e se trovi qualcuno che non ha niente, qualcosa ci sarà, non si può sapere. Se non studia musica almeno sa ascoltare, se non studia geografia almeno sa orientarsi quando va in giro, se non sa niente del passato sa distinguere il prima e il poi; c’è sempre qualcosa per cui anche un dannato microdelinquente presuntuoso può essere lodato e premiato. Le iscrizioni devono aumentare, i genitori non devono lamentarsi, ed è già tanto se non ci troviamo le scuole chiuse perché non sono elette dal popolo!
    Bocciare non serve a nulla, punire non serve a nulla, vietato attribuire valutazioni basse o umilianti. Molti insegnanti sembrano non essersi mai accorti di quanto sia facile in questa società premiare il demerito dei figli di papà poltroni e privilegiati, di quanto sia facile diventare ricchi e invidiati con l’elusione delle norme e non in virtù del loro rispetto. Basta girare un po’ nelle scuole medie della Brianza, come io ho fatto, per notare un andazzo fondato sulla diminuzione dei carichi di lavoro, sulla fuga da ogni insuccesso, solennizzato e temuto come un tragico cataclisma da evitare a tutti i costi, sul primato della simpatia e della serenità sulla disciplina e sulla conoscenza. Se non crediamo più in una scuola come baluardo dei principi che vengono progressivamente logorati ed affossati dalla nostra società (il primato della conoscenza, l’amore per le cose belle anche se inutili, la certezza delle regole e delle pene, il senso dell’autorità), vorrei sapere in cosa crediamo. Stiamo costruendo una scuola che ammorbidisce l’impatto con la realtà, che allontana il discente dalla fatica e dal lavoro, dal disagio del non sapere e dalla fretta di superare l’ignoranza. Cerchiamo continuamente attenuanti e perdoni, tendiamo a diffidare della capacità degli alunni di fare qualcosa per se stessi. Bisogna essere simpatici ed istrioni, fondamentale concedere uno spazio allo svago ed alla distrazione dei poveri ragazzi, abituati ai tempi veloci dell’audiovisivo e disavvezzi a discorsi coerenti e argomentati in una corretta lingua italiana. Bandito è il senso dell’autorità, intransigente su ritardi, bugie astute, errori madornali, ignoranze abissali, furbizie precocemente para-mafiose, costanti tentativi di boicottare l’attività didattica. I poveri figlioli potrebbero continuare il loro indisturbato cammino imitativo della morale diffusa della notorietà e della ricchezza in cinque minuti, dell’ignoranza come valore e del cinismo furbo come mezzo di successo.

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  17. @GALATEA
    “Va detto però che, taglia oggi taglia domani, è difficile che anche gli insegnanti bravi e coscienziosi possano fare molto.”

    Sono consapevole che i problemi della scuola ricadono su chi ha le carte in regola per fare l’insegnante, e non mi aspetto certo che la categoria sia totalmente immune alla “ciofecheria”.
    Quello che fa letteralmente impallidire l’importanza della questione dei quindici giorni in più o in meno, è la presenza di personale che sa solo Zeus perché è lì (magari, con una particolare concentrazione nefasta dalle mie parti); vuoi per evidenti problemi caratteriali, vuoi per manifesta ignoranza e/o stupidità.
    C’è veramente da chiedersi “chi ha dato loro la patente”. E non sto a portare esempi, perché temo darebbero l’idea che mi invento le cose, tanto sono impensabili (e, se lo facessi, sembrerebbe sicuramente propaganda).
    Questo, come sintomo dello “smantellamento” della scuola pubblica, basta e avanza.

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  18. Parlo dal punto di vista di una 15enne, seconda superiore, che si è sorbita le riforme Moratti, Fioroni e infine Gelmini.
    Una peggio dell’altra, per arrivare all’apoteosi del “facciamo studiare il meno possibile, o il più a pagamento possibile”.

    Qui c’è davvero la volontà di far crescere generazioni di disoccupati (gli attuali precari) e ignoranti inconsapevoli (gli attuali studenti).
    Un popolo ignorante si governa meglio, se si vogliono fare i propri porci comodi.

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  19. Mah. Immaginatevi un marziano che viene e legge. Direbbe, ingenuamente: cacciate gli incompetenti, e vedrete saltar fuori i soldi. Troppo ingenui, questi marziani. Perché la successiva domanda sarebbe: ma come mai voi insegnanti competenti, voi genitori, voi contribuenti, preferite invece pagare lo stipendio agli incompetenti e iterare la sofferenza? domanda manifestamente marziana, che provocherebbe la cacciata del marziano, come quello di Flaiano, o il suo rogo, come succede a quel(*) Zapata di Voltaire, che fa anche lui troppe domande.

    (*)Essendo quella che segue una parola spagnola; altrimenti sarebbe “quello”.

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  20. L’istruzione è il futuro di una nazione, è un investimento a lungo termine. Non è facile progettare un investimento, né porta simpatie a livello politico, così il ministro risulta sempre impopolare.

    Ho studiato come progettista meccanico. È noto che un oggetto sottoposto ad uno stress usurante, la cui intensità non è conosciuta nel tempo, va sovradimensionato, cioè costruito più grande, più robusto. Peserà di più, sarà più lento nell’avviarsi, ma non si romperà mai.
    Quindi, nel dubbio, le dimensioni vanno aumentate, non diminuite.

    Un esempio di cattiva progettazione è perfettamente esposta dall’utente Icy stark che pretende di conoscere la matematica. Non si rende conto che i prezzi non dipendono dalla nostra volontà, ma soprattutto che quando il petrolio sarà finito, o avrà raggiunto prezzi folli, non potremo più passare al “verde” perché non avremo l’energia per farlo. Ora si può, domani no, domani non più, o ci si muove adesso o torneremo indietro di millenni. In pratica non avremo più scelta, mentre ora siamo ancora in tempo, siamo liberi di scegliere per mantenere il nostro benessere.
    I tedeschi lo hanno capito da anni e l’Europa continuerà ancora a dipendere da loro.

    Nel romanzaccio di fantascienza “La morte di Megalopoli” la tecnologia fa implodere la società moderna, che regredisce nelle barbarie, in un nuovo medioevo. E coloro che avranno il potere saranno una ristretta élite, capaci di fare solo tre cose: leggere, scrivere e fare di conto. Un monito su cui meditare investendo nella scuola, o distruggendola sperando nella catastrofe, uscendone vivi (come animali).

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  21. Cara Galatea,

    si vede che sei più giovane di me e che insegni alle medie.

    Io sono favorevole alla proposta del senatore Costa e non penso affatto che per attuarla si debba decurtare il numero di giorni di lezione. Basta fare come si faceva una volta: inizio il 1 ottobre, esami di maturità dal 1 luglio, “esami di riparazione” (che non ti riguardano e, quindi, per te non costituiscono un problema come per chi insegna alle superiori)dal 1 settembre al 10 … il tempo di tirar fiato ancora per una ventina di giorni.

    Io mi sono diplomata più di trent’anni fa e si faceva così. Ti posso assicurare che la qualità dell’insegnamento era migliore e che i programmi venivano svolti regolarmente (anche nelle classi numerose!)… soprattutto i docenti erano più motivati, indipendentemente dallo stipendio che percepivano. Quanto ai supplenti, credo che non si lamentassero.

    Per non dilungarmi ulteriormente, ti rimando alla lettura di questo mio post: http://marisamoles.wordpress.com/2010/05/24/gelmini-posticipare-l%e2%80%99inizio-delle-lezioni-aiuterebbe-il-turismo/

    Saluti.

    Marisa

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  22. Io sono assaissimo d’accordo con Luca T. Anzi, lo sono parola per parola.

    Uno dei motivi dello sfascio della scuola sta proprio nel non pretendere più nulla dagli studenti.

    Uno dei motivi dello sfascio della legalità sta nel non pretendere il rispetto delle leggi.

    Le società, le comunità, le famiglie si reggono anche sulle regole.

    Perché gli adulti di questo paese abbiano deciso di buttare a mare la loro autorità con i figli rimane un mistero.

    Perché gli insegnanti nella maggioranza dei casi non pretendano un fico secco dagli studenti in termini di rispetto, di cultura e di nozioni da sapere pena il cattivo voto o la bocciatura finale, rimane un altro mistero.

    Perché la nostra società abbia deciso di non fare più crescere i propri figli rendendoli responsabili e autonomi e colti è un altro mistero.

    Tutte questi fattori creano lo sfascio della scuola italiana.

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  23. Ringrazio Elena e faccio una piccola aggiunta, piccola perchè ho già abusato dello spazio concessomi da galatea.
    Basta basta con la retorica anti-insegnanti, con quei luoghi comuni che sostengono che questo non è un vero lavoro, che trenta ore a settimana sono niente, che siamo una casta che chiagne e fotte. Piccoli brunettini so-tutto-io-lavoro-solo-io sono sparsi ovunque in quest’italia incolta e antiscolastica, non ne posso più.

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  24. Luca T., mi sono permesso di postare come nota il tuo intervento su facebook, molti se lo sono letto e lo stanno facendo girare a loro volta. Ho messo il link a questa discussione in modo che la gente possa anche leggere l’articolo di Galatea e le altre risposte del commentario.

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