Don Milani, il merito e la meravigliosa scuola dove non si boccia. Note a margine di una insegnante cattiva

Quando leggo post come questo, pubblicato sul sito de il Corpo delle Donne, lo confesso, io mi infurio. No, anzi, per chiamare le cose con il loro specifico nome, mi incazzo. Perché da insegnante, ne ho le scatole piene, ma strapiene, ma piene fino all’inverosimile, di centinaia di post come questo, che leggo ogni santa volta che finisce l’anno scolastico. E che partono da dati reali, ma poi, come dire, si perdono per strada e finiscono col mancare clamorosamente l’obbiettivo, e anche il modo per raggiungerlo; come, secondo me, in questo caso.

Si parte dal dato reale: e cioè che, da che mondo è mondo, in ogni sistema scolastico (ma anche in ogni sistema e basta) a venire bocciati o ad avere più problemi a continuare sono i soggetti più deboli, in questo caso, cioè, gli alunni disabili, quelli provenienti da famiglie disagiate o semplicemente povere, dove i genitori non ci sono perché sono disinteressati o molto perché devono lavorare tutto il giorno e non hanno tempo di seguire i figli né di pagargli ripetizioni private o tate che li possano aiutare…..

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103 Comments

  1. Gran bell’articolo a cui plaudo. Non solo perché viene da un’insegnante (ed io qui in Italia sto solo avendo esperienze positive con il mondo insegnante) ma perché esprime finalmente un punto di vista DIDATTICO. Eppoi bisognerebbe anche smetterla di piangersi addosso e guardare altri paesi europei, tipo il Regno Unito, che ha il sistema scolastico PEGGIORE d’Europa (lo dice l’UNESCO, non io), e non ci vuole molto perché lì a meno che non mandi i figli in scuole private, ti escono dalla scuola ignoranti. E lo so perché io lavoravo all’università lì e mi arrivavano al primo anno dalle superiori ragazzi che non sapevano scrivere, con una cultura generale disastrosa e che non avevano idea di cosa volesse dire il termine “lettura critica”. Ed i docenti universitari, invece di fare i docenti e appunto, passare importante conoscenza, buttavano via il primo anno ad insegnare a queti tapini come si studiava. Come si leggeva un libro. Immaginatevi quelli che la fortuna di andare alll’università non l’avevano.
    Prima di piangersi addosso gli italiani dovrebbero finalmente apprezzare la qualità delle poche cose che hanno che funzionano. Mi spiace per il Corpo delle Donne perché è un sito che leggo regolarmente anch’io ed è caduto nelle solite banalità.
    Brava.

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  2. Quando ti incazzi dai il meglio di te 😉
    Hai proprio ragione, ormai si ragiona in maniera manichea per prendere le inefficienze statali ad alibi delle proprie, sempre e comunque.
    Non c’è un buon sistema fiscale?, È giusto evadere le tasse.
    Non c’è un buon supporto all’istruzione? È giusto promuovere tutti, sempre e comunque. Ormai non esistono più i somari, soltanto studenti non adeguatamente assistiti.
    Insomma, tutti dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter essere penalizzati il meno possibile (come spieghi bene tu), ma ciò non significa che tutti siamo predestinati a diventare dottori. Poter esprimere la propria intelligenza dovrebbe essere un diritto tutelato, dopo di che non siamo tutti intelligenti o volenterosi allo stesso modo.
    Un ragazzino bravo perché dovrebbe essere incentivato ad applicarsi se sa che intanto, anche il compagno che passa i pomeriggi davanti ai videogiochi, in automatico, verrà promosso?
    Da istruttore sportivo posso sintetizzare: lo scopo della selezione non è punire chi demerita, ma premiare, per distinzione, chi merita (e non perché ha gli occhi azzurri e i capelli biondi, ma perché, in una valutazione personale, ha dato il massimo per le proprie possibilità.
    Davvero brava, un post che condivido in pieno alla faccia di tante fronde di genitori vittimisti, che se il figlio arriva a casa con una nota, la mattina dopo lo fanno convocare dal preside (non il figlio, l’insegnante).

    Ah, una nota pessimistica. Per esperienze personali ti posso garantire che magari fosse vero che quelli che escono imbranati dalla scuola poi non se li prende nessuno! Se hanno gli appoggi giusti, magari aprono pure un’azienda e poi mediocrità chiama mediocrità. E sai quanti ne trovi di soggetti “permissivi” sulla qualità ed etica del lavoro nel mondo lavorativo, tutti figli e discepoli di un metodo scolastico a svangarsela: Intanto per quest’anno è andata, il prossimo pure, il successivo ancora, senza bocciature, si arriva al diploma, ecc. ecc. E poi ci stupiamo che certi nostri parlamentari europei abbiano difficoltà a chiedere un cappuccino in inglese.

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  3. Vi ricordate Paolo Cevoli, a Zelig, col suo tormentone “Sono impossibilitato, ho il certificato”?
    Ebbene, son troppi in Italia a pensare che sia proprio “il certificato” a rendere di per sè idoneo chi lo possiede. Lo si comprende anche leggendo l’articolo linkato da Galatea dal sito “Il corpo delle donne”.
    Questa convinzione, tuttavia, ha precise basi storiche e sociali che risiedono prevalentemente nelle modalità con cui la Pubblica Amministrazione ha selezionato negli ultimi cinque decenni i propri aspiranti dipendenti. Non scordiamoci che, in molte regioni della penisola, l’unica reale e concreta possibilità di lavoro rimane quella nell’ambito pubblico. Un “certificato”, una raccomandazione, a volte una bustarella e, via, il gioco è fatto. Dunque, tutto giusto e sacrosanto quel che dice Galatea. Indubbia anche la sua valenza quando il termine di confronto avviene in ambito privato: nessuno ti dà un posto se non ne sei all’altezza, per quanti pezzi di carta tu sia in grado di esibire; e, se per sbaglio te lo dà , prima o poi ti caccia a pedate. Ma nella PA, quando riesci ad entrare, comunque ciò sia avvenuto, nessuno ti caccia più; e, in un paese dove la maggioranza vuole, in realtà, più lo stipendio che il lavoro, anche quello del “certificato” diviene un diritto insindacabile la cui negazione fa gridare alla disparità e all’ingiustizia. Con buona pace di Galatea e delle sue condivisibilissime opinioni.

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  4. Ah, tra l’altro, Galatea. Sempre io 🙂
    Questa la pongo proprio come domanda neutra, a margine del tema trattato, per ignoranza d’esperienza, se hai tempo per dedicartici… Ha senso eliminare le prove scritte e fare soltanto le orali, nelle scuole delle zone interessate dal terremoto? È accaduto, se sono ben informato, sia per l’Emilia Romagna, sia per l’Aquila.
    Personalmente non riesco a vederci un nesso tale da giustificare il provvedimento. Gli esami di maturità scientifica li ho fatti a mio tempo, e le prove scritte le reputo più probanti di quelle orali, senz’altro complementari. E nella bella stagione ad allestire dei banchi di scuola all’aperto per mezza giornata non mi pare impresa impossibile, così come si organizzano gli spazi per le prove orali.
    Visto che c’è in ballo la valutazione di tre o cinque anni di percorso e fatiche di studi.
    Ma, ripeto, magari a me sfugge qualche aspetto tecnico, o qualche informazione.

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  5. Letto l` articolo e non sono in disaccordo, nel senso che secondo me l` articolo della Sig.ra Vaglio manca completamente (o quasi) il punto.
    E il punto e` che la scuola dovrebbe preparare alla vita mentre non lo fa.
    La scuola dovrebbe creare dei cittadini e delle persone responsabili e invece crea studenti.
    Il motivo, o uno dei motivi per i quali l` autrice manca il punto e` che, ahime!, e` una insegnante, cioe` una persona che, presumibilmente, dalla laurea ad oggi non ha fatto altro che insegnare e non si e` mai confrontata con i problemi professionali che puo` incontrare una persona lavorando in una azienda per esempio.
    Il che non e` una colpa, ma impedisce (forse) di vedere che, nel mondo la` fuori, che “vince” non e` chi si ricorda la data di morte di Traiano o dove tende il limite di una funzione, ma chi sa capire come funziona il mondo, chi apre gli occhi.
    Molti dei principali imprenditori del Veneto, ad esempio, sono (quasi) degli analfabeti.
    Chi esce con massimi voti dal Liceo e dall` Universita` spesso finisce a fare una carriera anonima come ricercatore.
    Perche`?
    Perche`. come dicevo, chi vince ha scuola vince perche` ha imparato bene il lavoro di studente, che e` quello di memorizzare e ripetere come un pappagallo quello che ti insegnano.
    Chi vince nella vita e` invece chi capisce come funziona il sistema e lo usa a suo vantaggio.
    Tutto l` opposto.
    Con questo non vuol dire che imparare a scuola non serva a niente, vuol dire che il 70% di quello che viene insegnato o non serve o e` fuffa.
    E questo vale in tutte le scuole del mondo.
    Per questo io guardo con attenzione a esperimenti coraggiosi come quelli di Don Milani e non posso che sperare in un cambiamento (per il meglio, si spera)

    Gigi

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  6. Si`, lo so..
    “Perche`. come dicevo, chi vince ha scuola”
    da cambiare in
    “Perche`, come dicevo, chi vince a scuola”

    Che la Sig.ra Galatea non mi bastoni, sono le 23:40 da queste parti..

    Precisazione sul 70% di quello che si studia e non serve: letteratura italiana (Promessi Sposi, Dante), lingua e letteratura latina, storia viene spesso insegnata in maniera immorale giustificando massacri o altro, la matematica insegnata a memoria serve a poco, l` inglese si insegna male, etc.

    Gigi

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  7. @–>Gigi
    Mi spiace, Gigi. Non sono assolutamente d’accordo con quanto affermi.
    Non esiste correlazione tra ciò che si apprende, come lo si apprende e il successo nella vita. Abbiamo già avuto una discussione in proposito parecchi mesi fa.
    L’insegnante deve fare l’insegnante e farlo nel migliore dei modi possibile, che è quello descritto da Galatea. Se poi un idiota diviene l’uomo più ricco d’Italia, padrone dell’informazione televisiva e pure presidente del consiglio, questo c’entra nulla con il fatto che la scuola debba sempre e comunque formare in modo meritocratico e non democratico (tipo “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”, formula tanto cara a una certa mentalità pseudo egualitaria).
    Se oggi in Italia siamo sull’orlo d’un baratro, buona parte della colpa è attribuibile proprio a chi, per anni, ha predicato contro il merito, agitando lo spauracchio della discriminazione e dell’emarginazione eugenetica di zucche vuote e fannulloni; nonché a coloro che facevano finta di perorare una filosofia meritocratica, mentre di converso si crogiolavano nei fatti in ottiche nepotistiche e favoritistiche.
    Nei paesi del Nord Europa ci considerano dei cialtroni in ragione anche e principalmente di questo nostro modo distorto d’intendere la democrazia, dove tutti sembrano avere solo diritti e mai nessuno dei doveri.

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  8. Una sola, piccola, precisazione. Il problema degli alunni con disabilità è che non vengono mai bocciati. PEI o non PEI.
    Anni fa, un ragazzo ipovedente arrivò a fare il corso per centralinisti non vedenti (per cui bisogna avere il diploma dell’allora terza media) senza saper leggere e scrivere in italiano. Quel corso allora permetteva un accesso sicuro al posto di lavoro.
    Oggi quella persona è un impiegato “di concetto”, grazie al fatto che i compagni di corso fecero quello che i suoi maestri e professori non avevano mai pensato di poter fare: lo aiutarono a studiare.

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  9. Le critiche di merito di quest’articolo sono del tutto inconsistenti.
    In primo luogo nell’articolo si parla di scuola primaria e media, non di superiori, e si cita, sempre nell’articolo, la bocciatura dei seienni: cosa c’entri tutta la tirata sulla scuola che prepara al mondo del lavoro, non si capisce proprio: sembrerebbe, prof.ssa Vaglio, che abbia letto superficialmente l’articolo incriminato.
    L’articolo non dice peraltro che si debba promuovere tutti quanti: dice che attribuire il fallimento allo studente (ché il bocciato è lui, non la scuola), quando ci sono reali problemi estrinseci e un fondamentale disinteresse della scuola, è farisaico e crudele. Lei, nella sua “incazzatura” (visto che trova liberale essere volgare…) non si è resa conto che l’articolo non parla di TUTTE le bocciature, ma di quelle che costituiscono il carico da undici su una vita già martoriata?
    La bocciatura, in questo senso, non è il rimedio, ma l’ultima manciata di terra sulla bara dello studente.
    Se poi si vuole sostenere che la bocciatura può essere utile “per dare tempo”, bisogna anche produrre qualche dato a supporto: quanti sono gli studenti bocciati che poi diventano neet rispetto a quelli che hanno soltanto avuto i debiti formativi?
    Farsi questa domanda sarebbe segno di serietà. Arrabbiarsi, anzi, narcisisticamente “incazzarsi” è segno ulteriore di superficialità.
    Ancora: l’articolo non presume di dire che ci vogliono aiuti a pioggia e che ogni studente NON sia un caso a sé: è un’inferenza del tutto suo e di nuovo gratuita. Ci vogliono certo pazienza e personale specializzato: ovvio, ma in che modo questo invalida la denuncia dell’articolo?
    Non si rende neanche conto delle incongruenze in cui lei incappa: che differenza c’è tra promuovere come chiesto nell’articolo e promuovere chi ha avuto successo col programma ridotto cui lei accenna?
    Non dovrebbe bocciare chi ha lavorato su un programma ridotto che evidentemente non raggiunge gli standard minimi (altrimenti andava bene anche per gli altri)? Il programma ridotto non abbassa gli standard? Non se l’è fatta questa domanda?
    Ma va bene, diciamo pure che la bocciatura ha un senso: ma non sarebbe meglio che gli studenti andassero meglio da subito, prima di perdere un anno? E questo non lo si può ottenere con quella maggiore attenzione agli studenti difficili e ai loro dolori? Perché arrabbiarsi con un articolo che non chiede che questo?
    La mia personale risposta sul perché è questo: lei rappresenta quegli insegnanti italiani immarcescibilmente uguali a sé stessi, narcisisti e conservatori che si rifiutano di affrontare la realtà fuori da parametri non dirò ideologici, ma abitudinari.
    Si voleva “incazzare”? E si incazzi. Poi, quando ha finito, vada a chiedere lumi a quei colleghi che qualche risposta alle difficoltà degli studenti cercano di darla per davvero.

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  10. @Uqbal: caro Uqbal, dal momento che Lei, al contrario di me che sono narcisista e superficiale, legge più attentamente gli articoli, sarà così cortese da spiegarmi perché, partendo dalla denuncia di una bocciatura alle elementari (di cui per altro non si forniscono i particolari specifici,anche perché essi sono giustamente secretati e quindi tutte quelle fatte dalle autrici del post sono illazioni), si arriva a dire che la scuola deve accogliere e non bocciare fino ai 15 anni, età che è un pochino alta per comprendere alunni delle elementari, a meno che non siano stati davvero bocciati molte e molte volte.
    Sarà poi così cortese da spiegarmi, Lei che sicuramente è più ferrato di me in materia perché sono certa che ha profonde conoscenze di didattica, psicologia e soprattutto esperienza di vita scolastica più di me, come fa ad essere tanto certo che, dietro ad ogni bocciatura di ragazzi “difficili” ci sia sempre il disinteresse farisaico della scuola, e non il più semplice fatto che in alcuni casi, per quanto gli insegnanti possano provare a fare il massimo per il ragazzino, alla fine questo comunque non riesca da imparare quel minimo che gli consenta di passare con successo alla classe successiva.
    Mi saprà inoltre citare anche dati precisi che sostengano la Sua tesi, ovvero che la bocciatura è inutile e dannosa e insuperabile da parte dell’alunno, perché io invece, che ho a disposizione solo la mia esperienza personale e limitata di tanti anni passati in classe, ho invece notato che nella maggioranza dei casi il ragazzino bocciato non solo supera il “trauma” in pochissimo tempo, l’anno dopo si rimette in carreggiata, ripete il programma e viene di solito promosso senza alcun problema.
    Le incongruenze in cui secondo Lei incappo in realtà non sono mie, ma della legislazione scolastica: che come lei evidentemente non sa, consente , proprio per evitare bocciature di casi di ragazzini con problemi evidenti, di pensare per loro programmi personalizzati e con obiettivi minimi: cosa che, per esempio, io che sono una prof narcisa e incompetente, faccio sempre, proprio per consentire loro di poter essere promossi. Ma che se neppure questi obiettivi minimi sono poi raggiunti si deve anche chiedere se non si sia comunque chiesto troppo al ragazzino, e se non sia meglio dargli tempo per maturare. Sa queste cose noi prof narcise e incompetenti ce le chiediamo, e conosciamo anche abbastanza bene tutti i mezzi che la legge ci dà per evitare bocciature inutili a ragazzini fragili. Solo che alle volte, dopo averli provati tutti, restiamo disarmate. E allora, anche se non ci divertiamo per niente, in casi davvero rari ed eccezionali, bocciamo, perché convinte che quella sia l’unica strada per far del bene all’alunno.
    Perché vede, caro Signor Uqbar, so che la cosa la sconvolgerà perché non le è mai venuto in mente, come pare non sia venuto in mente alle autrici del post su Il Corpo delle Donne, noi insegnanti narcise tutte le strategie per evitare durante l’anno l’alunno soffra le mettiamo in atto, se non altro perché al contrario di chi scrive i post sui blog femministi quando ha orecchiato una notizia o commenta in margine ai post, noi gli alunni li vediamo in classe tutti i santi giorni, e ci studiamo le schede personali ancor prima di vedere i ragazzini fisicamente in classe, e durante l’anno facciamo continui incontri con gli psicologi ed i neuropsichiatri e gli assistenti sociali che seguono i casi particolari, e quando non sono seguiti siamo noi stesse ad allertare i Servizi del Comune, a segnalare alla Asl, a convocare genitori e cercare di trovare maniere per evitare che i piccoli vengano bocciati, a fare ore in più per aiutarli a imparare o consolidare le conoscenze, a fare insomma i salti mortali per aiutarli. Noi insegnanti immarcescibili ed uguali a noi stessi, narcisi e conservatori, che ci rifiutiamo di affrontare la realtà, siamo là, in prima fila a cercare di trovare soluzioni, mentre Lei presumo che stia a commentare sui blog dall’alto della sua esperienza conclamata di pedagogia e di didattica.
    Per cui mi creda, signor Uqbar, non mi presenti gli insegnanti che si danno da fare per aiutare gli studenti. Li conosco meglio di lei. E ne faccio parte.
    Cordiali saluti.

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  11. @gigi @uqbal Così, a mo’ di esempio… Mi pare che stiate utilizzando il blog di Galatea per esercitare la retorica come arte del bastian contrario. Poichè aprire un blog è possibile a qualunque cittadino, io seleziono le visite: mi reco solo da quelli che sento come amici e intervengo quando penso di aggiungere un elemento a un ragionamento che mi piace. Per la polemica sana, c’è sempre spazio nella vita reale. Per quella insana, non dovrebbe essercene alcuno. Al signor Uqbal consiglierei di cercare altrove l’insegnante che descrive: conosco Galatea da ex collega e le assicuro che tutto il suo commento, alla luce di ciò, desta tante risate. Al signor Gigi, consiglierei invece di frequentare siti di lavoratori nel privato: potrebbe confrontarsi con una realtà che conosce benissimo, da quel che dice, perfezionandosi molto più che nel parlare di cose che non sa.

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  12. Detto a margine: Galatea ha scritto un post per condannare le derive di quello che una volta veniva chiamato sei politico e oggi, invece, è la promozione obbligata. Gli studenti hanno bisogno di successo sostanziale e non di promozioni a gogò. Non c’è niente di rivoluzionario, in questo. Usiamo i ragionamenti aziendalistici del signor Gigi: un imprenditore, aprirebbe le porte a una persona incompetente? E perchè la scuola, invece, deve alzare artficiosamente i numeri del successo scolastico? Altra domanda: come mai nessuna riforma, tra le tante che abbiamo avuto, ha mai abolito la valutazione finale, accontentandosi della frequenza? Questo taglierebbe la testa al toro, forse.

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  13. @Lector
    “Mi spiace, Gigi. Non sono assolutamente d’accordo con quanto affermi.”
    E questa e` un` ottima cosa, discutere va bene.

    “Non esiste correlazione tra ciò che si apprende, come lo si apprende e il successo nella vita.”
    Esiste eccome! Dipende da cosa intendi per “apprendere”.
    Se intendi apprendere dello sterile nozionismo sono d` accordo con te.
    Ma proprio questo e` il problema della scuola.

    “Se poi un idiota diviene l’uomo più ricco d’Italia”
    E qui sbagli, e di molto.
    Berlusconi non e` un idiota, e` una persona molto intelligente e capace.
    Se poi e` anche una persona con il pelo sullo stomaco e immorale, questo e` un altro discorso.
    Ma di sicuro un idiota non lo e` (semmai forse si puo` dirlo a quelli che lo hanno votato, ma non insultiamo nessuno va`..)
    Io pero` mi stavo riferendo a tutta quella schiera di imprenditori che hanno fatto la ricchezza di questa nazione e la sua fortuna che e` anche mia e tua.
    Giovanni Rana, tanto per dire, ha finito si` e no le elementari, ma ha tirato su un impero che fattura centinaia di milioni di euro l` anno.
    Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Rana

    “Se oggi in Italia siamo sull’orlo d’un baratro, buona parte della colpa è attribuibile proprio a chi, per anni, ha predicato contro il merito,”
    Si` e no.
    Una parte della ragione e` che la gente non pensa con la propria testa e si lascia infinocchiare dal Berlusconi (o dal D` Alema) di turno.
    Se la scuola italiana avesse avuto successo, non avremmo forse avuto Berlusconi, non credi?

    “Nei paesi del Nord Europa ci considerano dei cialtroni in ragione anche e principalmente di questo nostro modo distorto d’intendere la democrazia, dove tutti sembrano avere solo diritti e mai nessuno dei doveri.”
    Puo` darsi, ma questo non c` azzecca (per dirla alla Di Pietro) molto con il bocciare un alunno alle scuole dell` obbligo.

    @GuardaITreni
    “Mi pare che stiate utilizzando il blog di Galatea per esercitare la retorica come arte del bastian contrario.”
    Si chiama confrontarsi e esprimere idee diverse in maniera (spero) costruttiva.
    Essere capace di esprimere idee diverse e saperle argomentare e` quello che differenzia la persona dal “pecorone”.
    Non credo che avrebbe alcun senso un blog dove chi scrive si trova 20 commenti sotto del tipo “Hai ragione. Ma quanto hai ragione”.
    Le critiche costruttive dovrebbero essere bene accette.
    No?

    Gigi

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  14. cara Galatea

    Lei non è l’unica insegnante in Italia, innanzitutto. In secondo luogo, quel che io contesto qui non è che si sostenga l’utilità della bocciatura (che io ritengo comunque inutile e dannosa, ma sarebbe un altro discorso); contesto che si sia voluto fare il caro, vecchio, trito e ritrito discorso del tipo “Basta col buonismo, ci vuole severità!”
    laddove si parlava di altro, ovvero di quelle PARTICOLARI BOCCIATURE che non tengono conto di situazioni gravissime che la scuola ignora bellamente -e che non sono davvero rare.
    L’intervento a margine di Guardailtreno rende particolarmente chiaro questo grosso fraintendimento: ” …quello che una volta veniva chiamato sei politico e oggi, invece, è la promozione obbligata”. Ma quale promozione obbligata? Ma quale sei politico?

    Ma ammettiamo pure -solo per un secondo- che la bocciatura si renda necessaria (diciamo: “Non è colpa sua, ma gli mancano proprio i fondamentali!”): un medico può dirsi contento se una ferita che poteva essere curata porta ad un’amputazione? Certo, ad un certo punto era diventata necessaria, ma non era desiderabile e anzi è condannabile: se il medico fosse intervenuto per tempo, non ce ne sarebbe stato bisogno. Una bocciatura in prima elementare poi, equivale ad amputare una gamba per un unghia incarnita.
    E lei si infuria se qualcuno lo fa notare?

    L’articolista fa un’affermazione netta: “ritengo che si possa chiedere molto a degli studenti/esse quando li si è prima aiutati a crescere nel modo migliore”.
    In altre parole: se la scuola non ti ha insegnato niente, non ti può accusare di non aver imparato abbastanza. Dirà, “Ma tante scuole insegnano molto!”. Verissimo, ma l’articolo parlava non di quelle scuole, ma di quelle che non lo fanno.
    Anche per questo lei si è infuriata. Mah, che cosa curiosa, la furia.

    Lei cita le Asl, i neuropsichiatri convocati, i salti mortali. Va bene. Sono sicuro che il suo impegno sia massimo per tutti gli studenti (detto sinceramente, non mi sembra una menefreghista). Ma rimane il fatto che i neet citati nell’articolo sono davvero 2.500.000. Come mai, se tutti facciamo il massimo? I casi son due: o gli insegnanti sono tutti impegnati come lei, e allora c’è qualcosa che non va nel sistema, dato ché col massimo dell’impegno si ottiene il minimo del risultato; oppure non tutti gli insegnanti danno il massimo. In un caso come nell’altro, non mi pare che l’articolo sia degno di particolari furie.

    Ribadisco poi l’incoerenza dei programmi minimi, cu cui, tra le altre cose, non ho avuto risposta: se questi programmi minimi, sia pure secondo legge, richiedono risultati di livello inferiore di quelli standard, ma garantiscono la promozione, non sta dicendo che in definitiva evita di bocciare? Mi dirà: “Certo, ma perché si tratta di situazioni particolari!”. Ecco, appunto, proprio quel che Il Corpo delle Donne chiedeva, tener conto delle situazioni particolari.
    Da infuriarsi anche qui, davvero.

    Ma poi, in definitiva, di che stiamo parlando?

    Cito: “Sa queste cose noi prof narcise e incompetenti ce le chiediamo, e conosciamo anche abbastanza bene tutti i mezzi che la legge ci dà per evitare bocciature inutili a ragazzini fragili. Solo che alle volte, dopo averli provati tutti, restiamo disarmate. E allora, anche se non ci divertiamo per niente, in casi davvero rari ed eccezionali, bocciamo, perché convinte che quella sia l’unica strada per far del bene all’alunno.”

    Beh, l’articolista invece ha detto che molte volte troppi insegnanti non usano tutti i mezzi che dà la legge per evitare le bocciature; che troppi insegnanti non li provano tutti, e preferiscono la via breve; che per troppi insegnanti la bocciatura di ragazzi difficili non è né rara né eccezionale. Lei si è infuriata come se la critica fosse a lei. Ma forse sarebbe meglio non prenderla tanto sul personale e tenersi le critiche alla categoria, invece di inalberarsi.

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  15. Signor Uqbal, se vuole dimostrare la sua bravura argomentativa, per piacere non si limiti a riprendere le mie domande con un “quale sei politico…”? Premesso che io non credo, come lei del resto, che le bocciature siano una panacea, cerchi di rispondere anche alla semplice domanda che pongo:
    1) Perché nessuna riforma ha mai preso in considerazione l’idea di una scuola – laboratorio da frequentare e basta?

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  16. @gigi Il problema è che leggo sempre Galatea e, di conseguenza, anche i suoi commenti. Una critica costruttiva non l’ho mai trovata, purtroppo. E spesso lei si è inalberato per le critiche costruttive degli altri commentatori. Secondo me, frequentare i blog è entrare a far parte di una comunità di dialogo, dove le differenze ci sono e servono a sviluppare un’idea di partenza, che è il post originario, anche fino a trasformarlo in altro (la co-costruzione del sapere). Io non frequento i blog dei naziskin (immagino esistano) perchè so che non mi arricchirebbero e che non sarebbe realistico il successo di una mia lotta su questo piano. Se devo lottare contro i naziskin, lo faccio su altro piano. Qui non stiamo parlando di piccole differenze, mi creda. Stiamo parlando di una divaricazione di vedute tale da giustificare a pieno il mio consiglio. A volte, leggendo i suoi commenti e quelli di qualche altro, si prova lo stesso fastidio che si prova di fronte a chi ha fatto del cavillo la propria ragione di vita. A me non sembra inaccettabile l’idea che una persona senta l’esigenza di aprire un blog attraverso il quale proporre le proprie idee agli altri. Mi sembra più inaccettabile che gli altri stiano lì ad aspettare il fallo per poterci disquisire sopra, a volte anche sconvolgendo il messaggio di fondo.
    Quando questo accade con sistematicità, non penso alla critica costruttiva. Penso che c’è qualche interista nel club juventino.

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  17. @Uqbal: Quindi mi spieghi, signor Uqbal: Io non ho nessun diritto di arrabbiarmi, da insegnante che fa il proprio lavoro come tanti altri, se in un blog lettissimo e serio come il Corpo delle Donne compare un articolo che, partendo da un caso specifico (tre bocciature in una scuola elementare di Pontremoli) di cui peraltro nemmeno conosce i particolari, fa una tirata assolutamente generalista, accusando tutta la scuola italiana e gli insegnanti di non saper tenere conto dei casi particolari, e, ignorando evidentemente sia tutta la legislazione in materia che esiste – e che magari gli insegnanti di quella particolare scuola in quei due specifici casi hanno deciso di non applicare – si mette a disquisire sulla necessità generale di non bocciare, sull’obbligo di accogliere tutti, etc, come se l’intero corpo insegnante italiano fosse formato da incapaci che se ne strafregano dei loro alunni, non tengono conto delle situazioni di difficoltà e sono anche un po’ razzisti nei confronti di ragazzi con handicap e stranieri. L’articolista che fa un discorso del genere, partendo da tre casi, ripeto, sta facendo un discorso che merita di venire contestato, perché non solo è offensivo, ma ha la stessa validità del chiacchiericcio delle comari che aspettano il tram e si lamentano delle mezze stagioni sparite.
    E lo stessa argomentazione del cappero, caro il mio signor Uqbal, la mette in piedi Lei, quando attribuisce senza alcun dubbio (né prova) la colpa dei tanti ragazzi che si ritrovano senza un diploma e senza un lavoro alla scuola. Certo, la colpa è sempre tutta della scuola: le famiglie che non danno all’istruzione alcun valore, per cui mandano i figli a frequentare la scuola solo perché è un obbligo e continuando loro a passare a casa il messaggio (con fatti e con parole) che tanto studiare è inutile e la cultura non conta nulla, la società che bombarda questi ragazzi con i messaggi che chi studia è in fondo un povero sfigato perché i soldi li fanno gli ignoranti fortunati o ladri, non hanno nessuna colpa, no. Se un ragazzo non rende o abbandona il responsabile sarà qualche professore stronzo che ha incontrato lungo il suo peregrinare per le classi, e il professore stronzo è certificato come tale perché non gli ha regalato una promozione che non meritava, per altro, invece che mandarlo avanti, non si sa bene verso cosa.
    Signor Uqbal, lei come tanti altri fa parte di quella marea di persone che vogliono la botte piena e la moglie ubriaca: volete una scuola che prepari i ragazzi in modo completo per poi consentire loro di trovare un lavoro e non restare con in mano un diploma che in realtà non vale nulla, ma volete anche che nessuno venga mai bocciato, che a nessuno di quei ragazzi venga mai fatto presente che se vuole imparare qualcosa deve anche imparare le nozioni fondamentali di ciascuna materia. Volete una scuola dove chi ha problemi particolari venga accolto, ma dopo quando scoprite che esiste la possibilità già ora di fare programmi differenziati vi stranite, perché allora, dite, gli standard si abbassano, e – Oh, incredibile scoperta! – non tutti i sei sono uguali. Volete il sei per chi ha problemi familiari o di disagio sociale, però il sei politico no, per carità. Volete una scuola dove il 100% dei ragazzi si diploma e poi magari va a fare l’ingegnere, e sostenete che se rimangono percentuali di abbandono o di insuccesso (che poi sono spesso legate a problemi che la scuola da sola non è in grado di risolvere, ma solo di arginare in parte perché sono strutturali e culturali nel nostro paese) allora immediatamente desumete che la colpa è degli insegnanti impreparati, svogliati e incapaci, conservatori e razzisti, che bocciano masse di persone in difficoltà (ma quali? abbiamo una percentuale di bocciature irrisoria rispetto agli altri paesi industrializzati! Andate a vedervi i dati delle bocciature negli Stati Uniti o in Giappone, o anche solo in Francia e Germania!) e un sistema scolastico disastroso (cosa non vera: il Veneto, per esempio, è assolutamente allineato nelle prove OCSE al livello di apprendimento degli altri paesi europei più avanzati).
    Mi spieghi, signor Uqbal: le norme e le leggi da applicare per impedire bocciature “sommarie” o razziste ci sono già. Singoli casi in cui non vengono applicate ci possono essere, come in ogni settore, ma, per legge, si può anche fare ricorso contro la bocciatura immotivata (anche senza dover mettere in mezzo avvocati, basta in ricorso in carta semplice alla Preside, a costo zero, o una segnalazione all’Ufficio Scolastico Regionale). Le scuole, con i fondi che hanno, fanno, nella stragrande maggioranza dei casi, tutto quello che possono per fornire supporto e bocciano già ora pochissimo. Più di questo, mi dica, di preciso, che cosa altro volete che facciamo? Perché se Lei o le autrici de Il Corpo delle Donne avete in testa qualche soluzione miracolosa, le assicuro che siamo tutti qua, a pendere dalla vostre labbra. Magari però prima informatevi un po’ sull’esistente e controllate le leggi già in vigore. Così magari evitate di scrivere solo delle raffazzonate banalità.

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  18. Guardaitreni

    Non mi e’ mica chiaro perche’ continui a darmi del sofista, ma in ogni caso, sullo quello che NON si e’ fatto nella scuola italiana si potrebbero scrivere intere biblioteche. Secondo questo principio le scuole potrebbero rimanere cadenti come sono, visto che nessuno le ancora mai volute ristrutturare e anzi ogni anno il Parlamento produce una deroga alla loro inagibilita’. Si rendera’ ben conto che e’ un non-argomento, a prescindere da quanto io possa essere bastian contrario (e non lo sono, non nel senso facilone che dice lei).

    Sistemi scolastici che non bocciano o bocciano pochissimo esistono. In Finlandia la bocciatura esiste, ma solo dopo che la scuola ha parlato con la famiglia e con lo studente, ed e’ nell’ordine di un 2% di studenti che hanno ripetuto almeno un anno nella loro carriera scolastica (e la bocciatura viene comminata solo dopo che sono stati coinvolti gli stessi genitori). In Italia siamo al 5%, in Francia ad un impressionante 35% (2010 -dati Eurydice). E’ la Finlandia pero’ che ha il miglior sistema educativo del mondo, e lo e’ diventato dopo che nel 1972 ha radicalmente modificato il suo sistema educativo, basandolo proprio sul principio che l’inclusione, la comprensione, il rispetto delle caratteristiche e dell’autostima di ogni studente vanno rispettate (Valijarvi, J. & Sahlberg, P. 2008. Should a ‘failing’ student repeat a grade?. Journal of Educational Change, 9(4), 385-389. -basta google).

    In Inghilterra si boccia molto poco, ed e’ addirittura necessario il consenso dei genitori, nella scuola primaria.

    Un ultima osservazione: non trova curioso che lei non trova critiche costruttive, ma vede bastian contrari da tutte le parti?

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  19. @GuardaITreni
    C` e` chi e` a favore della liberta` di espressione e chi no, vedo.
    Tutti abbiamo le proprie opinioni,
    Lei pensa che io abbia fatto “del cavillo la mia ragione di vita”, io penso che lei sia una persona molto superficiale che non e` abituata ad usare quella cosa che si ritrova tra le orecchie. (Senza offesa, naturalmente!)
    Abbiamo due idee diverse, come vede, chi vuole pensarla in un modo o nell` altro si accomodi.

    @Galatea
    “le famiglie che non danno all’istruzione alcun valore, per cui mandano i figli a frequentare la scuola solo perché è un obbligo e continuando loro a passare a casa il messaggio (con fatti e con parole) che tanto studiare è inutile e la cultura non conta nulla, la società che bombarda questi ragazzi con i messaggi che chi studia è in fondo un povero sfigato perché i soldi li fanno gli ignoranti fortunati o ladri, non hanno nessuna colpa, no. ”
    -> Che e` proprio il contrario di quello che dico io.
    La cultura, non il nozionismo, conta eccome nella vita.
    Ma c` e` una bella differenza tra le due cose!
    Il nozionismo e` fare il pappagallo, la cultura e` appresa da persone e alunni critici che usano la propria testa.
    Purtroppo ad oggi, a scuola se dai un` opinione validissima ma non “politically correct” vieni cazziato a morte.
    Qualcuno dei suoi alunni ha mai detto che Cesare era solo un genocida criminale che il “De Bello Gallico” e` da mettersi vicino al “Mien Kampf”?
    Se molti dei suoi alunni ritengono che Caio Giulio Cesare sia stato un grande condottiero, allora non hanno imparato molto, anzi, sono stati fregati.
    La scuola e il voto sono quindi anche una forma di controllo delle masse.
    In Italia come altrove.

    Gigi

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  20. Mentre concordo sul fatto che la Finlandia abia il miglior sistema educativo immaginabile (dati e ricerche alla mano) VI PREGO di non continuare a citare l’Inghilterra o il Regno Unito come sistemi da prendere ad esempio. In quei paesi, ribadisco, la pubblica istruzione è fallimentare, al punto che è una spina nel fianco dei governi da vent’anni a questa parte, così disastrato che non riescono neanche a fare una riforma per risanarlo in qualche modo, letteralmente non sanno da dove partire. Difatti è completamente incentrato sulle scuole private, dato che le scuole pubbliche cadono a pezzi, sono sovraffollate, insegnante unico fino a 12 anni, totale egemonia e potere degli insegnanti (ma dove l’hai letto che ci vuole il consenso dei genitori per bocciare? si boccia poco perché nelle scuole pubbliche non si insegna nulla, per cui si va avanti ad oltranza….).
    Vi prego, piantiamola con quet’esterofilia a tutti i costi senza cognizione di causa.
    In caso vi chiediate come so queste cose, ci sono vissuta vent’anni e i miei figli hanno avuto la sfortuna di farsi l’istruzione primaria in quel sistema disastrato.
    Mia figlia, da quando ci siamo trasferiti in Italia, a cominciato finalmente ad apprendere in una scuola che effettivamente INSEGNA.

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  21. @uqbal: Ti informo, nel caso Ti fosse sfuggito, che per quanto riguarda la materna e l’elementare, le valutazioni di fine anno e la eventuale bocciatura devono essere concordate con la famiglia. Alle medie possono anche non essere state preventivamente concordate (anche se nella maggioranza dei casi lo sono comunque), ma possono essere fatte solo dopo che: 1)nel primo quadrimestre le famiglie sono state convocate ed è stata inviata loro comunicazione scritta della situazione di disagio dell’alunno e si sono svolti colloqui programmati per parlarne; 2) nel corso dell’anno si è prodotta documentazione sufficiente che per l’alunno ciascun insegnante, oltre ad aver approntato un piano di studio personalizzato, ha fornito all’alunno in classe o in ore extrascolastiche supporto (corsi di recupero, prove in più). Tutto questo per gli alunni che non abbiano una certificazione. Per gli altri, c’è già un piano personalizzato con obiettivi minimi, concordati con i medici che hanno seguito la certificazione e l’insegnante di sostegno, e la bocciatura eventuale è possibile solo ed esclusivamente se non sono stati raggiunti nemmeno gli obiettivi minimi previsti per il suo particolare caso.
    Tutte le bocciature, inoltre, sono del Consiglio di Classe, cioè si procede a votazione e in genere tutti i colleghi (quindi almeno 8) devono essere d’accordo. Nel caso si vada a maggioranza, il Dirigente Scolastico può intervenire per evitare la bocciatura. Così, per la precisione.
    Ah dimenticavo. In genere si prende in considerazione per la bocciatura alle medie solo chi abbia gravi insufficienze (4) in almeno 4 discipline diverse. Per tutti gli altri si mette sei e si inserisce una scheda che segnala alla famiglia le lacune più o meno gravi.

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  22. @–>Gigi
    Dopo l’intervento di Uqbal, il discorso è diventato troppo tecnico e specialistico, troppo per “addetti ai lavori”, perché un profano vi possa partecipare in maniera costruttiva. A meno di non voler parafrasare Clemenceau e la sua celebre frase sui generali e la guerra, sostenendo che “la scuola è una cosa troppo seria per lasciarla gestire agli insegnati”, direi che è cosa buona e giusta lasciar perdere e dedicarsi ad altro.
    P.S. Il signor o la signora Guardaitreni ha veramente uno strano concetto del dibattito. Dice di provare un “senso di fastidio” per chiunque non la pensi in maniera da lui (o da lei) omologata. Diceva qualcosa di simile anche Baldur von Schirach a proposito di coloro che in sua presenza parlavano di cultura. Absit iniura verbis, ma mi pare assai vicino (vicina?) a quell’espressione che Gaetano Salvemini, a sua volta, parafrasava da Louis Veuillot “Quando io sono più debole di te, ti chiedo la libertà perché ciò è in accordo con i tuoi princìpi. Quando sono più forte di te, io ti tolgo la libertà perché ciò è in accordo con i miei princìpi.”
    Un po’ di tolleranza per gli altri, che diamine! In fin dei conti, il suffragio universale ci obbliga a sopportare ben altre convivenze. 😀

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  23. @lector: Più che troppo tecnico, Uqbal prima di dare suggerimenti dovrebbe informarsi su quali sono le norme in vigore attualmente nella scuola italiana. Sennò continua a proporre cose che sono la scoperta dell’acqua calda, con la solenne convinzione di star portando idee rivoluzionarie cui nessuno degli insegnanti conservatori e narcisisti aveva pensato prima.

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  24. Cara Galatea

    Lo straw man argument è una brutta cosa: lei continua a rispondere a critiche che io non ho fatto.

    Io ho detto che sono contrario alle bocciature, ma ho detto anche con non sto discutendo di questo: ho detto che sto discutendo sotto-insieme delle bocciature che intervengono su situazioni delicatissime. Lei continua ad ignorare questa distinzione e io continuo a sottolineargliela. Tra la bocciatura di un ragazzo che passa le giornate alla playstation e quella di un altro che vede uno dei genitori morire c’è una differenza.
    Io spero che lei la noti ed eviti di usare proprio il caso della tragedia familiare per lamentarsi della scarsa propensione della scuola italiana alla bocciatura. Come dire: se lo risparmi, è un esempio perlomeno controproducente, via!
    Perché questo è esattamente quel che ha fatto nell’articolo su Lettera43.

    Sul passaggio del professore certificato stronzo a causa delle bocciature che commina: ma si rende conto o no che ragiona per fallacie logiche e generalizzazioni? Io non sto dicendo che il professore sia incapace perché ha bocciato; sto dicendo che nel caso di un professore incapace che boccia, il discorso di Corpo delle donne è perfettamente giustificato. Spero, questa volta, di essere stato più chiaro. E spero sia chiaro anche che io in questo non sto elevando un’accusa a tutto il corpo docente italiano, un’altra delle generalizzazioni indebite che lei si concede generosamente. Sto semplicemente dicendo che i professori incompetenti ci sono, e quando bocciano fanno danno. Eviti di prenderla sul personale, grazie.

    Ma vogliamo parlare di massimi sistemi lo stesso? Va bene, la seguo e cerco di spiegare il mio pensiero (Guardaitreni è già al telefono con Anito e Meleto, ma pazienza).
    Lei fa un discorso estremamente generico e superficiale sulla mancanza di senso della cultura nella società attuale (ah, la società!), ma diciamo pure che sono d’accordo sul fatto che dalle famiglie non arriva il giusto sostegno ai figli. Io da questo desumo che i figli sono vittime dei genitori, e penso che sia giusto che la gente si rivolga alla scuola perché ci metta una pezza. Riprendo il parallelo col chirurgo: se gli si presenta sul lettino una persona che si è rotta le gambe cadendo dal motorino, sarebbe ben strano se quello la rimandasse indietro dicendo che andare in motorino è un’abitudine pessima e pericolosa e che quindi non opera. La scuola italiana fa esattamente questo, anche perché il sistema OSTACOLA gli interventi rapidi ed efficaci, affogandoli nella burocrazia e nella rigidità ministeriale.

    Anche sui programmi differenziati, devo essere stato davvero poco chiaro: io non sono contrario ai programmi differenziati (sarebbe più esatto dire che sono contro i programmi, e punto): sto rilevando una fallacia logica. Chiedere bocciature più severe anche per chi i problemi ce li ha davvero (nell’ottica del “contano i risultati” e “ripetere un anno fa bene”) e poi promuovere sulla base di programmi speciali è un controsenso LOGICO, perché i famosi “risultati che contano” sono comunque compromessi. Questo non contrasta col fatto che io sia tendenzialmente contrario ad entrambe le cose. Quindi il “volete”, altra espressione di genericità fastidiosa, lo rispedisco al mittente.

    Sulle percentuali: gli Stati Uniti hanno percentuali molto alte di bocciature. Ma hanno, notoriamente, e l’OCSE-PISA lo ribadisce, un sistema scolastico mediocre a dire poco, quindi il suo esempio porta acqua al mio mulino (idem per la Francia, appena media nei risultati, e per la Spagna dai risultati peggiori anche dei nostri). Sulla Finlandia, e altri esempi meglio trovati, rimando al commento a Guardaitreni.

    Sul Veneto segnalo che le statistiche bisogna saperle leggere: non può confrontare le statistiche di una regione con quelle di intere nazioni. E’ vero che il dato Veneto è più alto della media nazionale di alcuni paesi anche molto buoni, ma è vero anche che all’interno di quei paesi ci saranno necessariamente aree al di sopra della media nazionale (altrimenti non è una media…): il Veneto andrebbe confrontato con quelle. Mi spiace, ma è un errore di superficialità piuttosto comune.

    A questo punto rispondo alla domanda “che cosa volete che facciamo?”. Io comincerei a cambiare la scuola: non da oggi abbiamo una scuola iper-burocratizzata e rigida che non guarda in faccia a nessuno, in cui come insegnante ho margini di intervento molto ristretti, perché alla fin fine quel che mi si chiede altro non è che il solito temino di italiano e la paginetta di letteratura.
    Possiamo fare anche questo: anziché prendercela con chi segnala problemi reali, facendoci prendere dagli orgogliosi furori del “Ma io faccio tutto il possibile!”, possiamo chiederci se oltre a fare “di più” non sia il caso di fare “diversamente”.
    Sì, le leggi permettono di fare alcune cose, a scuola, ma poche. Pensiamo a nuove leggi, invece di sbandierare il fatto che la legge è dalla nostra.
    La risposta che io avrei dato a Corpo delle donne sarebbe stata: “Avete ragione, la scuola è difettosa da molti punti di vista e sentiamo spesso di non farcela; aiutateci insieme a creare una scuola e un Paese migliori”.
    Lei, avendone certo diritto (e chi non lo ha? e perche dovrei negarglielo?) ha preferito “incazzarsi”, che è la cosa che io maggiormente le contesto. Un semplice questione di opportunità.

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  25. @Martina
    Sono d’accordo sul sistema inglese, l’ho citato solo per rettificare l’idea che in ogni sistema educativo esista l’istituto della bocciatura.

    @Galatea
    Siamo evidentemente fuori sincrono con i commenti, e cercherò di essere breve: veramente pensiamo che la comunicazione a casa, le insufficienze del pagellino, il voto di consiglio, qualche altra scartoffia burocratica e una decina di ore di corso di recupero siano gli strumenti di una scuola efficace? Questa è la scuola che sogniamo? Più telegrammi?
    Mi sembra un’ingenuità veramente enorme…

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  26. @–>Gala
    In ogni caso, a prescindere di chi sia il torto o la ragione (per quel che mi riguarda, sono pienamente d’accordo con il contenuto di fondo del tuo post e con la “filosofia” che vi esprimi, per quel che può valere la mia opinione in proposito), il discorso si è tramutato in argomento per specialisti e io non lo sono. Intervenendo, mi sembrerebbe di essere come quei bimbi che vogliono a tutti i costi mettere il becco nelle conversazioni tra adulti, uscendo chiaramente con degli spropositi.

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  27. @uqbal: Scusami, allora in pratica cosa si deve fare? No, perché una volta che hai fatto tutto quello che è previsto, cioè discussione con gli specialisti, con i genitori, corsi di recupero gratis nel pomeriggio, ore di sostegno in classe, per l’alunno non vedo altre possibilità che una gita a Lourdes e sperare che la Madonna ci metta una pezza. Tu cosa proponi d’altro, in concreto? Perché i corsi si fanno, le ripetizioni anche individuali gratis pure, gli esperti psicologi si contattano, e le leggi che consentono tutto ciò ci sono già, anche se tu e il Corpo delle Donne non ne eravate pienamente informati. Son curiosa di sapere cosa altro si deve fare, perché se stai qui solo a dire che si potrebbe genericamente fare di più, puoi accomodarti al bar fra i pensionati brontoloni, ti troverai benissimo.

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  28. @Galatea, uqbal
    Io proporrei di lasciare andare avanti anche i “testoni” almeno fino ai 14 anni/16 anni e poi che diventino idraulici, carpentieri o qualsiasi altra cosa dove non bisogna scrivere lunghe lettere.
    Invito chi vuole a guardarsi questo video:

    Da ascoltarsi dal minuto 4`.
    “Asteriti non e` bravo, Asteriti e` un primo della classe..”
    “La scuola funziona solo con chi non ne ha bisogno”

    Silvio Orlando ha capito tutto.

    Gigi

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  29. @gigi, per diventare carpentieri ed idraulici ci vuole molta testa, precisione, dedizione e pignoleria. Piantatela di trattare con tanta sufficienza i ragazzi che decidono di fare questi mestieri, come se fossero destinati a ragazzi “di seconda scelta”. Io ho molti ex alunni che fanno gli idraulici, gli elettricisti, i cuochi. portategli rispetto, sono ragazzi intelligentissimi.

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  30. @Galatea
    Come ho cercato di spiegare: le mie opinioni sono all` esatto opposto di come le dipingi tu.
    Io ho citato Giovanni Rana come esempio di imprenditore che a mala pena parla l` italiano ma ha aperto un impero economico.
    Io non ho il disrispetto per chi va male a scuola, io non nutro fiducia nel sistema scolastico, non negli alunni, e` diverso.
    Silvio Orlando non critica quello che va male a scuola, al contrario vorrebbe dargli la sufficienza.
    (Hai visto il video?)

    E ricordiamoci che gli idraulici guadagnano molto piu` dei professori.

    Gigi

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  31. Per le mie materie, lettere nel senso più ampio, si cambia, tanto per cominciare,la valutazione: l’interrogazione orale è un cascame gesuitico del tutto fuori dal mondo: inutile e nozionistica. Meglio saggi e lavori (teatro, arte, video, ricostruzioni storiche) che richiedono profondità e spirito critico, non solo tanta memoria (studiare a memoria è un copiare in differita).

    Molta più attività multimediale e di laboratorio, molta più libertà di azione per gli studenti, abolizione della lezione frontale o quasi (una utilità residua rimane, ma non più di quella).

    Molta più trasparenza (il “voto di consiglio” è tanto pilatesco quanto necessario, considerando i possibili ricorsi).

    Abolizione dei programmi -o indicazioni- ministeriali: la Cultura non è leggere tutti quanti in massa i Promessi Sposi a 15 anni, forzosamente. Cultura invece è andare a cercare libri diversi, semi-sconosciuti o famosi, ma interessanti, seguire approfonditamente e fecondamente le suggestioni offerte dal mondo reale, battere sentieri meno triti.

    Usare materiale didattici non definiti centralmente dal ministero, ma dagli insegnanti sulla base della situazione concreta: fine dei libri di testo-pappina.

    Lasciare alle scuole una maggiore libertà, ma unita a controllo e responsabilizzazione, sulle materie da insegnare: se una scuola volesse insegnare Logica, Sociolinguistica, o Filosofia della Scienza invece che Storia della Filosofia, dovrebbe essere libera di farlo. Se un’altra scuola volesse insegnare Storia comparata di Roma e Cina antiche invece che le cinque declinazioni, dovrebbe poterlo fare. Se una scuola di periferia difficile, invece di insegnare geografia astronomica, volesse insegnare la chimica del degrado ambientale, unendo questo studio alla sociologia, sarebbe tanto tanto meglio. Ribadisco, sono cose che ora si fanno già, spesso, ma nonostante il sistema, non grazie ad esso.

    Mi rendo conto che sto di nuovo diventando prolisso: la domanda però è importante e mi dispiace di non poter rispondere meglio. Lo considero una sfida cui dovrò rispondere nel tempo.
    Per adesso mi limito ad una banalità: non dobbiamo pensare a cosa si può fare all’interno di questa scuola, ma a come dobbiamo cambiarla, la scuola.

    Mi soccorre intanto questo articolo di Marco Rossi Doria: http://www.ilpost.it/2011/11/29/la-scuola-secondo-marco-rossi-doria/

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  32. La Scuola di Luchetti e i libri di Starnone sono un faro, anche perché sa guardare con precisione anche dentro ai luoghi comuni delle facilonerie “buoniste” che pure esistono.

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  33. @Uqbal
    `azz…

    Sono d` accordo con il 90% di quello che hai scritto.
    Visto che la Signora Martina ha fatto un applauso a Galatea io lo faccio a te.

    Gigi

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  34. @uqbar: spiegami meglio, quindi tu insegni? E toglimi una curiosità, non sei informato sui programmi ministeriali? Pensi di essere l’unico al mondo che in classe ha introdotto queste innovazioni favolose?
    No, perché anche le mie interrogazioni non sono “cascami gesuitici”, per esempio (ed è anche piuttosto offensivo che tu pensi per principio che quelle di tutti i colleghi eccetto te lo siano), e “saggi, lavori, video e ricostruzioni storiche” a parte che vanno date dopo aver spiegato bene bene bene in classe come impostarle (e naturalmente partendo dal principio che devono essere spiegate da qualcuno che abbia le competenze giuste, perché non è che la regia di un video si può improvvisare), si possono tranquillamente fare in classe e sono ormai prassi. Attività multimediale se ne fa, anche perché usiamo regolarmente la Lim, e io per esempio, prevedo sempre unità didattiche su internet, uso dei social network, discussione delle fonti da trovare in rete e loro affidabilità (ché non basta mettere i ragazzini davanti ad uno schermo del Pc a vagolare a vuoto per dire che si fanno lezioni multimediali), uso di wikipedia, lettura dei giornali on line. Dibattiti, confronti e brain-storming con gli alunni prima di affrontare gli argomenti di studio sono nella normale prassi didattica mia e di quasi tutti i colleghi che conosco, per cui se tu insegni così sei assolutamente nella media, non una rara eccezione. Così come l’uso dei libri di testo è sempre più secondario, perché tutti i colleghi poi forniscono agli alunni materiale (schemi, power point da scaricare dai nostri account su Slideshare, o anche, più banalmente, fotocopie, al di là del libro di testo, che viene usato di solito più che altro per supporto e perché per legge non se ne può evitare l’adozione).
    Tutti ormai facciamo programmi di letteratura molto variegati, anche perché gli indirizzi ministeriali hanno ormai abolito i “programmi” veri e propri, quindi ogni insegnante si ritaglia sulla sua classe un percorso di letture di antologia e di autori differente, che comprende temi di attualità, articoli di giornali, etc. Ormai Manzoni lo si legge pochissimo, i testi imparati a memoria non esistono più (e sinceramente un po’ io me ne rammarico, serviva ad insegnare ai ragazzini le tecniche di memorizzazione), anche se poi ogni anno ho la soddisfazione di qualche alunno che si impara comunque a memoria la poesia perché gli è piaciuta, o che si mette a leggere i Promessi Sposi per sua curiosità dopo che ne ha sentito parlare in classe (io in genere metto in scena le parti più divertenti: hai presente per esempio la notte degli imbrogli con il campanaro che arriva a braghe calate e don Abbondio che stilla? Ecco, è uno dei nostri pezzi forti, in classe, da ribaltarsi dalle risate, con i ragazzini che fanno gli attori!)
    Quanto ad insegnare Sociolinguistica, a parte che stavamo parlando di elementari e medie, guarda che nessuno vieta ad un insegnante di programmare alcune unità didattiche specifiche, eh. Basta volerlo, nessuna normativa te lo vieta, e tu non sei, se insegni, l’unica perla rara che fa queste cose. Stupisce, piuttosto, se insegni, che tu sia così ignorante sulla normativa, e soprattutto così presuntuoso dal pensare che anche noi poveri colleghi stupidi, narcisisti, conservatori e pigri non abbiamo letto nulla e siamo poco aggiornati, e abbiamo bisogno di un articolo sul Post (e non su qualche seria rivista di didattica, per esempio) per venire illuminati.

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  35. Ci vuole pazienza. Ma davvero tanta pazienza.

    Cosa mi sta rinfacciando, di essere d’accordo con la mia impostazione didattica? Essù!

    Va bene, le sue interrogazioni non sono gesuitiche. E allora? Che si arrabbia a fare? Non è contenta di vedere che siamo sostanzialmente d’accordo? Ma soprattutto: dove, DOVE ho detto che tutti gli insegnanti sono gesuitici? E soprattutto, quando, QUANDO mai avrei detto che lo sono le sue interrogazioni?

    E’ ben vero che ho detto che secondo me lei tradisce un atteggiamento conservatore e narcisistico, ma per quello che ha scritto, non per quello che fa -che non solo ignoro del tutto, ovviamente, ma che lei sottace: m’avesse detto prima che fa tutte queste cose, invece di elencare quelle quattro fesserie burocratiche del post delle 09.45, le avrei detto subito che ero d’accordo.

    Io dico che il sistema ministeriale rigido e -ribadisco- seguito da fin troppi colleghi ci impone delle verifiche orali fuori dal mondo, il cui unico vantaggio è che possono essere parzialmente eluse, e lei si arrabbia perché si sente offesa.
    Ma la vuole piantare di vedere rosso? Sono un polemico anche io, che diamine, ma almeno cerco di ragionare su quello che scrivo!

    Con CdD, per ritornare alle origini, lei ha fatto lo stesso: CdD se la prende con quegli insegnanti che non fanno nulla di quello che fa lei e poi bocciano. Ma no, lei deve prenderla sul personale, si deve infuriare: CdD ce l’aveva con lei, è chiaro.

    Il suo schema è sempre quello. Uno fa un ragionamento generale, o su altri insegnanti, e lei risponde “Ehi amico, che ce l’hai con me”?

    Anzi, è un sillogismo: Uqbal (nb: uqbaL) critica la scuola italiana, io sono un’insegnante della scuola italiana, Uqbal ce l’ha con me. Il passaggio finale è brillante: Uqbal pensa di essere l’unico a fare cose belle.

    L’articolo sul Post lo condivido, lo sottoscrivo e quindi lo linko per rispondere alla sua domanda su come veda io l’insegnamento.

    Se poi uno è così sciocco (oh, non so come altro esprimermi a questo punto) da prenderlo come un’offesa personale, che posso dire? Mi sembra un’ulteriore conferma del fatto che qua abbiamo un serio problema di permalosità. Ma proprio grosso. E che mi sembra quel vizio di ragionamento che ha stravolto la comprensione sia dell’articolo di CdD sia di quasi tutti i commenti successivi. E forse per carità di patria è meglio se mi fermo qua.

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  36. @uqbar: il tuo problema lo hai perfettamente identificato tu nell’ultimo commento: senza conoscermi, e senza peraltro nemmeno leggere bene quanto avevo scritto, mi hai immediatamente classificato secondo i tuoi stereotipi, perché in realtà tutti i tuoi commenti sono già partiti fin dal primo dal preconcetto che io fossi una cretina, pigra conservatrice e narcisista. Il che peraltro, anche se fosse vero, non è un modo particolarmente efficace di cominciare un dialogo con chicchessia, se si vuole parlare davvero.
    Quando un blog come il Corpo delle Donne scrive un post che genericamente attacca gli insegnanti con parecchie imprecisioni (e la totale ignoranza della legislazione in merito lo comprova: suggeriscono di fare cose per legge sono già previste) chi come me e come tanti altri lavora invece nella scuola si sente chiamato in causa: non per narcisismo, per precisione. Volevano scrivere un post serio? Andavano alla scuola di Pontremoli, si informavano per esempio un po’ meglio sulle bocciature (le famiglie erano state avvertite? i bimbi avevano ricevuto tutto l’aiuto che davvero spettava loro? Le bocciature erano state concordate?) e poi, semmai, ci scrivevano sopra un post di denuncia, stavolta motivato e cogente, non una inutile e qualunquista sparata nel mucchio in cui, partendo dalle elementari, si va poi cianciando di accoglienza fino ai 15 anni. Questo ho contestato al Corpo delle Donne, e questo a quanto pare non riesci a capire nemmeno tu: che se si butta la faccenda sul “siamo tutti colpevoli, la scuola fa schifo nel complesso, gli insegnanti sono dei conservatori deficienti che non sanno valutare ed essere pietosi” qualche insegnante che ti manda affanculo lo trovi subito, e a ragione.
    Quanto al resto, Uqbal io non ce l’ho affatto con te personalmente: solo che continuo a rimanere piuttosto perplessa sulla totale impreparazione normativa di cui hai dato evidente prova nel contraddittorio, che mi preoccupa, perché vuol dire che quando lavori non sai nemmeno bene di preciso a che leggi devi fare riferimento per aiutare i tuoi alunni; il che, per un insegnante, è una mancanza professionale non da poco. Mi preoccupa il fatto che tu evidentemente non hai capito cosa prescrivono le normative sui programmi, e quindi non ti rendi conto che non sei innovatore, fai solo quanto è previsto. Mi preoccupa inoltre il disprezzo malcelato che nutri nei confronti di noi colleghi, perché io, in tanti anni che insegno – sarò stata anche fortunata, ma mi pare strano – ho incontrato sì un paio di colleghi un po’ rigidi, ma per il resto ho sempre avuto a che fare con gente molto sveglia, che tutte le cose che tu presenti come innovative e poco diffuse le fanno d’abitudine, e da anni (E qua solo siamo in due, io e guardaitreni a testimoniarlo), tanto che sono considerate assolutamente normali. Se li tratti così, non mi stupisce che siano permalosi.

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  37. Galatea

    Continui ad inseguire i suoi fantasmi. So di essere un polemico e di aver usato toni accesi (anche perché i suoi, sull’articolo, non erano da meno), ma lei continua a portare avanti una discussione che non ha praticamente nulla a che fare con quel che ho detto o che sostengo.

    Prego, si arrabbi, sbraiti, faccia, si metta in posa, si senta parte in causa di accuse non rivolte a lei, si trovi pure una qualche barricata, sono sicuro che si divertirà.

    Ma io ritengo di averne avuto abbastanza. Sulla mia ignoranza delle leggi, la pensi come vuole, se la fa sentire meglio. Non argomento oltre, perché non voglio costringerla a ripetermi che non è una cretina.

    Buona giornata.

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  38. non è poi un dramma far ripetere un anno, in fondo la scuola è un servizio, come un imbianchino: una mano di pittura non basta? allo stesso prezzo, se ne ridà un’altra

    l’importante è non umiliare nessuno

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  39. @uqbal: ho apprezzato la metafora dell’amputazione perché offre la possibilità di chiarire il pensiero di Galatea: non bocciare gli alunni che non raggiungono gli standard previsti equivale al non amputare un piede in cancrena. A quel punto, i giochi sono fatti: può essere colpa dell’insegnante, della famiglia o del bambino, ma è del tutto irrilevante: impedire la bocciatura creerà più danni di quelli che risolve.
    Ogni insegnante di un ciclo di studi intermedio ha esperienza di studenti che sono stati “mandati avanti” nonostante grosse lacune, col risultato che tali lacune non si colmano successivamente, ma aprono delle vere e proprie voragini nelle capacità di apprendimento future.
    Un insegnante che si trova in classe un ragazzo che non ha le competenze che gli sono certificate dal titolo di studio non ha la possibilità di fermare l’intera classe per risolvere i problemi del singolo, col risultato che rimandare l’inevitabile accresce inevitabilmente il problema in modo esponenziale.
    Non arrivare ai requisiti minimi in prima elementare sarebbe, nel tuo dire, un problema di unghie incarnite, ma dovresti sapere che più ci si allontana dal punto di partenza e più è impegnativo correggere un errore di rotta. Un bambino di quinta elementare che non sappia fare le moltiplicazioni ha un problema molto più grave di uno studente di quinta liceo scientifico che non sappia fare uno studio di funzione.
    In definitiva, un medico non sarebbe un buon medico se si rifiutasse di amputare per il senso di colpa di non aver impedito il peggioramento della malattia.

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  40. @gigi Benissimo. Ha proprio usato il linguaggio di una persona civile e retta: “quella cosa che ho fra le orecchie” la dice lunga sulla sua statura morale e sul suo modo di intendere i dibattiti. Per me l’incidente è chiuso, nel senso che non ho alcun interesse a discutere con lei.
    @uqbal Anche in Italia, alle elementari, è necessario il coinvolgimento della famiglia per decidere le bocciature. Negli altri ordini, è ormai una prassi molto diffusa. Ma tant’è …

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  41. @Cariello

    A quel punto, anche “abbassare gli standard” vorrebbe dire fare il medico pietoso (che la legge lo permetta non è rilevante). Ma più importante è che, come nota Floria con bibliografia e dati alla mano, la bocciatura non appare correlata a reali miglioramenti o recuperi (http://www.contaminazioni.info/?p=153).
    Per ritornare alla sua metafora, avrebbe secondo me senso se considerassimo l’amputazione l’unica cura alla deviazione dalla rotta. Io vorrei si prendessero in considerazione anche gli antibiotici, i disinfettanti, le fasciature e le pomate. L’amputazione, peraltro, non è priva di conseguenze (non è mica bugia che abbatte l’autostima, sradica un bambino/ragazzo dalla vita coi suoi coetanei, ecc. ecc. -Vittorino Andreoli può essere un buon riferimento: “Lettera ad un insegnante”).
    L’accumulo di irrecuperabili difficoltà nel corso del tempo è un problema serio soltanto in un ottica skinneriana, a mio avviso. Alle elementari in particolare (ma sulla primaria la competenza è generica) non credo ci siano propedeuticità così stringenti da non poter recuperare in 4 anni anni i deficit del primo anno -o in 3 quelle del secondo e così via.
    Chi è in difficoltà non necessariamente diventa un peso per gli altri, soprattutto se non si usa in maniera prevalente la lezione frontale e il cadenzamento rigido degli argomenti, ovvero il famoso e famigerato programma (sempre skinneriano). Esistono il peer teaching, i lavori di gruppo, la didattica per problemi, esistono tante cose per ovviare allo “sbilanciamento” (molte menzionate da Galatea) ed evitare che le persone in difficoltà “rimangano” indietro, concetto che può esistere soltanto se si immagina l’apprendimento come una marcia regolare. E’ evidente che io ho un’idea molto più fluida dell’apprendimento (che non sarà perfetta, ma mi ci trovo meglio).

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  42. @lector No, non credo mi abbia ben interpretata. Io credo che il dialogo autentico tra le persone sia fondamentale. Esprimo sempre le mie opinioni e ascolto volentieri gli altri. Nel lavoro, non manco mai di portare il mio punto di vista e di tenere in debito conto quello degli altri. Una cosa, però, metto sempre in conto, ed è il linguaggio usato, dal quale si deduce se due persone sono all’interno di un contrasto (scontro fra idee diverse), o all’interno di un conflitto (scontro per il potere). Nel secondo caso, io mi sottraggo (non frequento i blog dei naziskin, dicevo per esemplificare) perché non vale mai la pena, secondo me.
    Nel primo caso, quello del contrasto, entro volentieri.
    Il mio primo intervento era dovuto all’osservazione, non occasionale, ma sistematica, che i commenti delle due persone citate di solito sono di tipo confutatorio. In uno di questi, addirittura, Galatea veniva additata come un tipo di insegnante fatto così e così. In seguito, a me è stato detto che non uso la cosa che ho fra le orecchie: a me, non al mio commento, è stata fatta una critica. L’esperienza mi insegna che, quando dalla critica alle idee o alle azioni si passa alla critica alle persone, si è entrati nel conflitto. In proposito, io che sono una superficiale, come anche si è detto sopra, inviterei a leggere il bel libro di Marie France Hyrigoien dal titolo “Molestie morali”: spiega meglio di me come un certo tipo di linguaggio sottintenda una lotta per il potere ( sono un parlatore migliore di te, devo avere l’ultima parola, le mie idee sono migliori delle tue…)che forse non è la parte migliore delle comunità virtuali. Come dice Howard Gardner nel suo ultimo libro, entrare correttamente nei nuovi media presuppone la capacità di estendere al Web “l’etica di vicinato”. Questo solo, intendevo: quando si viene qui a dissentire sulle idee di Galatea, lo si faccia con le stesse modalità che si usano per la vicina di casa insegnante incrociata sulle scale. Con educazione.

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  43. Fatico a capire il senso dell’intera discussione… faccio un passo indietro… il concetto di “preparare”, è ancora in auge? La scuola dovrebbe dare strumenti importanti per la vita successiva, giusto? Altrimenti si starebbe volentieri tutti a casa.

    Quindi se tu questi strumenti, nonostante ripetizioni, programmi su misura e quant’altro, proprio non sei riuscito ad acquisirli nell’anno in corso, hai diritto che ti diano il tempo di acquisirli, o no? Ma non è proprio la bocciatura a darti un anno di quel tempo?
    Perché cacchio “bocciare” è visto come un sopruso? Non è casomai costringere ad andare avanti anche se non hai imparato quel che ti serve a essere una violenza orrenda?

    La vera ingiustizia non è forse essere mandato fuori dalla scuola dell’obbligo senza che nessuno ti abbia dato il tempo per imparare ciò che ti potrebbe essere utile per proseguire gli studi, e che non potrai realisticamente imparare mai più?

    Ti rovinano la vita non bocciandoti quando avrebbero dovuto, non il contrario.

    Ovviamente nell’ottica “ideale” in cui la scuola ti insegni cose che ti servono, ma questo è tutto, completamente, un altro lungo e scorrelato discorso. Qualora così non fosse infatti il problema non sarebbe bocciare o non bocciare, ma frequentare o non frequentare.

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  44. @Anna
    Non stavo parlando con te.

    @GuardaITreni
    “In seguito, a me è stato detto che non uso la cosa che ho fra le orecchie: a me, non al mio commento, è stata fatta una critica. “
    -> Tu mi hai attaccato sul personale accusandomi di fare “del cavillo la mia ragione di vita”.
    Che e` una critica a me, non al mio commento.
    Io ti ho risposto al tuo livello.
    Di che ti lamenti?
    Chi pretende educazione dagli altri dovrebbe prima impararla lui.
    Non ti pare?

    @Hacksaw 
    “Perché cacchio “bocciare” è visto come un sopruso? ”
    -> Perche` comporta un trauma sul bambino che si vede come “inferiore” rispetto agli altri che invece vengono promossi.
    Capisco se succede in terza liceo, ma in prima elementare e` crudele.
    Che colpa ne ha il bambini in prima elementare se non capisce?

    Gigi

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  45. @gigi: tu del cavillo hai fatto una ragione di vita, è un dato di fatto. E rispondi male un’altra volta @guardaitreni e ti sbatto fuori sul serio.
    Quanto alla tua idea di non bocciare i bimbi alle elementari perché sennò hanno un trauma. E neanche alle medie, perché sennò hanno un trauma. ok, poi però non ti lamentare se arrivano alle superiori che non sanno nemmeno leggere e scrivere, e di conseguenza non servono al mondo del lavoro. Le cose sono collegate, eh.

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  46. @–>Guardaitreni
    No, non credo mi abbia ben interpretata.
    Sicuramente è così e chiedo scusa per aver travisato. Purtroppo sono i limiti del mezzo informatico; ben diverso è quando ci si può guardare direttamente negli occhi.
    In ogni caso, e l’interessato non me ne voglia, vorrei ri-spendere una parola in favore di Gigi (l’ho già fatto alcuni mesi or sono), che viene spesso trattato come se dicesse sempre delle bestialità, mentre – imho – mi pare che più di qualche volta c’azzecchi. Oddio, è vero che ogni tanto ha delle cadute di stile che rischiano di pregiudicare gli aspetti positivi dei suoi interventi, ma non credo che per tali uscite meriti pregiudizialmente un trattamento tipo “Gente per bene gente per male” dell’indimenticabile Lucio Battisti.

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  47. @Galatea
    Continuate pure a insultare, io mi chiamo fuori.
    Riguardo al resto del tuo intervento, e` inutile parlare perche` io scrivo banane e tu leggi arance.
    Ho gia` spiegato che *secondo me* il saper leggere e scrivere perfettamente non sono necessarie per avere successo.
    Quindi non e` vero che chi non sa leggere e scrivere bene non serva al mondo del lavoro, e` un` idea (sbagliata) che ti sei fatta tu.
    Riguardo allo “sbattermi fuori”, accomodati pure quando vuoi.

    Gigi

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  48. Visto che anche Lector dice che ho delle cadute di stile, intervengo subito per correggermi e dire che *secondo me* l` idea della Sig. ra Galatea (che chi non sa leggere e scrivere bene non serve al mondo del lavoro) e` sbagliata.
    E` una mia opinione, soltanto.
    Chi non e` d` accordo, s` accomodi.

    Gigi

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  49. @gigi: Saper leggere e scrivere, caro il mio Gigi, non vuol dire saper comporre poemi. Vuol dire saper leggere capendo cosa c’è scritto un libretto di istruzioni per un macchinario, capire cosa prevede il contratto di lavoro che ti è stato offerto, saper scrivere una lettera di rimostranze al sindacato se ti discriminano. Sì, ci credo che al mondo del lavoro non servano persone che “sanno leggere”. Così li fregano meglio.
    E sinceramente io non ho mai conosciuto nessuno, nemmeno l’imprenditore più ignorante, che non avesse imparato a capire cosa prevedeva il contratto che firmava, non sapesse fare i conti giusti per far quadrare il bilancio, non fosse in grado di leggere un articolo per informarsi delle ultime novità del suo campo. Se non si sanno fare queste cose, non si va da nessuna parte, se non al disastro. Poi continua pure a credere che il mondo possa svilupparsi nell’ignoranza felice, eh.

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  50. @uqbal: Negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione: le cinque fasi di elaborazione di un trauma. Qualunque persona a cui venga proposta l’amputazione cercherà di “negoziare” una soluzione meno invasiva: «vi prego, ancora altri antibiotici, altre pomate». D’altro canto, reputo alquanto improbabile che i pochi, pochissimi casi di bocciature alle elementari avvengano sulla base di scelte a cuor leggero: la loro rarità suggerisce che le soluzioni alternative sono state vagliate e scartate.
    Il motivo delle amputazioni è che la situazione è fuori controllo: un programma di studi è un’ipotesi: l’ipotesi che ci voglia un tot di tempo e di energie e di disciplina per portare un alunno ad un determinato stato. Se la situazione finale fosse leggermente sotto le attese, si potrebbe fare una stima della capacità di recupero. Ma una situazione critica è diversa: non si è in grado di stimare la possibilità di recupero e il rischio che quel recupero non avvenga mai diventa realistico: se un bambino che non ha appreso le competenze di seconda elementare viene ammesso alla terza e questo grosso deficit gli impedisce di apprendere le competenze di terza elementare, che si fa? gli si fa ripetere la terza? lo si rimanda in seconda? Alla fine di un ciclo è troppo tardi per riconoscere che non si è riusciti a correggere gli errori fatti.

    Riguardo al post di Floria, l’abbassamento dell’asticella sta causando danni incalcolabili, ormai siamo al giro di boa: gli studenti formati con criteri di validità più “rilassati” stanno diventando a loro volta insegnanti e ci vorranno intere generazioni per recuperare una crisi sistemica. Questa pedagogia non sta formando degli insegnanti migliori di coloro che li hanno preceduti.
    Mentre noi stiamo qui a discettare di cosa sia più o meno “cultura”, la situazione è che la maggior parte dei laureandi in Lettere non passano l’idoneità di italiano scritto al primo appello. Mentre suggerisci di “assecondare le suggestioni”, ci sono ragazzi di sedici anni che studiano al liceo e non sanno indicare la Scandinavia sulla cartina geografica. Mettiamo i piedi per terra!

    Infine, una questione di metodo: a che età andrebbe insegnata la disciplina? Mi pare che l’Italia sia uno di quei paesi dove fa parte della cultura generale l’idea che sia sempre possibile procrastinare le conseguenze delle proprie azioni, la resa dei conti, il momento della verità. Sicuramente un contributo fondamentale a questo fenomeno lo dà la formazione scolastica. Accettare le conseguenze delle proprie azioni è una lezione importante, perciò mi chiedo: a che età andrebbe insegnata? Forse a 7 anni è troppo presto, ma certamente a 10 è troppo tardi. Sicuramente un ragazzo di 11 o 12 anni non può aspettarsi che avendo cazzeggiato tutto l’anno, alla fine riuscirà a sfangarla. O sì?

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  51. La vita è dura di suo. Se sei ignorante lo è ancora di più.
    Ringrazierò sempre chi, con garbo e onestà intellettuale, mi farà notare l’ignoranza mia o dei miei figli.

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  52. Cara Galatea,
    come ti ha gia` fatto notare un` altra persona qui, se mi permetti, tu hai il vizio di mettere in bocca agli altri una versione deformata di quello che dicono per farli sembrare in torto.
    E non e` la prima volta che lo noto.
    Io ho detto che il saper leggere e scrivere bene non e` necessario per avere successo nel lavoro e che non ritengo sia necessario bocciare alla scuola dell` obbligo.
    Ho anche presentato l` esempio di imprenditori che non sanno letteralmente parlare in italiano e che dirigono aziende che fatturano centinaia di milioni di euro.
    Io Giovanni Rana l` ho sentito parlare dal vivo.
    Molti ministri (Mastella in primis, ma molti altri) non sanno usare il congiuntivo, per dirne un` altra.

    Tutto il resto che mi hai messo in bocca te lo sei piu` o meno inventato tu.

    Gigi

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  53. @–>Gigi
    “imprenditori che non sanno letteralmente parlare” e “ministri [che] non sanno usare il congiuntivo”
    Scusa, Gigi. Ma questo ti sembra un valore da perorare o da accettare supinamente?
    Non è che, forse, se vi fosse maggiore sensibilità generale per il conoscere ( non dico per “la cultura”, che è una parola grossa), nel senso auspicato da Galatea, avremmo anche una società dove si ragiona meno con la pancia e più con il cervello? Non è che, magari, se fossimo in grado di capire meglio ciò che facciamo o leggiamo (a qualsiasi livello: dall’idraulico all’avvocato, dalla starletta della tivù al campione di calcio), le nostre scelte, le scelte di tutti noi, potrebbero essere orientate più razionalmente anche verso un sano utilitarismo benthamiano, di quello che ti fa capire che, spesso, è preferibile un bene futuro più grande a un meschino vantaggio immediato? Che, un piccolo sacrificio oggi, può dare molto più grandi risultati domani?

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  54. Scusatemi. Giusto per capire (da persona che è stata bocciata nella sua vita, pure se in prima superiore, e nonostante il trauma momentaneo è cresciuta nella convinzione che sì, in fondo la bocciatura ci stava tutta, e che dopotutto non era quello a creare l’abisso tra lei e il resto del mondo…), ma perché pensate che sia del bambino, il problema della bocciatura? Quando il bambino ha intorno adulti che spiegano a lui e soprattutto agli altri non bocciati che cosa significa quel suo dover ripetere un anno, si può provare ad arginare il trauma. Io però ho la sensazione che l’interesse primario, in queste discussioni su bocciatura e non bocciatura, non sia per il bambino ma per l’adulto che non ammette il fallimento del figlio o ha un’idea della scuola che è più simile al parco giochi che non a un luogo dove si comincia a imparare anche a reagire alle eventualità della vita. E nelle eventualità della vita esiste anche la conseguenza del non avere appreso abbastanza per passare al gradino successivo. Certo che se la bocciatura viene demonizzata in questo modo da chi dovrebbe avere ormai avere esorcizzato il terrore del fallimento, non vedo molte vie di scampo per i poveri bambini che si troveranno ad affrontare le primarie. In quest’ottica, in effetti, è meglio non bocciarli. Altrimenti gli adulti che hanno intorno non sopporteranno l’onta del fallimento.

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  55. @Gigi il trauma è momentaneo, l’ignoranza rischi che tagli le ali a una persona per tutta l’esistenza. Del resto, di traumi che insegnano cose importanti è piena la vita.

    Un bambino che ha bisogno di altro tempo per imparare cose fondamentali, ha DIRITTO di essere bocciato. E’ parte del suo “diritto allo studio”, che è “diritto di sapere”, non di essere parcheggiato una decina d’anni in un’aula.

    Un bambino avrebbe anche diritto a genitori che gli insegnino che ripetere l’anno non è una sconfitta ma un’opportunità e che non ne facciano la tragedia che non è. Purtroppo invece gli tocca tenersi i genitori che ha, ma dove starebbe la responsabilità della scuola in questo?

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  56. @Lector
    Per cortesia, non mettermi anche tu in bocca parole che non ho mai detto.
    Io ho detto che una persona che e` ignorante puo` riuscire nella vita, non ho detto che l` ignoranza e` un valore.
    Io ho poi sostenuto che la scuola come e` fatta, anzi, come lo era quando ci stavo io circa 20 anni fa, fornisce piu` nozionismo che cultura.
    E che la “maggiore sensibilita` per il conoscere” molto spesso non te la da` la scuola.

    @Hacksaw
    Stai facendo delle generalizzazioni che non portano da nessuna parte, *secondo me*.
    Se uno non studia a 10 anni non vuol dire che non studi a 15 o 18 quando si magari si puo` accorgere che studiare serve.
    Non sta scritto da nessuna parte che una persona che e` uscita dalle medie o dal liceo con il minimo raffazzonato poi debba per forza rimanere un ignorante fino alla morte.
    Ne` che non debba riuscire nella vita.
    Posso dare esempi a valanga su questo.
    Se alcuni traumi sono necessari, non per questo si devono darli quando possono essere evitati.
    .. e via continuando ..

    Gigi

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  57. @Cariello

    L’apprendimento non è la progressione aritmetica (l’impostazione skinneriana “stimolo-risposta”) che mi sembra tu ti rappresenti. Ci sono basi e propedeuticità, ma l’insieme dell’apprendimento non è così deterministico come appare dalle tue considerazioni. E’ molto più irregolare, con fughe in avanti, intervalli, avvitamenti, slanci, cadute, riavvolgimenti e riprese. E’ così per tutti, e a maggior ragione per persone non adulte.
    La bocciatura su tale processo non interviene: la bocciatura è semplicemente uno stigma ed una punizione (e quindi un comodo strumento di controllo: una minaccia).

    Certo, esiste l’elaborazione del lutto, ma escludo che vivere quello della propria autostima sia una esperienza pedagogicamente valida. E i dati mi danno ragione, sia quelli statistici citati da Floria, sia quelli della psicologia (Andreoli ma non solo). Peccato che quei dati e con quegli studi non sembri volerli prendere in considerazione.

    E su questo vorrei sottolineare una cosa: tu, Julka75 e hacksaw e altri potete certamente dire che la bocciatura andrebbe vissuta in un certo modo, interpretata in senso costruttivo e vissuta serenamente. Peccato che questa sia una mera fantasia. Io posso anche andare in giro a dire che un divorzio è un’esperienza tutto sommato normale ma non è così che reagiranno i divorziandi, per la semplice ragione, in un caso come nell’altro, che la nostra realtà psicologica in media è diversa e va da tutt’altra parte. Figurarsi bambini e adolescenti! E ribadisco: messi di dati confermano quel che dico, e se li vuoi contestare li devi almeno citare.

    Certo ci saranno pure quelli che la bocciatura la vivono bene, ma sono una minoranza tale che possiamo lasciarla perdere. Se fosse una cosa così pacifica non avremmo il fiorire degli istituti di recupero anni, peraltro.

    Riguardo “all’abbassamento dell’asticella” e alle rovinose conseguenze che seguono, c’è da fare qualche considerazione. Uno: non sono granché convinto che l’asticella sia mai stata particolarmente in alto. Due: stai giocando ad un comodo sfascismo da “o tempora o mores” che però è un po’ un luogo comune. Tre: se la scuola sta producendo tanti sfasci, se la gente non impara, se le famiglie sono tanto balorde e i professori tanto scarsi, allora dobbiamo farci delle domande: o ce la prendiamo, nella presunzione che noi non abbiamo nulla da cambiare, col destino cinico e baro, con il malefico influsso delle nuove tecnologie (à la Mastrocola) e con l’incultura delle famiglie (i cui genitori però dovrebbero aver fatto le care vecchie scuole tutte d’un pezzo), oppure dobbiamo un po’ rivedere la fisionomia della scuola, anziché farla girare ancora sul principio su cui ha sempre girato: “Studia o ti boccio”.

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  58. @–>Gigi
    “Per cortesia, non mettermi anche tu in bocca parole che non ho mai detto”.
    Non era mia intenzione.
    “Io ho detto che una persona che e` ignorante puo` riuscire nella vita, non ho detto che l` ignoranza e` un valore”.
    Su questo sono perfettamente d’accordo. Tuttavia, quando su argomento analogo alcuni mesi or sono ti replicai che per me il “successo” (bisognerebbe però concordare sul significato da attribuire a tale termine) nella vita dipende molto più dalla fortuna (intesa anche come qualità “congenite”) che dalla preparazione di ciascuno, hai fortemente avversato questa mia posizione.
    “Io ho poi sostenuto che la scuola come e` fatta, anzi, come lo era quando ci stavo io circa 20 anni fa, fornisce piu` nozionismo che cultura.”
    Quando vedo quadretti come quello del “Lorenzo” dell’impareggiabile Corrado Guzzanti (credo, il miglior comico oggi in Italia), mi viene tanta nostalgia della vecchia scuola nozionistica di gentiliana memoria.
    “E che la “maggiore sensibilita` per il conoscere” molto spesso non te la da` la scuola.
    La scuola da sola non ha mia fornito questa sensibilità. Ci sono migliaia di altre esperienze “formative” che convergono nella gestazione del carattere e della personalità d’un individuo. Poi, è noto che non tutto il male viene per nuocere. Non necessariamente un ragazzo, vessato e discriminato nel proprio periodo scolastico, diventa per forza un disadattato. Proprio da quelle vessazioni e discriminazioni alcuni potrebbero trarre la forza di reagire e di superare gli altri. I nostri “vecchi” dalle privazioni delle due guerre, hanno ricavato un carattere che i giovani d’oggi, cresciuti nella bambagia, neppure si sognano. Non esistono “formule” in queste cose, ma solo un corretto gioco delle parti. Per questo condivido il discorso di Galatea: lei fa l’insegnante e lo deve fare nel miglior modo possibile; il resto, è comunque al di fuori della sua possibilità di intervento.

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  59. @uqbal: francamente, non chiedo di essere messo nel gruppo dei pietisti, né di quelli che “infondo non è così male”. Essere bocciati fa male al cuore, ed è proprio lo stesso genere di dolore che si prova ad essere rifiutati ad un colloquio o a non passare ad un concorso o a perdere un cliente. C’est la vie, dicono i francesi, meglio farci il callo da subito: non si può essere tutti promossi in un sistema meritocratico (è la Costituzione che parla di “capaci e meritevoli”) e se si vuole stare tra chi non soffre, è meglio un po’ di sacrificio a tempo debito.

    Riguardo ai principi della scuola, contesto proprio l’ipotesi: la scuola ha cominciato a peggiorare in termini di risultato proprio quando ha abbandonato lo “studia o ti boccio” verso un insieme variegato di teorie pedagogiche che assolvono gli studenti dal portare dei risultati sulla base del contesto di provenienza, di millemila tipi di excusatio che assomigliano molto a “il cane mi ha mangiato i compiti”.
    Certo, è aumentato il numero dei frequentanti: come si è ottenuto questo bel risultato? Rendendo la scuola un sistema idraulico il cui unico scopo è farli arrivare il più possibile all’altro capo del sistema, indipendentemente da ciò che hanno appreso, e siccome questo genera degli incapaci, l’unica soluzione è aumentare all’infinito il ciclo di studi, al punto che tra un po’ ci vorrà un master per fare il portalettere. Come si dice…”ormai un diploma non si nega a nessuno”, o una laurea, tant’è. Alla fine, la parola “sconfitta” la appone l’economia, chiedendo di eliminare il valore legale dei titoli di studio.

    Infine, una considerazione sui dati che “ti danno ragione”. Se avessi avuto l’accortezza di leggere il documento citato da Floria per intero, avresti notato che le conclusioni riportate non derivano da alcun dato statistico: semplicemente la conclusione è un copia-e-incolla della premessa, derivante da un altro documento “Migliorare le competenze per il 21° secolo: un ordine del giorno per la
    cooperazione europea in materia scolastica”, che non ha alcuna base statistica di riferimento. In altre parole, non esiste una statistica che metta in correlazione le bocciature ad un peggioramento delle competenze degli studenti in difficoltà. La tesi dell’Unione Europea è che il fenomeno da combattere a qualsiasi costo è l’abbandono scolastico, perché la scuola ha una funzione di coesione sociale, e quel “a qualsiasi costo” è stato preso un po’ troppo alla lettera.

    Piuttosto del “volemose bbene” della Vassiliou (non so se avete notato la somiglianza estetica e d’intenti con Dolores Umbridge), ritengo molto più incoraggianti le parole di Barack Obama (http://www.whitehouse.gov/MediaResources/PreparedSchoolRemarks/), che citando Micheal Jordan dice “I have failed over and over and over again in my life. And that is why I succeed”.

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  60. @Cariello

    “Riguardo ai principi della scuola, contesto proprio l’ipotesi: la scuola ha cominciato a peggiorare in termini di risultato proprio quando ha abbandonato lo “studia o ti boccio” ”

    Puoi documentare questo peggioramento? Perché a me non è chiaro di cosa stai parlando. Dalla media unica? da Berlinguer? dalla Gelmini? Le rilevazioni Ocse-Pisa sono cominciate nel 2000 e pur certificando la mediocrità (ad essere generosi) della scuola italiana, non segnalano cali particolari negli anni coperti dalle rilevazioni.

    Sul fatto che un diploma non si nega a nessuno, ricordo che la scuola italiana superiore ha un tasso di abbandono del 20%. Piano, con i luoghi comuni.

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  61. @gigi Se ti attieni al discorso sui ritardi più seri, quelli che richiedono una bocciatura alle elementari, non è generalizzazione è statistica: è quasi impossibile che si riassorbano senza dare più tempo. Del resto è una questione pratica: chi esce dalle elementari con forti difficoltà, a “leggere”, mi spieghi come farebbe alle medie a “studiare”? Come affronti le espressioni se non hai mai imparato le operazioni?

    Alle superiori è più facile (ne conosco anch’io di gente che ha recuperato), ma quando mancano le basi minime, a recuperarle E INSIEME tenere il passo sono veramente pochissimi. Inoltre, il problema è che se ci riescono, è sempre e solo al costo di faticare almeno il doppio degli altri, facendosi il mazzo quando gli altri giocano, costantemente sotto pressione dei genitori ecc.
    Se la bocciatura è un trauma, a volte prendere che il rendimento scolastico migliori senza bocciare è sevizie!

    Infine, caro Gigi, non me ne volere, ma obiettivamente nel tuo caso accusare altri di “generalizzare”, ti fa fare un po’ la figura del classico bue che dà del cornuto all’asino. E mi fermo qui.

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  62. @uqbal: le statistiche sul numero dei bocciati le raccoglie l’ISTAT. Prendiamo ad esempio quelle dei licei classici e scientifici a pagina 30 di questo PDF: http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120118_00/cap_7.pdf. Ad eccezione di un periodo di particolare magnanimità nel 1976-77, è possibile verificare un trend decrescente nel numero dei ripetenti sul totale degli iscritti, con un punto di rottura ed un decennio di ribassi iniziato proprio col secondo governo Berlusconi. Se, come tu stesso confermi, la qualità del risultato scolastico non è migliorata, ma nella migliore delle ipotesi è rimasta invariata, di certo il dimezzamento delle bocciature da percentuali a due cifre verso i numeri attuali non si può considerare un elemento statisticamente correlabile al miglioramento qualitativo. Anche i fenomeni di andamento della domanda formativa sembrano tutto sommato slegati dalla logica delle bocciature.

    In definitiva, le bocciature non sono calate perché gli studenti sono diventati improvvisamente dei geni della matematica o del latino, ma per una lunga serie di aggiustamenti dei criteri di valutazione e del modus operandi dei docenti, che hanno reso molto più difficili le bocciature. Per molti anni tutto ciò non ha comportato variazioni sostanziali nell’offerta formativa, ma solo un maggior numero di persone con accesso all’università. Con l’ovvia necessità di aumentare le tasse universitarie e ridurre le borse di studio per far fronte alla domanda e svantaggiando coloro che sono realmente “capaci e meritevoli”.

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  63. Cariello
    Sei consapevole che i licei classici e scientifici sono una parte minoritaria dell’istruzione italiana, sì?

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  64. “Perché cacchio “bocciare” è visto come un sopruso? ”
    > Perche` comporta un trauma sul bambino che si vede come “inferiore” rispetto agli altri che invece vengono promossi.
    Capisco se succede in terza liceo, ma in prima elementare e` crudele.
    Che colpa ne ha il bambini in prima elementare se non capisce?

    Qui ritrovo uno dei fraintendimenti più grossi, e dannosi, che sempre emerge presto o tardi quando si parla di questi argomenti.
    E cioè la confusione tra l’essere, di fatto, inferiori per livello culturale (nel senso più ampio del termine, ma pure sociale-emotivo oserei dire); e l’essere inferiori, cioè meno degni, come persone.
    La confusione tra l’avere una mancanza, anche solo temporanea, caratteristica che più umana non si può e che è perfettamente comprensibile e sopportabile; e l’avere una colpa, un marchio, un qualcosa di disprezzabile.
    Equivalenze improprie, che però non nascono da chi pretende, ma da chi permette.

    Ciò che constato io – lo so, è poco, ma mi pare significativo – è che quando andavo alle allora denominate elementari i compagni ‘somari’ facevano ridere, sì, ma poi li si aiutava, ci si dispiaceva sinceramente se rimanevano indietro (pur nell’arco di uno stesso anno passato insieme): quello sì, era un piccolo trauma. Ma non ci sognavamo di pensare che qualche mostro cattivo ci stava portando via un compagno, al massimo lo incalzavamo perché si desse una svegliata. Sì, alle elementari…
    … oggi che frequento l’università, invece, mi scontro di continuo con la faccia di tolla di chi, se per sbaglio ti permetti d’essere un minimo interessato e partecipante e magari – Dio non voglia! – usi parole come discernimento, ridacchia ostentatamente. Ridacchia.
    A ciascuno le proprie considerazioni.

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  65. @Denise

    Come ho gia’ avuto modo di dire, per quanto questa differenza in astratto, forse, potrebbe anche esistere, in pratica la bocciatura riversata su persone non adulte (o bambini!) non permette questa distinzione: di fatto verra’ sempre vissuta come un giudizio sulla persona.
    Avete voglia a dire che non e’ cosi’, ma non lo decidete voi come funziona la testa della gente.

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  66. @uqbal: come ho specificato, si tratta di un’analisi parziale, ma indicativa, dell’andamento delle scuole superiori. Leggendo gli altri dati nel medesimo documento, pare che il trend sia pressoché identico per gli istituti magistrali e scommetto che se ottenessimo i dati disaccorpati degli istituti di ragioneria e geometri arriveremmo alle medesime conclusioni. Oltre metà dell’offerta formativa della secondaria superiore ha risentito del medesimo andamento.

    Se poi andiamo a vedere i dati delle scuole primarie e secondarie inferiori (http://seriestoriche.istat.it/fileadmin/allegati/Istruzione/tavole/Tavola_7.5.xls), l’andamento della ripetenza conferma in modo ancora più lampante il trend. Spero che con quest’ultima iniezione di dati, che ci porta ad una copertura pressoché totale della popolazione scolastica, possiamo considerare definitivamente archiviata la fandonia secondo cui ci sarebbe una qualche correlazione inversa tra tasso di ripetenza e qualità del risultato formativo.

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  67. Cariello

    I dati rimangono parziali per quanto riguarda la questione “il diploma si regala a tutti” -per i quali i dati di elementari e medie, peraltro, c’entrano poco.

    In secondo luogo, noto che ancora non ci capiamo: tu dimostri -forse, e comunque in maniera molto parziale- che le bocciature stanno diminuendo. Per quanto mi riguarda, lo spero.
    Quel che devi dimostrare non è questo, ma che a questo corrisponda (e per di più in un rapporto di causa/effetto, e non di semplice correlazione) una diminuzione della qualità della scuola.
    Se poi pensi che le nuove tecniche didattiche e la ricerca pedagogica siano così deleterie, ti devi rivolgere a Galatea: lei ne usa a pacchi (e fa bene). Puoi chiedere a lei se la qualità del suo insegnamento è calata.

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  68. @ Galatea: Mi sono permesso di rebloggare il tuo articolo. Ovviamente non riesco a leggere tutti i commenti sopra, ma immagino già quale possa essere il tenore, avendo affrontato ripetutamente questioni del genere con gente che dell’insegnamento non aveva la più pallida idea ma considera progressista la promozione garantita “per non creare traumi”. Che poi vorrei che qualcuno mi dimostrasse che i traumi sono negativi, per non parlare del fatto che siano evitabili. Qualcuno di noi è cresciuto senza mai subire un trauma? Da una bocciatura ad un amore finito male? Quanto abbiamo imparato, tutti noi, dai nostri traumi? Se penso al risultato di una vita senza traumi, non so perchè ma mi viene in mente Lapo Elkaan…non proprio il genere di futuro che augurerei ai miei figli.

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  69. @uqbal: non ci intendiamo. il punto principale della mia valutazione non è la qualità dell’intervento formativo, ma la qualità del risultato. In altre parole, ammesso e non concesso che gli insegnanti insegnino in modo qualitativamente uguale a quelli di 20 anni fa o anche migliorato grazie alle nuove tecniche didattiche (non so in quale universo vivete, ma nella mia linea temporale ci sono ancora pacchi di insegnanti che si rifiutano di fare gli scrutini al computer, ma vabbé, facciamo finta che ci sia stata la rivoluzione della didattica), il fatto che a parità di risultati nei compiti in classe, poi alla fine dell’anno i cinque diventino sei e più spesso di quanto si creda anche i quattro diventano sei, implica che la qualità media dei promossi è inferiore. Non serve un’analisi statistica di una popolazione, è banale aritmetica. Questo fenomeno ha una definizione precisa: “abbassare lo standard”. I bocciati si riducono drasticamente, ma questo non implica affatto che gli studenti di oggi siano migliori di quelli di 20 anni fa, anzi proprio il contrario.
    Come ci spiega in modo limpido uno di quelli sul campo: http://scorfano.wordpress.com/2009/09/04/meccanismi-settembrini-e-non-solo/ abbassare lo standard produce un effetto collaterale che è riscontrabile parimenti in qualsiasi altro processo che debba produrre dei risultati: in mancanza di un incentivo a produrre di più che stabilisca un criterio di equità nel rapporto tra sforzo e risultato, gli attori del sistema sono meno motivati e pertanto producono di meno. Considerando che tale paradigma è assodato dall’antropologia di base (http://it.wikibooks.org/wiki/Impresa_sociale_di_comunit%C3%A0/Motivazioni_e_incentivi), ritengo che stia a te dimostrare i motivi per cui non sarebbe applicabile ad una società tutto sommato semplice come quella scolastica.

    Riguardo alle nuove tecniche didattiche, io non contesto la ricerca, quando questa non è semplicemente buonismo mascherato da una sottile patina di pseudoscienza sociale. In altre parole, le nuove tecniche didattiche possono e debbono avere lo scopo di migliorare il processo di apprendimento, non di ridefinire verso il basso il risultato atteso. Considerando che, mi pare di capire leggendo anche gli altri interventi recenti, Galatea non sia adusa a regalare le promozioni e che le scelte buoniste dei consigli di classe spesso non rispecchino la sua volontà personale, non ho alcun motivo per discettare con Galatea sull’argomento.

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  70. Appunto, uqbal: non decidiamo noi, la differenza è netta e reale.
    Si parla di bambini, non di idioti (nè in senso razionale, nè in senso emotivo).
    A patto che non abbiano genitori, o altri adulti significativi per loro, che li prendono per tali, incapaci di elaborare a loro modo quanto gli accade; spingendoli a sentirsi tali per davvero.
    Un ulteriore confusione, tra un trauma negativo ed evitabile, ed un trauma che è una crisi, un’opportunità di crescita (quello appena descritto da Luigi).

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  71. @Hacksaw
    “Come affronti le espressioni se non hai mai imparato le operazioni?”
    Quando e` stata l` ultima volta che tu ti sei trovato in difficolta` per non aver saputo risolvere un` espressione aritmetica?
    Io penso che sia molto piu` utile sapersi scegliere un buon avvocato o sapere che mangiare le cozze fa male che il 90% di quello che apprendi durante la scuola dell` obbligo.
    La stragrande maggioranza della gente usa giornalmente solo le 4 operazioni elementari, raramente qualcosa di piu`.
    E le cose veramente necessarie che apprendi durante la scuola dell` obbligo sono le quattro operazioni e saper leggere e scrivere alla bene e meglio, tutte cose che ciascuno di noi si puo` comodamente imparare da solo durante un` estate se ne ha voglia, basta comprarsi un libro.

    Per cui, bocciare e` inutile.

    @Luigi
    Tu hai detto che e` “misericordioso” uccidere a sangue freddo dei giovanotti di 18 anni disarmati, non necessariamente omicidi e a guerra finita.
    Mi verrebbero in mente almeno tre o quattro battute sui traumi della scuola per risponderti, ma me ne sto zitto che altrimenti la Galatea mi caccia.

    Gigi

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  72. @Lector
    Su questo sono perfettamente d’accordo. Tuttavia, quando su argomento analogo alcuni mesi or sono ti replicai che per me il “successo” (bisognerebbe però concordare sul significato da attribuire a tale termine) nella vita dipende molto più dalla fortuna (intesa anche come qualità “congenite”) che dalla preparazione di ciascuno, hai fortemente avversato questa mia posizione.

    -> E continuo ad avversarla.
    Il mio punto e` che la preparazione serve eccome, solo che non te la da` la scuola

    La scuola da sola non ha mia fornito questa sensibilità. Ci sono migliaia di altre esperienze “formative” che convergono nella gestazione del carattere e della personalità d’un individuo. Poi, è noto che non tutto il male viene per nuocere. Non necessariamente un ragazzo, vessato e discriminato nel proprio periodo scolastico, diventa per forza un disadattato. Proprio da quelle vessazioni e discriminazioni alcuni potrebbero trarre la forza di reagire e di superare gli altri. I nostri “vecchi” dalle privazioni delle due guerre, hanno ricavato un carattere che i giovani d’oggi, cresciuti nella bambagia, neppure si sognano.

    -> Quindi perche` mandare i giovani a scuola? Mandiamoli direttamente in Siberia, questi giovinastri viziati!
    Vedrai come si temprano bene, questi smidollati!

    Non esistono “formule” in queste cose, ma solo un corretto gioco delle parti. Per questo condivido il discorso di Galatea: lei fa l’insegnante e lo deve fare nel miglior modo possibile; il resto, è comunque al di fuori della sua possibilità di intervento.

    -> Io non so come la Sig.ra Galatea faccia l` insegnante, non sono d` accordo con (alcune) sue idee.

    @Denise
    Qui ritrovo uno dei fraintendimenti più grossi, e dannosi, che sempre emerge presto o tardi quando si parla di questi argomenti.
    E cioè la confusione tra l’essere, di fatto, inferiori per livello culturale (nel senso più ampio del termine, ma pure sociale-emotivo oserei dire); e l’essere inferiori, cioè meno degni, come persone.

    -> Diglielo al bambino di sei anni la tua storia della distinzione tra livello culturale socio-emotivo, vedrai che ti capisce.

    Gigi

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  73. Nota per Galatea.
    Ho sbagliato a inserire la mail e mi e` finito il commento in moderazione, lo riposto qui
    Se puoi cancellare quello sopra, grazie

    @Lector
    Su questo sono perfettamente d’accordo. Tuttavia, quando su argomento analogo alcuni mesi or sono ti replicai che per me il “successo” (bisognerebbe però concordare sul significato da attribuire a tale termine) nella vita dipende molto più dalla fortuna (intesa anche come qualità “congenite”) che dalla preparazione di ciascuno, hai fortemente avversato questa mia posizione.

    -> E continuo ad avversarla.
    Il mio punto e` che la preparazione serve eccome, solo che non te la da` la scuola

    La scuola da sola non ha mia fornito questa sensibilità. Ci sono migliaia di altre esperienze “formative” che convergono nella gestazione del carattere e della personalità d’un individuo. Poi, è noto che non tutto il male viene per nuocere. Non necessariamente un ragazzo, vessato e discriminato nel proprio periodo scolastico, diventa per forza un disadattato. Proprio da quelle vessazioni e discriminazioni alcuni potrebbero trarre la forza di reagire e di superare gli altri. I nostri “vecchi” dalle privazioni delle due guerre, hanno ricavato un carattere che i giovani d’oggi, cresciuti nella bambagia, neppure si sognano.

    -> Quindi perche` mandare i giovani a scuola? Mandiamoli direttamente in Siberia, questi giovinastri viziati!
    Vedrai come si temprano bene, questi smidollati!

    Non esistono “formule” in queste cose, ma solo un corretto gioco delle parti. Per questo condivido il discorso di Galatea: lei fa l’insegnante e lo deve fare nel miglior modo possibile; il resto, è comunque al di fuori della sua possibilità di intervento.

    -> Io non so come la Sig.ra Galatea faccia l` insegnante, non sono d` accordo con (alcune) sue idee.

    @Denise
    Qui ritrovo uno dei fraintendimenti più grossi, e dannosi, che sempre emerge presto o tardi quando si parla di questi argomenti.
    E cioè la confusione tra l’essere, di fatto, inferiori per livello culturale (nel senso più ampio del termine, ma pure sociale-emotivo oserei dire); e l’essere inferiori, cioè meno degni, come persone.

    -> Diglielo al bambino di sei anni la tua storia della distinzione tra livello culturale socio-emotivo, vedrai che ti capisce.

    Gigi

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  74. Gigi, ho già risposto su questo punto e non ci torno.
    Ogni persona capisce, e reagisce in modo differente, su questo non ci piove.
    Un bambino non ha la capacità di comprensione ampia e raffinata di un adulto, posto che per gli adulti vale lo stesso discorso (diversa persona, diverso livello e qualità della comprensione); ma ce l’ha eccome.
    Non ci scriverà un post su un blog e non ne disquisirà con i compagni attorno ad un tavolino da thé con le bambole, chiaro.
    Ma un bambino di sei anni non è una bambola: è una persona con capacità intellettive degne di nota, e di rispetto.
    Ad un bambino si può raccontare, spiegare e si può farlo entrare in contatto con la morte di una persona cara. Figuriamoci se non si può educarlo a capire cosa significa una bocciatura, sempre che non sial lui stesso a doverlo spiegare, con tanto di rassicurazioni, il genitore ansioso con tendenza a complicare gli eventi più semplici della vita.

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  75. Denise, anche io ti risponderei come Gigi. Se tu sei convinta che bocciare fa bene e non senti di motivare quest’affermazione se non in maniera generica, possiamo andare avanti all’infinito.

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  76. No, non andremo avanti all’infinito: come ha scritto Gigi, la pensiamo diversamente. Troppo diversamente per poter trovare un punto di incontro.
    Per questo taglio corto: ho detto la mia come molti altri, e non sono costretta a scendere nel dettaglio di cose che già altri hanno espresso sufficientemente bene.
    Non per questo ti puoi permettere di dire che ho parlato in modo generico.
    Generico è solo ciò che, non avendo un aggancio alla realtà, fatichiamo a farci entrare in testa; ed in quel che ho scritto, che tu lo condivida o meno, non c’è nulla di generico. C’è casomai un tirare le somme.
    Si può parlare di sostanza anche senza scrivere ogni volta un trattato.
    Si può discutere correttamente senza dover sfoderare ogni volta quintali di statistiche e dati: sono buoni strumenti se li si sanno usare, ma sono solo sturmenti. E più d’un lettore ha detto chiaramente la propria idea, sulla base della propria esperienza (non sempre un’esperienza minima): hanno tutti detto cose campate per aria, forse, perché non si sono voluti lanciare in una dissertazione enorme?
    Bisogna voler ascoltare, forse, semplicemente.
    Di motivazioni ne ho date, se l’italiano non è un’opinione.
    Dopodiché, fanne ciò che vuoi, ci mancherebbe.

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  77. @Denise
    Parlo per me.
    Non te la prendere ma io ho ascoltato benissimo.
    L` italiano lo capisco ancora.
    Secondo me, sbagli e molto.

    Poi, pensla come vuoi, ci mancherebbe.

    Ciao,
    Gigi

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  78. Non la penso come voglio, la penso come la penso perché la vita mi ci ha portato. Non l’ho scelto, è quel che mi resta dentro di ciò che ho davanti agli occhi ogni giorno – e non sono un’insegnante, ma non è un requisito, questo, indispensabile per parlare di questi temi. E vorrei pure vedere.

    Evitiamo di sfociare in toni polemici, che non ho avuto e non ho intenzione di avere: più sopra ho chiaramente risposto ad uqbal, a te avevo già scritto.

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  79. Denise, magari avere un po’ d’esperienza sul campo potrebbe essere utile (anche se questo non impedisce di avere versioni diversissime).
    Per non essere generici io intendo qualcosa di simile a questo:

    “In uno studio che ha preso in considerazione 10.000 bocciati e 10.000 che hanno ricevuto il massimo dei debiti, ma non la bocciatura, si è riscontrato che i 10.000 bocciati, sia pure con un anno di ritardo, hanno un tasso di completamento degli studi più alto (minori abbandoni), e hanno riportato voti più alti di quelli che sono stati “graziati” e che hanno continuato a vivacchiare.

    I dati sperimentali vanno in una certa direzione. Amen.

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  80. Certamente. Dicevo che non è indispensabile essere insegnanti per capire, non che è inutile.
    Avere un’idea compiuta e sensata sul tema è nelle potenzialità di tutti, a maggior ragione nelle possibilità di chi con i bambini, e con i bambini ‘studianti’, entra in contatto a vario titolo: scolari e studenti stessi, adulti con figli o nipoti, personale dei servizi socio-sanitari, ecc… fermo restando che avere la possibilità di farsi un’idea non significa automaticamente farsela ‘giusta’.
    E’ bene un parere tecnico, ma non è l’unico valido.

    Sulla questione dei dati, sperimentali e statistici, ho già detto.
    I dati sperimentali rappresentano, neppure in maniera certa ed esatta, una parte di realtà. Non la spiegano e controllano come fosse un’operazione aritmetica.

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  81. Sono stata citata un paio di volte nella precedente discussione. Devo ammettere che leggere il thread è stato divertente: i toni accesi dimostrano che toccare l’argomento “scuola” significa toccare un tasto davvero sensibile; d’altra parte avevo a tratti l’impressione di trovarmi nel bel mezzo di uno di quei collegi docenti inconcludenti che io e i colleghi conosciamo bene (dove si discetta a volte dei massimi sistemi per elaborare alla fine soluzioni di ripiego o di pessimo compromesso) o, peggio, di qualche corso di aggiornamento dove c’è chi ha la ricetta pronta e chi, naturalmente, non può far a meno di recitare il ruolo del bastian contrario a prescindere.

    Quello che non approvo nel post di Galatea è la sua logica implicita ispirata al criterio del “male minore”.

    Cito: “Se non si possono attivare per motivi economici programmi personalizzati che lo aiutino a recuperare, o mettergli a fianco un insegnante di sostegno, bocciarlo è almeno un modo per dargli tempo, riaffrontando lo stesso programma, di metabolizzarlo. L’abbandono scolastico non si combatte promuovendo in maniera generalizzata fino a 15 anni chi non ha acquisito le basi: alle volte si combatte tenendo il ragazzo ancora un anno dentro alla scuola, a ripetere, con più calma, quello che non è riuscito ad imparare in un anno solo. Gli insegnanti che bocciano non sono sempre e solo stronzi elitari che vogliono eliminare la “zavorra” dalle loro classi altamente performanti: sono invece, alle volte, degli individui pieni di buon senso e pietà, che vogliono dare così una seconda chance, non potendolo fare in altro modo, a chi è più lento e ha bisogno di un po’ di tempo in più” .

    Vero, verissimo. Il post del Corpo delle Donne aveva il grande torto di sparare indistintamente nel mucchio. La risposta di Galatea ci riporta nel mondo reale: ma il mondo reale, ahinoi, non è il migliore dei mondi possibile. La bocciatura trasformata in una strategia di recupero … ma siamo sicuri che funzioni davvero? Voglio dire (e vi assicuro che ne ho visti molti di casi del genere): capita di bocciare un ragazzo in prima superiore. Ripete: è promosso. In seconda. boccia di nuovo. E magari va ad alimentare le statistiche dell’abbandono. Perché? Perché nel corso dell’anno di ripetenza non si sono mai davvero analizzate le cause vere del primo insuccesso: la mancanza di motivazione o di voglia, certo (i nullafacenti); l’immaturità (che la bocciatura tende a punire come una colpa, non importa che la motivazioni dei docenti siano diverse, spesso il ragazzo e la sua famiglia vivono il giudizio negativo in questo modo); l’assenza o la carenza del metodo di studio; le sfavorevoli condizioni di partenza; le lacune della precedente preparazione; etc etc. Avanzo un’ipotesi: il fatto è che durante l’anno ” di recupero”, chiamiamolo così, si ripetono i medesimi errori e si adottano le stesse strategie che già non hanno dato risultati in prima battuta. Insomma, si rimanda il problema, non si risolve, non si prova nemmeno a risolverlo. Perché i motivi economici che impediscono programmi personalizzati sono sempre lì, perché le classi sono comunque troppo numerose, perché gli strumenti mancano prima e mancano dopo. Si dà una seconda chance, “non potendolo fare in altro modo”, ma non si fa nulla perché davvero “chi è più lento e ha bisogno di un po’ di tempo in più” (ma perché “è più lento”? questione di Q.I.? di condizioni svantaggiate? di provenienza sociale? di insufficiente preparazione erogata, per i motivi più diversi, dal precedente segmento formativo?) se la giochi davvero, secondo regole più efficaci.

    Il post di Galatea certifica, a mio avviso, l’impotenza dei docenti, anche i migliori, ai quali, a volte non resta che … bocciare, pur sapendo che questa medicina, spesso, non curerà proprio nulla, ma si limiterà a certificare un disagio e un ritardo sul quale l’istituzione scolastica non ha inciso affatto. E comunque è anche vero che sono molti i docenti che non si fanno troppe domande e usano la bocciatura come un corpo contundente: che questi ultimi, qualche volta, vengano fermati dal sistema alla fine è pure positivo. Ma credo che, data la situazione, le bocciature di questo secondo tipo andranno aumentando. Dopo il Carnevale, si sa, viene sempre la Quaresima. Magari bisognerebbe anche sforzarsi di vivere, qualche volta, in tempi normali e non pregiudizialmente ideologici, in un senso o nell’altro.

    Sottolineo. Io non sono un’insegnante buonista. Ai miei alunni (ma non hanno sei anni! sono ometti e donnine in grado di capire il senso del mio discorso) normalmente dico che farò tutto quanto in mio potere per aiutarli a recuperare, se ce ne sarà bisogno, ma che poi una bella fetta di responsabilità sarà loro: e al momento dello scrutinio, una volta che “prima” ho messo in campo ogni risorsa possibile per aiutarli, sarò comunque docente e non un ente di beneficenza che regala voti per carità cristiana. Tuttavia so benissimo che questa mia premessa spesso è solo un artificio retorico o un escamotage per spingerli a darsi da fare. Perché il mio “meglio” individuale si scontra con i difetti di un sistema zoppo che penalizza un po’ tutti, insegnanti e alunni (bravi e meno bravi, diligenti, brillanti, mediocri o scoglionati che siano). La scuola, così com’è oggi, non valorizza i migliori e non aiuta quelli in difficoltà: è in generale una via di mezzo, un campicello incolto in cui pascolano senza infamia soprattutto i mediocri, quelli che tirano a un risultato X, senza preoccuparsi granché che la cosiddetta “offerta formativa” sia di qualità, capace di motivare davvero alla critica, al pensiero divergente, alla problematicità della cultura etc etc. E’ una scuola in cui il momento della valutazione ha assunto un’importanza spropositata: si valuta di continuo, per i giudizi interquadrimestrali, per i quadrimestri, per i test invalsi, per gli esami finali … per ognuna di queste fasi ci vuole il “numero congruo” di compiti, test e interrogazioni orali. Succede al liceo, comincia ad accadere anche alle elementari, passando per i gradi intermedi di scuola. Applicate questa marea di voti, giudizi etc etc a classi di trenta alunni e più e vedrete quanto tempo rimane per la didattica, per la discussione, per il metodo socratico etc etc.

    Avrei molto da aggiungere e mi accorgo di essere stata già fin troppo prolissa. Una cosa la voglio aggiungere. La scuola dove insegna Galatea deve essere le sette meraviglie, a giudicare da uno dei suoi commenti precedenti. Se mi dice qual è, chiedo subito il trasferimento. Perché il mio liceo, che non è affatto un disastro, ma una scuola di provincia popolata di professori normalissimi che cercano di fare quello che possono, mica è così brillante (mi ha colpito l’accenno ai “nostri account Slideshare”: mi piacerebbe fare un’indagine fra i miei colleghi per sapere quanti conoscono e usano Slideshare … per esempio). Voglio dire che quanto Galatea giudica come “prassi acquisita” non lo è sempre e non lo è ovunque. E la scuola italiana, in effetti, è un universo molto composito nel quale, accanto a realtà avanzate e pratiche didattiche efficaci si affiancano situazioni assai più arretrate e critiche per molte ragioni.

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  82. Sono (forse l’ho già scritto) del tutto con Galatea. Conosco però Uqbal ed è persona di buona fede.
    Contesto ad Uqbal il paragone della ferita e dell’amputazione (diluizione terrifica della famosa frase di don Milani?).
    La bocciatura non è necessariamente un’amputazione. Potrebbe anzi essere l’ultima cura possibile a prevenirla. Perché “almeno le basi” significa dare infinite chance in più di non diventare schiavi o, peggio, mafiosi o spacciatori.
    Meglio che un bimbo di una famiglia disagiata finisca la scuola in terza elementare sapendo leggere che in terza media non sapendo leggere. Il resto si impara dalla scuola della vita, alla peggio.

    PS: non sono teorico della cultura “alla peggio” ma penso che si debba delimitare il campo verso il basso. Sono – sappiatelo – perché i bimbi che hanno difficoltà a scuola siano affidati a diversa famiglia, se del caso.

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  83. Phil
    Ti rimando all’articolo su imille (http://www.imille.org/2012/06/bocciati-prima-elementare-no-grazie/), o anche a quello che ho risposto a Denise: si può anche sostenere che la bocciatura debba essere intesa in un certo modo, ma ciò non toglie che invece otterrà degli altri risultati. C’è dell’evidenza empirica al riguardo.
    Siccome sono pieno di metafore, e so che sei un ingegnere, la metterò giù così (l’amputazione cmq è tutta farina del mio sacco -don Milani me lo sono letto ma non ce lo avevo così presente): ho inventato una macchina che nelle mie intenzioni sarà capace di trasformare l’energia da cinetica a elettrica senza dispersioni di calore. La dispersione è un male che ci costa un sacco di miliardi! Così mi ci son messo, e ho fatto tutta una serie di marchingegni che secondo me azzereranno la dispersione di calore. E non in senso tendenziale, dico proprio 0,0!
    Dimmi tu se ti convincerò di questa cosa, anche se te la ripeterò fino allo sfinimento.

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  84. Non ho capito il tuo parallelo Uq.

    Farò un esempio. La scuola deve essere come la sicurezza progettata per un aereo, anzi molto di più. Ridondante.

    Classe (n) elementare, con n=(1,2,3,4,5)
    Gli m elementi-alunni di (n) nelle j=(matematica, italiano,…) anche identificabili con i diversi insegnanti, hanno diritto di ricevere:

    a) assistenza adeguata dai loro genitori; se non lo fanno se ne occupa la scuola, comprando loro i quaderni, le biro, etc etc (i libri sono già gratis) e tassando alla fonte i redditi dei genitori;
    all’obiezione che si toglie il pane di bocca (ai genitori, alla famiglia del bimbo in difficoltà, etc) replico che quella famiglia ha anche il diritto, fuori dalla scuola, di mangiare, e quindi qualcuno erogherà loro buoni pasto, etc, tassando alla fonte i redditi dei genitori, etc etc, e via iterativamente, arrivando fino all’affido.
    Una sorta di paideia o di falansterio light, se ci siamo capiti;

    b) assistenza se si rimane “indietro”. Un bambino di media intelligenza può recuperare *un anno* di programma di una materia in 5 doposcuola di 4 ore, pause per merenda e giochi comprese;

    c) stimoli se si è avanti – altrimenti anche i migliori si rompono, o alla peggio cominciano attività bullistiche o simil-tali (anche light)

    etc etc.

    Non è solo una questione di soldi, ma anche di volontà. A naso su 10 docenti 2-3 sono in grado di *capire* la logica della proattività come ho descritto (con probabilmente alcuni errori che più esperti di me correggeranno, ma sulla quale sono ferocemente deciso a difendere la mia possibilità di dire la mia, come genitore, come politico, etc); forse 1 è fannullone; gli altri sono nel brodo, non stimolati dal contesto culturale e sindacale (in senso lato).

    Quando parlo di merito nella scuola non immagino gli asili giapponesi che ti segnano fino all’università. Immagino una scuola con una serie (lunga ma finita) di paracadute, anche costruiti “ad hoc” sul caso specifico, che ferocemente (di nuovo questo avverbio) provveda a salvarti.

    In questa ottica una residuale bocciatura (con questo spirito) è davvero un salvataggio.

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  85. @gigi
    “quando è stata l’ultima volta che tu ti sei trovato in difficoltà per non aver saputo risolvere un’espressione aritmetica?”
    Mai, perché le espressioni le ho imparate e bene.

    Forse intendevi: “quando è stata l’ultima volta che ti è servito averle studiate?”
    un’oretta fa, lavorando con il solito Excel che uso sempre a fine giornata. Il più semplice degli strumenti che uso in 8 ore.

    E’ una risposta piuttosto ovvia, visto che siamo nel 2012, non nel paleolitico inferiore, e il massimo che serve saper usare non è più l’ascia a mano.

    Aggiungo che senza sapere programmare i computer (80% di matematica e 20% di disciplina, tutta roba imparata a scuola) oggi non avrei un lavoro. Beninteso (visto che per te è così importante) lavoro profumatamente pagato.

    Inutile proseguire, tanto nella tua ottica sono io stupido ad essermi fatto, dopo 13 anni di scuola, pure l’università per avere le indispensabili basi di matematica per fare un mestiere difficile.
    Quando invece sarebbe bastato “comprarmi un libro” per “comodamente imparare da solo durante un’estate” tutto quello che serve davvero nella vita… e passarla a fare il bracciante.

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  86. phil

    Mi sono spiegato male. Altra, spero più chiara similitudine: tu stai male, hai bisogno di un medico. Il medico ti visita e ti dice: vede, per come la vedo io, c’è uno scompenso nei suoi umori, ed è evidente che le sue vene si stanno gonfiando troppo: siccome ci tengo a farla stare meglio, prendo le sanguisughe e le faccio un salasso!
    Nelle sue intenzioni il medico ti voleva far star meglio, in pratica ha rischiato di ammazzarti.

    Chi dice di “bocciare per dare un’occasione” sicuramente la vede così, e ritiene di intervenire positiva, ma l’evidenza empirica, ovvero i dati statistici (ti rimando all’articolo su Imille di prima e ai commenti), dimostrano che in realtà sta prendendo le sanguisughe e sta per fare un danno.
    Perché si incappi in quest’inganno cognitivo sarebbe interessante da capire. Siccome voglio ricominciare a bloggare, comincerò di qui.

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  87. @–>Gigi
    Chissà perché, ma ho la vaga sensazione che tu abbia qualche stretto congiunto che non se la cava troppo bene con la scuola ….. come si dice in questi casi? Cicero pro domo sua? Può essere che sia proprio questo l’arcano? “Se sbaglio mi corigerete”.

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  88. @ Floria/Lorenza: Insomma, si rimanda il problema, non si risolve, non si prova nemmeno a risolverlo.
    Vero. Forse. Però promuovendo uno studente che non è pronto per l’anno successivo, il problema si peggiora.
    Tra rimandare la soluzione e peggiorare il problema, la prima ipotesi mi pare preferibile. La fretta è cattiva consigliera, e ciascuno ha i suoi tempi.

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  89. @ F.F.: “Un bambino di media intelligenza può recuperare *un anno* di programma di una materia in 5 doposcuola di 4 ore, pause per merenda e giochi comprese”

    E questa da dove viene fuori, se permetti?

    Un bambino di media intelligenza ABITUATO A STUDIARE, MOTIVATO, CAPACE DI CONCENTRARSI forse è in grado di recuperare I FONDAMENTALI di un anno di materia in 5 doposcuola: ma questo è proprio il caso del bambino che, tranne casi rarissimi tipo lunghe assenze per malattia o simili, non ha bisogno del doposcuola.

    Se le cose stessero come le descrivi tu, io ne trarrei una sola conclusione possibile: se tutti i programmi di tutte le materie si possono imparare in 5 doposcuola, i programmi sono ridicolmente inadeguati, poveri di contenuto e di basso livello, e pretendiamo troppo poco dai nostri alunni e studenti. Se pensassi che tu hai ragione, riterrei una crudeltà inumana tenere prigionieri a scuola dei bambini per un anno intero quando potrebbero imparare tutto in meno di due mesi di doposcuola, e il resto del tempo dedicarlo ad andare in giro per i prati.

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  90. Luigi: accetto la sfida. Datemi *un* bambino per 20 ore e gli faccio capire un anno di qualsiasi materia da elementare. Nel caso della matematica, anche partendo da zero (cioè: la matematica di quarta quando avrebbe dovuto essere bocciato in seconda, per dire: mi basta che sappia riconoscere i numeri).

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  91. @Hacksaw
    Le formule che si usano in Excel sono al 95% diverse da quelle che si usano a scuola.
    Mai visto una scuola elementare o media dove ti insegnano qualcosa come (sparo) “=COUNT(A1,A2)” e, se lo si fa oggi, non vedo come uno non si possa impararsi le basi in una o due settimane quando vuole, come ho fatto io e milioni di altre persone.
    Il punto e` che io non vedo come bocciare un ragazzino a 6 anni sia indispensabile per fargli usare da adulto Excel.
    Io, come il 90% della gente che conosco, Excel se lo e` studiato da solo.
    Non e` difficile, credimi, per imparare le basi ci metti una settimana, anche meno.
    Non ho imparato ne` Excel, ne` PowerPoint ne` Word a scuola, come non li hanno imparati a scuola nessuna delle persone che conosco.
    La maggior parte della gente usa formulette del cavolo per Excel, non complicate funzioni, il massimo che usa sono le quattro operazioni, la somma delle colonne, come dicevo.
    E non ho mai visto un idraulico, mobiliere, macellaio, muratore usare Excel per il suo lavoro, anche se magari qualcuno di loro li usera`..
    Poi, se tu vuoi continuare a credere che e` necessario bocciare i bambini per insegnare loro Excel, prego accomodati.

    @Lector
    Non andare sul personale, please..

    Gigi

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  92. @ F.F. : invece di lanciare sfide che sai benissimo essere impossibili da organizzare, soprattutto tra lettori di un blog che non si vedranno mai nella vita reale (per non parlare della possibilità di darti” un bambino per fare l’esperimento), sarebbe interessante che tu spiegassi a noialtri:
    a) in base a cosa hai espresso il tuo parere sulle 20 ore: studi pedagogici? intuizione personale? pubblicazioni dell’Università di Oxford?
    b) quali sono le tue esperienze di didattica: per quanti anni sei stato insegnante, in che ordini di scuole, ripetizioni private, etc.

    Io ho insegnato matematica per tre anni in scuola media e per un anno in liceo. Metà dei ragazzi di prima liceo erano virtualmente analfabeti, incapaci di concentrarsi, incapaci di esprimersi con frasi articolate o di interpretare il libro di testo, e tranquillamente convinti che avrebbero ricevuto in regalo la promozione senza fare nulla per tutto l’anno, in quanto abituati così fin dalle elementari. Che è un altro aspetto di cui non si parla mai: le ripercussioni psicologiche nefaste su menti giovani dell’avere tutto garantito. “Essere viziati”, si chiamava una volta.

    P.S.: vorrei aggiungere che su Internazionale di un mese e mezzo fa c’era un articolo sulla tanto a sproposito citata scuola finlandese. Innanzitutto veniva riportato il caso (se pur considerato estremo) di un ragazzo a cui era effettivamente stato fatto ripetere l’anno. In secondo luogo, in quella scuola gli standard minimi devono essere raggiunti da tutti, e sono previste ore lavorative dei professori che seguono individualmente chi è rimasto indietro. Il che vuol dire
    a) che ci sono dei criteri stringenti di valutazione
    b) che tutto l’impianto scolastico è stravolto, rispetto al nostro.

    Chi punta l’attenzione sulle bocciature anzichè sulle classi troppo numerose, sul carico eccessivo di ore, sullo scarso prestigio della professione di insegnante, sulle poche risorse, è il classico intelligentone che guarda il dito anzichè la Luna.

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  93. Alé, Phil, proprio tu parlavi altrove del test dell’anatra! Lo puoi chiamare anche trattenersi e curarsi un po’, ma la faccenda non cambia!!

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  94. Boh. Tutti questi problemi per un bambino che perde un anno. Non capisco dove sia il problema. Se si “perde” un anno, semplicemente lo si ripete (come giustamente fai notare tu).
    Il problema a mio avviso non sta nella scuola, quanto nella società che deresponsabilizza i ragazzi da un lato (la colpa è tutta dei cattivi insegnanti, anche se il ragazzo di 14 anni non ha voglia di studiare) e li colpevolizza dall’altro (mio figlio è stato bocciato alle elementari, che vergogna, e ora che diranno le amiche?)…

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