La comoda banalità del clone

L’effetto “branco” ti colpisce all’improvviso. Cammini tranquilla per la piazza del paese, all’ora preserale dello struscio, lanci un’occhiata intorno, per guardare non sai nemmeno tu che, e di botto lo noti. Attorno a te, accanto, ci sono infiniti tuoi cloni. No, sii giusta, e meno egocentrica: non sono cloni tuoi, forse sei tu che sei un clone loro. I cloni sono così, del resto: che mica puoi essere mai sicura quale sia l’originale e quale la copia.

La strada e la piazza sono piene di similtrentacinquenni taglia quaranta, al massimo quarantadue, che indossano jeans attillati dentro stivali al ginocchio tacco dieci, piumini grigi con cintura in vita e bordo di pelliccia, occhiali da sole a goccia, grandi, che coprono metà viso come alle dive d’antan. Abbiamo tutte borse a bauletto, luisvuittòn più o meno tarocche, imitazioni di Tod’s più a buon mercato, da cui tiriamo fuori smartphone a mattonella su cui digitare messaggini ai morosi/mariti/amanti in punta di dita, mentre al polso ciondolano braccialetti pieni di charms da far tintinnare. Sotto i piumini si individuano le stesse maglie scollate il giusto per lasciar intravvedere seni tirati su dal push up, coperti forse da canottine prese in sconto nella stessa catena di negozi di lingerie, e, sotto ai jeans, le immancabili autoreggenti bordate di pizzo malizioso, un po’ per sentirsi sexy per noi, e un po’ perché non si sa mai chi si può incontrare.

Le labbra tutte rosse, perché verniciate dallo stesso rossetto, ridono più o meno sommessamente, raccontando ad amiche tutte simili le medesime avventure: l’immancabile goffaggine del compagno in carica, il fascino di un collega, amico, vicino di casa o di attrezzo in palestra, conoscente occasionale che ci intriga e chissà, potrebbe trasformarsi in qualcosa d’altro, avendone la voglia, e soprattutto il tempo; lo shopping, il freddo, le scocciature della vita, mentre negli occhi passa, per un attimo, persino la stessa sfumatura di rimpianto, o di dubbio, per quel qualcosa che forse volevamo di diverso, ma non siamo riuscite ad avere ancora, forse non riusciremo ad avere mai.

Siamo tutte là, sedute ai tavolini del bar con l’aperitivo in mano, o ferme davanti una vetrina a guardare gli allestimenti e, di nascosto, controllare nello specchio la piega del pantalone o dei capelli, come riflessi di un’unica donna, una matrice ristampata in infiniti esemplari che ha colonizzato tutto, la tv, le riviste, ed infine le piazze e le case, tanto che ovunque ti volti vedi solo lei, e invece sei tu.

Tu, che ti sei sempre pensata come originale, come irripetibile, e vieni messa davanti di botto all’evidenza di essere invece una fra tante, intercambiabile, scontata, uguale a mille altre che si credono, come ti credi tu, unica, e che invece parlano le stesse parole, compiono i tuoi stessi gesti, pensano i tuoi stessi pensieri, ti chiedi se anche loro, talvolta, provino lo stesso velato, insondabile disagio che in questo momento provi tu, a scoprirti così banale; se se ne accorgano, se quei visi in apparenza privi di preoccupazioni non nascondano malesseri indicibili, celati sotto il comune velo del fondotinta mat. Ti domandi quando abbiamo accettato di diventare così indistinguibili le une dalle altre, come tante gocce identiche nel medesimo flusso del fiume, e soprattutto perché.

Poi ti guardi attorno, vedi il mondo che ammicca dalle vetrine, i sorrisi dei mariti/compagni/amanti venuti a prenderti per bere assieme lo spritz e poi andare a cena, pensi al caldo rassicurante abbraccio della tua casa uguale alle altre, in una periferia media così anonima da poter essere in provincia di ovunque, e ricordi il quando e il perché hai deciso di diventare quello che sei ora. Perché è comodo, e tu odi far fatica.

 

 

29 Comments

  1. gentile galatea, la differenza è che tu lo racconti, lo scrivi; uno stà dentro al vita come gli altri, anzi è come gli altri, altrimenti come farebbe a raccontarla, la vita?

    chi ti legge, però, spesso non comprende che tu, quella vera, lo sei nello scrivere, e non scrivi di getto, si percepisce un lavoro abbastanza serio di limatura, di peso dei sinonimi

    quella che racconti, è vera, ma quella davvero vera, è quella che scrive

    bel brano, complimenti

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  2. Cara Galatea,
    e che dire di quando invece degli stivali tacco 12 (che non compri perchè ce l’hanno tutte…) e della borsa col logo (che non compri né vera né finta perchè a te i loghi fanno schifo, non devi dimostrare niente a nessuno) vai in giro con della roba che “rispecchia” o dovrebbe rispecchiare la tua personalità, e fai pure quello sforzo in più delle altre per sentirti unica e magari ci credi pure un pochettino, e poi leggi la rubrica della posta e ti accorgi che, cazzo…, la tua tresca col tipo in ufficio è uguale identica a quella della tipa che scrive, la tua paura di invecchiare identica a quella della collega firmata e, con piccole variazioni sul tema in ragione di cultura (grazie a chi ti ha voluto bene) e portafoglio, la tua vita è, per ragioni generazionali e macroeconomiche, identica a quella di milioni di tue coetanee?
    Tanto rumore per nulla.
    Vittima della pigrizia anch’io, forse avrei dovuto investire meno tempo nella ricerca di un pò di orginalità, comprare l’imitazione della borsa firmata come tutte e, rasserenata dall’omologazione, guardarmi meno allo specchio.
    Il punto è che me ne rimarebbe un sacco per pensare (argh).
    Alla fine direi che il punto è tutto qui (per me).
    ciao
    post fatastico

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  3. Profondamente e dolorosamente vero.
    Firmato
    una donna che prova ad esser diversa e che, a volte, viene vinta dalla fatica e dalla sofferenza che ne derivano.

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  4. Fondamentalmente – innanzitutto – direi per essere accettate. E accettarsi. Credo.
    Ma, in fondo, diventare in qualche modo anonimi non è proprio la scelta più ovvia per chi NON vuol distinguersi, farsi notare, emergere in qualche modo?
    E viceversa, quanto – oggi – emergere significa “uniformarsi a certi schemi di notorietà”?
    Pensiamoci: oggi i cosiddetti VIP nella maggior parte dei casi cosa fanno di così tanto speciale, a stringere? S’adeguano a costosi cliché.
    Forse emerge veramente chi, pur dentro, riesce a rimanerne abbastanza fuori da conservare un po’ di “solo sé”… ma uomini o donne che si sia, sia chiaro!

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  5. Bonjour l’eau chaude!
    E’ esattamente quello che sanno da sempre i pubblicitari.
    Far passare tutti per unici e irripetibili e far consumare tutti in ugual modo.

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  6. “Perché è comodo, e tu odi far fatica”. Se fosse così non ci sarebbe niente di male. La comodità è una delle calamite più forti, ma anche dai più forti effetti collaterali. Basta che la frase non denoti malafede e la traduzione sia: io sono migliore di voi e sarei destinato a ben altra vita se solo mi ci mettessi, ma ho deciso di accontentarmi.

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  7. Spesso essere diversi terrorizza; la tensione all’omologazione inizia da giovani, quando a scuola essere diversi spesso significa essere soli. Ricordo che le persone di maggior successo al liceo non erano originali, ma riflettevano con maggior naturalezza la TV del tempo. All’Universita’ andava uguale, ma almeno c’era una differenzazione maggiore. Chi decide le strategie di marketing evidentemente conosce il nostro bisogno di essere accettati e ne sfrutta ogni sfumantura. Non e’ facile spezzare il cerchio…
    Il brano/post e’ veramente bello, ho “visto” le persone che descrivi nelle situazioni in cui le hai dipinte e mi son ritrovato a guardarmi attorno per verificare che non fossero davvero attorno a me.

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  8. L’inizio quasi surreale mi ha provocato un brivido – un po’ sinistro e un po’ di tenerezza. Ma non condivido il finale, ho l’impressione che il peccato non sia la pigrizia.
    Oggi in autobus guardavo una giovane ragazza appena uscita da scuola, avrà avuto 16 anni. Aveva un viso assolutamente non convenzionale, con dei lineamenti affilati e un po’ nervosi, a modo loro armoniosi, una pelle chiara e quasi trasparente… in poche parole, una meraviglia. La stavo ammirando discretamente (spero), con un pensiero che mi ronzava
    negli anfratti della mente, quando ho captato una sua frase… ma certo! Dev’essere la figlia della signora Y (una signora che ho incontrato in qualche occasione), le assomiglia davvero molto. Poi mi è venuto da pensare: come sarà la ragazza tra trent’anni, sarà come sua madre? Probabile, le assomiglia molto. E com’è la madre? Beh, è un po’ “sciupatina”, certo non si pensa a lei come la classica bella donna, ma ha ancora quei lineamenti così originali, personali – ricordo di essermi soffermato a lungo a guardarla con interesse mentre parlava (per inciso, è una donna decisamente intelligente). Insomma, ha scelto di rimanere originale – individuale – anche a scapito della bellezza. Da ragazze si può essere molto particolari e bellissime allo stesso tempo, da adulte, salvo casi particolari, bisogna scegliere, e la maggior parte sceglie di essere “belle”, di indossare una specie di maschera (hai mai notato che le settantenni rientrano in modo impressionante in 2 o 3 tipologie standard?). Nasciamo meravigliosamente diversi, e perdiamo strada facendo questo
    patrimonio.
    Ho fatto l’esempio parlando di bellezza femminile, ma credo che il discorso si possa estendere.

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  9. Il tuo post mi ha fatto rabbrividire. Per quanta fatica debba fare, per quanto debba combattere, per quanto mi ritroverò sola sono certa che non diverrò mai così (ho passato cose così gravi che forse diventare un clone m’avrebbe dato sollievo: se l’ho rifiutato all’epoca, non può capitare più il rischio di accettarlo – si sopravvive sempre e comunque, a volte si tira la cinghia, è la paura di cui ci si deve liberare!). Siamo tutti unici, e ci differenziamo man mano che cresciamo per una miriade di cose. Ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di sentire ‘appartenenza’ perché il gruppo dà sicurezza. E se un gruppo, in più, è categorizzato dall’esterno e quindi ci risparmia anche la fatica di decidere come proporci, quale atteggiamento avere, e infine addirittura come pensare – ci pare sia la soluzione migliore.
    Beh… io preferisco continuare a pensare, essere sola, andare in giro vestita come i miei vestiti autoprodotti un po’ da zingara, un po’ da piratessa – che quella sono – e circondarmi di donne fiere e combattive come me – senza alcuna divisa: solo un gruppo di coraggiose ‘menti abitate’.

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  10. io conosco anche donne che non danno tutta questa importanza alla ricerca di un’originalità, che comperano da vestire solo quando gli abiti nell’armadio sono vecchi, che guardano allo specchio di essere decorose e pulite e che se parlano con te poi non ricordano cosa indossavi.

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  11. Non potendo comprare cose particolari, compro sia dal cinese che in centri commerciali, non compro mai i completi consigliati, quelli messi in vetrina.
    E’ umanamente impossibile non vestire dello stesso genere, ossia pantaloni più o meno attillati, stivali, borse e piumini, ma il più delle volte a fare la differenza, è il modo di indossarli oltre a piccole modifiche che ogni tanto faccio…
    Ad esempio ho comprato un paio di stivali che si indossano con lacci senza che questi però ne implicano l’uso e rivoltati in fuori: ho tolto i lacci e li uso o dritti oppure scesi, rivoltati fin quasi a mezzo tacco ed ho tolto i lacci che mi diverto. uniti, ad usare come cinta … sono comunque diversi dagli stivali dritti e diversi dagli stivali rivoltati per natura fino ai tacchi.
    ai piumini tolgo colli secie se di pelliccia, tolgo o sostituisco la cinta… C’è sempre un modo per sentirsi “originali” in mezzo ai cloni.
    La mia originalità più grande, è quella di stare sempre come un caprone e truccarmi e rivestirmi di rado: in un modo o nell’altro, se vogliamo, non passo mai inosservata, anche quando proprio non voglio essere osservata … purtroppo.
    Bel post, da rileggere con calma da parte mia.
    Un saluto.

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  12. Scusami, anche la mia punteggiatura è da caprone.. ci provo, se non mi prendi per un’asina, almeno pensami originale 🙂
    Grazie.

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  13. “le scocciature della vita, mentre negli occhi passa, per un attimo, persino la stessa sfumatura di rimpianto, o di dubbio, per quel qualcosa che forse volevamo di diverso, ma non siamo riuscite ad avere ancora, forse non riusciremo ad avere mai.”
    Credo che in questa frase, sia rinchiusa la chiave della vita e solo in questa frase che davvero, è bello sentirsi tutti uguali e di certo tutti un po’ meno soli.
    @stealthisnick quando è Gaber è Gaber (fuori tema lo sò chiedo scusa) spesso non metto su Gaber allo stesso modo in cui metto De Andrè o Guccini oppure un qualsiasi altro artista da Liga a Jovanotti o persino qualche volta i Modà. Mi chiedo perchè mai per ascoltare Gaber, si debba aspettare un qualche evento particolare della vita e non ascoltarlo nella normale sua quotidianeità (riflessione personale)
    Auguro più Gaber per tutti, anche per me!

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  14. Io non sono appassionata di abiti,li indosso per pudore o per freddo,certo mi interessa che seguano il mio gusto estetico ma non sono mai elegante anzi,quasi trasandata.Quando mi tocca vestire bene per qualche occasione speciale faccio sempre un figurone e spesso non vengo riconosciuta,sai…trucco,calze,gonna, scarpe col tacco…subisco una trasformazione e tutto ciò mi diverte,basta che non succeda troppo spesso.

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  15. La prima volta che scrivo: colpevole lettrice silente. Ma queste righe sono un dito in un occhio. Dalle reazioni, di più: le dita nel naso, a tavola. Io? nooooooooooooo! tutte a indietreggiare, in questo specchio rotto che è l’identità, e ne riproduce millemila scompostamente affaticate. Come le racconti te. E CI fa problema, per fortuna.
    L’ho postato in un sito un po’ speciale: l’angolo di Lola, fatto da donne che si chiedono “mille perché” a partire da un tema solo apparentemente frivolo quale la cosmesi. Chi non è iscritto non può leggere (è in OT, chiuso ai non iscritti). Ma, quel che stanno rispondendo (http://lola.mondoweb.net/viewtopic.php?f=44&t=34292&p=796227#p796227) merita, credo, ulteriore riflessione. E, al dunque, una domanda: come se ne esce?
    Grazie, Galatea! 🙂 Ce ne fossero millemila davvero, di cloni tuoi! 😉

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  16. Questo post è SPET TA CO LO!

    E te lo dice un similtrentacinquenne mestrin-trevisano che qualche anno fa ha voluto de-clonarsi…

    Complimenti a te. Ti linko. 🙂

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