Albert Speer, la banalità dell’egoismo

Guardavo l’altra sera, su Raitre, un documentario sui collaboratori di Hitler. E lui spiccava. In mezzo a quel mare di gerarchi nazisti con la faccia da contadini beoni bavaresi o da impiegati frustrati del catasto che fan carriera compilando dossier per il Führer, lui, Albert Speer, brillava di luce propria, come un semidio capitato per caso ad un tavolo dell’Oktober Fest.

Alto, slanciato, stempiato quel tanto che basta dal far pensare che i capelli, per l’uomo di mondo, sono una cosa volgare: non stupisce il successo di questo discendente di una stirpe di architetti che Hitler amò alla follia, forse più di ogni altro suo collaboratore. Albert Speer è il prototipo, archetipo, l’ideale platonico eterno di tutti quegli uomini di fascino il cui fascino resta sotto sotto un mistero, perché quando lo vai a guardare più da vicino ti rendi conto che è fatto di nulla, è un trompe d’oeil.

Architetto di regime, non era degno neanche di legare i lacci delle scarpe ad un Piacentini o ad un Vietti. Tanto quelli erano innovativi e moderni, capaci di intuire il futuro, tanto Speer era datato, vecchio, privo di originalità: i suoi progetti per la nuova Berlino, mastodontica e fuori scala, più che una città moderna prefiguravano le scenografie pacchiane delle Cleopatre di Hollywood o l’architettura di un Casino di Las Vegas, senza però neanche quel briciolo di autentico pop che riscatta quelle. Le sue costruzioni erano solo gigantesche e vuote scenografie, enormi, pesanti, goffe scopiazzature di antichità greco-romane in calcestruzzo, prive di senso e soprattutto prive di arte. Giusto ad Hitler potevano piacere, perché Hitler, non dimentichiamolo, era un piccolo borghese pittore fallito di orribili acquerelli, che sognava palazzi imperiali ma aveva assimilato solo l’estetica del tinello marròn. Per soddisfare questo suo immaginario da Nonna Speranza, Speer era perfetto, con i suoi progetti grandiosi e irrealizzabili, perché, quando provarono a scavare le prime fondamenta per gli edifici, persino l’ultimo scalpellino si rese subito conto, nel cantiere, che il terreno non avrebbe potuto mai reggere i pesi ed i carichi, e il cemento neppure. Nessuno disse niente, e l’architetto del nulla continuò ad imperversare, grazie al suo cattivo gusto ammantato di bon ton, alla spietata freddezza calcolatrice che lo spingeva ad accettare senza un fiato onori e cariche da Hitler, ma sempre con l’aria di chi le piglia quasi con degnazione, perché dovute. Ministro degli Armamenti, ospite fisso alla corte del Führer, suo protetto e per alcuni, addirittura, suo amante, dopo aver ciucciato ogni beneficio dal regime, si eclissò nel momento della fine – ignorando gli ordini del capo forse per crearsi una via di fuga dopo aver intuito che tutto era ormai perduto – e si presentò al processo di Norimberga con quella stessa aria altera ed impassibile, come se fosse stato convocato per una festa all’ambasciata. La sfangò anche là, salvandosi la vita e beccandosi solo una condanna a vent’anni di carcere, scontata la quale andò a morire a Londra, tranquillo.

Lo si vedeva, nel documentario, vecchio ma sempre uguale: longilineo, distaccato, senza un’ombra di rammarico per quanto aveva contribuito a far accadere, ma anche senza un accenno di affetto o di partecipazione per quell’Hitler che in fondo gli aveva concesso tutto. Un uomo su cui la storia non aveva lasciato alcun segno perché lui se l’era fatta scorrere addosso badando unicamente al suo interesse, incurante di quante tragedie quel suo interesse potesse aver causato.

Se gli altri gerarchi nazisti possono essere tutti, chi più chi meno, considerati degli psicopatici criminali, lui no, non lo era. Non era un pazzo, non era un criminale. Solo uno sconfinato egoista.

Non è che faccia meno paura.

18 Comments

  1. consiglio di leggere in lotta con la verità di sereny gitta, dove è descritta una lunghissima frequentazione dell’autrice con speer stesso e la moglie, e si comprendono tante caratteristiche della vicenda nazista

    una fra le tante questioni, che mi colpì leggendo questo libro enormemente interessante, fu come il tradizionalismo quasi caricaturale nei rapporti fra uomo e donna fu fatale al nazismo e fu una delle concause dei campi di concentramento

    durante la guerra in molti paesi, essendo gli uomini a combattere, le donne entrarono nelle fabbriche, presero contatto con lavori fino al quel tempo considerati maschili, ma le gerarchie naziste, specie quelle locali, aborrivano l’idea delle donne fuori dal focolare, fuori dalla casa e dalla cura dei bambini, e, nonostante per edempio speer lo auspicasse, non fu possibile impiegare le donne nelle fabbriche

    la cronica mancanza di mano d’opera era il primo problema dei nazisti che infatti cercarono di rimediare nel tragico modo che sappiamo

    un altro aspetto interessante fu che la repubblica sociale italiana fu in sostanza auspicata da speer che, rendendosi conto che era difficile portare in germania a lavorare le maestranze qualificate, allora era meglio avere sotto controllo le fabbriche delle zone industraili avanzate, di qui l’interesse per le fabbriche del nord italia

    è anche molto interessante il rapporto fra speer e hitler, in quanto in effetti hitler ammirava il suo amico, era l’unico a cui consentiva di non stare in uniforme, e del resto la cultura umanistica di speer era notevole

    non era un architetto di grande valore, e lui stesso lo sapeva, ma era un ottimo organizzatore, ed inoltre aveva intuito l’importanza scenografica ed estetica dei raduni di massa (i famosi giochi di luce), e poi c’è anche alcuni riferimenti alla grande regista lei rifenstal (scrivo a memoria, non so se ho scritto giusto)

    l’aspetto «estetico» della comunicazione politica speer lo aveva capito

    sì, un personaggio molto interessante, sicuramente colpevole, anche se molto più colto ed elegante degli altri gerarchi

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  2. Sullo “alto e longilineo”, avrei qualche dubbio, derivante dalla visione dei filmati d’epoca, dai quali sembrerebbe invero piuttosto tarchiato. Non come Martin Bormann, senz’altro, ma certo neppure un pari del principe Amedeo d’Aosta.

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  3. Non ha altro da fare che leggere i tuoi post alla ricerca della sia pur minima inesattezza, a quanto pare, quella gente ridicola del blog dei topi. Ma questa volta stanno sbagliando. Trompe d’oeil è una variante abbastanza diffusa. La si può sentire chiaramente in “Su al nord”, versione originale.

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  4. Il più bel commento è quello di Davide, anche se nessuno se n’è accorto. Abbiamo avuto anche noi i nostri Speer e l’avvocato Agnelli ne é il più illustre prototipo.
    Se non lui, direttamente, senza dubbio la sua famiglia s’è mostruosamente arricchita con il sangue degli italiani: fabbricando e vendendo al Regno pessime armi, pagate con la vita di milioni disoldati, durante la Grande Guerra; amoreggiando col fascismo, nel Ventennio; incamerando i profitti e socializzando le perdite, nel Dopoguerra. Con la destra, col centro o con la sinistra (si ricordi che, dietro a De Benedetti, ci sono gli Agnelli; gli stessi dell’accordo di Marchionne a Mirafiori, per chi non lo sapesse), questi alfieri dell’egoismo, han sempre saputo rimanere a galla, soprattutto grazie a chi crede ancora che la politica sia una questione d’ideali.

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  5. beh, quanto a post di storia contemporanea, io qua devo solo imparare.
    Complimenti.
    Del bel tomo ricordo in particolare che si opponeva, negli ultimi giorni del Reich, all’abbattimento degli alberi sulla unter den linden a Berlino – necessario al fine di farvi atterrare qualche aereo – per via del pregiudizio estetico in vista della “probabile vittoria”.
    Tra i pochi generali dotati di intelletto dell’epoca,pare si distinse il Von Runstedt che, alla notizia dello sbarco in Normandia, richiesto da Himmler e compari che si dovesse fare, eslose in un fragoroso “fate la pace, imbecilli che non siete altro, che altro volete fare?”
    Inchino e baciamano.
    Ghino La Ganga

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  6. Come architetto non so se fosse davvero datato o se semplicemente adulasse Hitler assecondando le sue idee superate, nel mare di uomini che circondava il dittatore tedesco non è mai facile capire la differenza. Infondo il nazismo esaltava tutte cose artisticamente superate, cosa che non si può dire invece del fascismo.

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  7. “Speer era perfetto, con i suoi progetti grandiosi e irrealizzabili, perché, quando provarono a scavare le prime fondamenta per gli edifici, persino l’ultimo scalpellino si rese subito conto, nel cantiere, che il terreno non avrebbe potuto mai reggere i pesi ed i carichi, e il cemento neppure. ”
    Praticamente, un Calatrava ante litteram:
    http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2011/18-luglio-2011/calatrava-ponte-divarica-rive-ci-sono-stati-errori-progetto-1901111300469.shtml

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