Il Leghista del Vaporetto, ovvero il lato sbagliato della globalizzazione

Il Leghista del Vaporetto lo abbiamo soprannominato così perché ormai fa parte della dotazione del natante da almeno una decina d’anni: nessuno ha mai capito cosa faccia, se vada al Lido per lavoro o per andare in spiaggia, anche se si presume la seconda, visto il suo perenne abbigliamento in camicia aperta e calzoncini; ma se prendi la corsa dell’una e venti lo trovi là, aggrappato al parapetto con un’aria ingrugnata a morte con il mondo. Monta a Piazzale Roma, si piazza in mezzo alla scaletta di poppa, cioè nell’unico posto in cui è certo di dar fastidio a tutti quelli che salgono e che devono sbarcare, credo per aver motivo di lamentarsi a mezza bocca che sono incivili e lo urtano quando cercano di passare.

Negli anni, però, il suo comportamento è cambiato visibilmente. I primi tempi il ringhio era molto più forte e pronunciato: al primo straniero che lo sfiorava, attaccava a brontolare a voce alta, tuonando contro tutti quei pezzenti arrivati da chissà che fogne del Terzo Mondo, perché gli uomini sono incivili e rubano il lavoro agli Italiani, e le donne son tutte puttane. Di rimando otteneva ben poca solidarietà, anche perché non era palesemente in grado di valutare tre fattori che gli giocavano contro: uno, che a Venezia i Leghisti non sono molto amati; due, che la maggioranza delle persone sul vaporetto erano turisti che non capivano cosa dicesse, e soprattutto tre, cioè che lui faceva le sue considerazioni in dialetto sì, ma con un accento che lo identificava subito come proveniente dalla campagna: e i Veneziani veri, fra uno straniero proveniente dai confini del mondo e uno zotico venuto dal contado attorno, con dogale alterigia scelgono comunque di solidarizzare con il primo.

Col tempo il mugugno si è affievolito sempre più, dunque, riducendosi ad un biascichio a mezza bocca, incomprensibile e che nessuno si prende più la briga di ascoltare: ogni tanto, al massimo, si avverte uno “sporchi e ladri” o un “pezzenti” che emerge come un soffio, ma viene subito coperto dal suono dell’onda, e le occhiate di disprezzo che il tipo saetta in giro cercando di trafiggere gruppi di Bengalesi che tornano dal lavoro nelle cucine degli alberghi o capannelli di badanti russe in gita cadono fuori bordo nell’indifferenza totale.

L’altro giorno, il Leghista del Vaporetto era come al solito alla sua postazione; aveva però, data la temperatura africana, un grugno più combattivo del solito, degno dei vecchi tempi, come se aspettasse una provocazione minima per scattare e fosse quantomai deluso di non trovarla. Il vaporetto, infatti, era pieno di stranieri educatissimi: famigliole indiane con bambini zitti e buoni, una comitiva dell’est in fila ordinata, un paio di coppie mediorientali che erano riuscite persino ad infilare i bagagli negli appositi spazi: insomma, nessun pretesto per brontolare. Così, a mezza bocca, ha cominciato la solita giaculatoria sui pezzenti venuti da chissà quale fogna del Terzo Mondo. Ma dopo le prime parole, che ormai tutti i frequentatori abituali di quella linea conoscono a memoria, si è bloccato. Si è accorto infatti che le famigliole indiane erano formate da genitori con la faccia da ingegneri informatici, vestiti da Armani da capo a piedi, e i bimbi erano silenziosi perché stavano smanettando allegramente l’ultimo modello di tablet costosissimo; la comitiva di Russi aveva valige di gran firma, borse di shopping appena fatto nelle centralissime boutiques delle Mercerie e fotografava con reflex da nababbo; le due donne velate delle coppie islamiche, infine, il cui velo era però un foulard di Hermes, stavano guardando la sua ridicola camiciola da impiegato fantozziano e i calzoncini presi al discount con la divertita curiosità per l’esotico con cui i ricchi di tutto il mondo guardano i poveri, quando capita loro per caso di incrociarne uno.

Si è rintanato nell’anfratto della scala e non ha più aperto bocca fino al Lido. Deve essere brutto, quando sei un razzista convinto che tutto il resto del mondo sia costituito da pezzenti poveri e incivili, accorgersi che ora i pezzenti poveri e incivili, per molti di loro, siamo noi, che stiamo finendo dal lato sbagliato della globalizzazione.

22 Comments

  1. Se vivessi ancora in Italia, sarei contento; pur rimettendoci anche io, sarei contento. Il mio mancato guadagno lo considererei il giusto prezzo per assistere allo spettacolo dei babbi di minkia che strepitavano contro Visco e Padoa Schioppa e che adesso si accorgeranno che il venditore della Folletto, il Colbert della Valtellina e Sanguisuga Monti hanno fatto quello che hanno fatto. Giusto così, del resto: questi poveracci (in tutti i sensi) hanno buttato nel cesso quei due valori che avevano, sperando che il Pompetta li riempisse di soldi e figa e adesso si ritrovano a dover imparare a cucirsi le pezze sul culo, come facevano i nonni contadini o operai. Ma il meglio sarà quando i leghisti inizieranno ad andare a lavorare per qualche imprenditore extracomunitario, li allora saremo al “jizz in my pants”.

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  2. Naaah, un pensiero come quello che hai esposto necessita di neuroni elastici e guizzanti, che il Nostro, ormai, ha definitivamente seppellito. Diciamo che gli sarà rimbalzato un po’ a livello subliminale, per poi spegnersi lentamente, scendendo nell’oscurità, come le faìve dei fuochi d’artificio… 😉

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  3. Mi pare ovvio che gli stranieri in questione sono ricchi proprio perchè il leghista del vaporetto, e milioni di altri come lui, è povero. Hanno rubato i nostri soldi e adesso vestono firmati. Stranieri e ladri, insomma, è chiaro.

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  4. Se è quello che penso io (lavoro a Venezia), non è povero perchè gli altri sono ricchi. E’ solo scemo.

    Oddio: non sarà colpa nostra, però ?

    Anonimo SQ

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  5. Il fatto che tu ce l’abbia con il leghista e poi tu per prima discrimini il veneziano da centro storico da quello di “campagna” fa capire che anche tu hai la spocchia…

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  6. @sergio: più che altro è un dato di fatto: il Veneziano “del centro storico”, come lo chiami tu, semplicemente non considera “veneziano” chi non è nato in centro storico: al di là del ponte xè tuta campagna. Se non lo sai, probabilmente non sei Veneziano. 😀

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  7. Verissimo. Però – mi perdonino gli amici del sud – per quelli che stanno di qua del ponte, cioè in Terraferma, i veneziani “veneziani” sono anche detti i “terroni del nord”.

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  8. sono un semplice venessian de “campagna” di quelli che voi veneziani del centro storico definite anche come pantegane. Comunque tranquilli che andando avanti cosi fra qualche anno diventerete anche voi tutti venessiani de campagna…
    Cambiando discorso, i miei complimenti per il manifesto della generazione perduta

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