Nino e le macerie (del PD e non solo)

«Ti devo parlare…»

«Mi devono parlare tutti…»

E’ in sezione, Nino, con il telefonino che trilla e davanti a sé, sul vecchio tavolaccio che fa da scrivania, pile di carte, giornali ammucchiati, pacchi di delibere scatafasciate ovunque: il normale caos della sezione PD di Spinola, un ex negozio-semiscantinato ammuffito e derelitto, con le sedie recuperate dalla spazzatura fra gli arredi vecchi buttati via tanti anni prima dalle scuole. Ogni volta che sente qualcuno accusarlo di far parte della casta e di intascarsi chissà che favolose prebende, Nino sorride, con il suo sguardo mite, e l’immagine che gli viene davanti agli occhi è quella lì: della sua sezioncina sgarrupata, con le sedie sbilenche, il tavolaccio di linoleum sbeccato, i raccoglitori per le carte  da due euro che i consiglieri comprano da sé e portano da casa per archiviare i documenti, e la stufetta nell’angolo che parte con un calcio e serve nelle gelide notti di inverno per non diventare ghiaccioli, quando le riunioni si trascinano fino alle due e alle tre.

Guarda Elisabetta, che gli si è parata davanti, con tutta la sua autorità di amministratrice non ufficiale della sezione, ed è chiaro che è venuta lì apposta per dirgli qualcosa di fondamentale; ma Nino non ha voglia di sentirla, non ha voglia di sentire nessuno, perché è da giorni che tutti lo chiamano, anche gente che non sa nemmeno come abbia il suo numero di cellulare, per sapere che cazzo sta succedendo dentro al partito; e lui alle chiamate non risponde, anche perché di solito è occupato a cercare di chiamare a sua volta qualcun altro più in alto nel partito stesso, gli onorevoli amici, i consiglieri regionali, i dirigenti amici di famiglia, per capire pure lui che cazzo succede. Ma alla fine di questo enorme giro di telefonate fatte e ricevute, andate a buon fine o miseramente fallite, l’unico risultato e l’unica risposta è che nessuno lo sa, e se anche lo intuisce non lo sa spiegare: perché il “partito”, o almeno quello che han chiamato così fino a due giorni fa, sembra che non esista, che si sia scatafasciato come le pile dei documenti sul tavolaccio, dove ogni foglio vuol fare da sé e cadere con improbabili geometrie aliene alla logica e agli equilibri.

Ma Elisabetta non è una che si arrende: si conoscono da quando sono nati, e il loro rapporto è come quello di Charlie Brown con Lucy: se Elisabetta si mette una cosa in testa, non ci si può ragionare. Ed Elisabetta ha sempre qualcosa in testa, purtroppo. Così Nino cerca di giocare la carta della pietà: fa l’atto di volersi stringerela testa con la mano, simulando una fitta:

«Ti prego, ho una tremenda emicrania, non me la sento di parlare di politica…»

Ma Elisabetta gli brinca la mano prima che raggiunga la fronte: «Non è una faccenda di politica, santo Iddio! Riguarda “lei”. E’ una cosa che devi sapere. Lo sai che si vede di nuovo con Alfonso

E Nino è là, con la mano bloccata in quella di Elisabetta, senza potersi divincolare, con il telefonino che in tasca gli trilla perché qualcuno deve chiedergli del collasso del partito, e un’amica che gli dice che la donna che ama lo tradisce.

“Non è vero!” vorrebbe poterle gridare in faccia. Ma lo sa che è vero, perché di Alfonso lo ha scoperto anche lui, da giorni. Ma è come con il partito, uguale uguale: lo sapeva da anni che non funzionava, che sarebbe finito così, con il collasso ed il disastro, che era un destino scritto, ed inevitabile, come tutte le cose nata da premesse sbagliate e costruite malamente; però come per il partito, non si vuole arrendere, non vuole ammettere la sconfitta: perché lui quel partito lo ama, come ama lei, e non gli importa se l’uno o l’altro sono diversi da come dovrebbero essere, se fan stupidaggini e gli si rivoltano contro senza una logica e senza un perché: sono il suo mondo e non ne può fare a meno.

Così guarda Elisabetta con freddezza, nascondendo dietro uno sguardo duro che per la prima volta in vita sua cerca di fare, il fatto che ora l’emicrania gli è scoppiata davvero, come una mina nella testa, e lo stomaco gli si è annodato in un’ondata di nausea possente, e dice, gelido, lentamente, quasi sillabando: «Questi non sono fatti tuoi. Limitati ad occuparti delle tue mansioni.»

Elisabetta gli lascia la mano, come tramortita. Si conoscono da bambini, e non le è mai capitato che lui le si ribellasse, per quanto lei lo angariasse o lo strapazzasse. Come Lucy con Charlie Brown, il loro rapporto è sempre stato così:  esclusivo. Morose e morosi sono stati incidenti di percorso, perché il legame forte era il loro, quello un po’ fra vittima e carnefice, ma una vittima ed un carnefice che non si sanno staccare e sono dipendenti l’uno dall’altra. E ora che la sua vittima si ribella e fissa dei paletti, Elisabetta si sente sperduta: «Ma Nino…- balbetta con vocina timorosa e sbasita – Io lo dico per te… in paese lo sanno tutti… lei non può trattarti così…»

«Lei non è un problema tuo, o del paese. E’ un problema mio, semmai, e basta. E se non devi dirmi altro, lasciami solo. Metto a posto io, qua dentro, non ti preoccupare, vai a casa.»

Il silenzio. Quello pesante, che cade quando non c’è più niente da dire. Elisabetta sa che non ci sono più possibile repliche. Si volta, ricacciando negli occhi i due lacrimoni che le glieli stanno riempiendo, ed esce.

Nino la guarda andare via, come nell’ultima scena di un film. Lo “sbam” della porta che si chiude termina il piano sequenza.

E resta lì, nella sezione vuota, fra le pile di carte franate, la scrivania sbeccata e in disordine, il morso dell’umidità che gli prende la testa, perché ha dimenticato di accendere la stufetta con un calcio. Resta lì, fermo, a guardare quelle macerie, di un partito, di una storia, di una vita. Quelle macerie a cui è affezionato, quelle macerie di cui non sa fare a meno anche se sa che sono sono macerie, nient’altro che macerie. Ma sono l’unica cosa davvero sua.

19 Comments

  1. Tutto molto elegiaco e intimista, resta il fatto antropologico di una massa amorfa di pinocchi italici che prima si mettono nei casini rinunciando allo studio, lavorando poco, pretendendo molto dallo Stato ma evadendo tanto, e poi cercano una Fatina Buona, anche in forma di un Bersani, un Berlusca, un Renzi o una Puppato, che li trasformi da teste di legno a uomini e donne vere.
    La verità è che in quelle sezioni, ma anche in quelle di altri partiti non padronali, non si andava e non si va per confrontarsi democraticamente, ma per uniformarsi al pensiero unico di un capataz locale che da dietro quella scrivania logora si esibisce nel ruolo del profeta salvifico che una volta prometteva l’arrivo dei carri di Stalin, quelli applauditi da Napolitano a Budapest, poi, vista la calata di braghe del KGB di Putin, un socilismo migliorista che ha solo migliorato le tasche di baffino e del suo cuoco reale, per poi sparare solo fumo di copertura come un Nebelwerfer della Wehrmacht per coprire l’assalto ai forzieri delle banche e il fatto che i capi del partito si sono fatta gentry mandando i figli alla London School of Economics o trovandogli un posticino (con scrvania in palissandro) in Nomura da dove trafficare in derivati con i Comuni amici e pure quelli nemici.
    Tutto questo non è elegiaco e quindi brutto da raccontare, ma come dice Fabrizio Barca, citando un libro che in Italia non verrà neppure tradotto “Why Nation Fail”, il nostro problema è una classe dirigente “estrattiva” che sottrae ricchezza a chi la produce (lavoratori e imprese) per foraggiare la loro crapula.
    E di questa classe estrattiva, protetta da un apparato di pretoriani che è il terzo al mondo, fa parte anche il PD e a pieno titolo. Quindi perchè meravigliarsi che si rielegge Napolitano per evitare che al suo posto ci vada un ingenuo Rodotá che magari scopre cose che non si devono scoprire?

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  2. Il problema è che, nonostante da anni la sinistra abbia attuato politiche da destra, basate su fondamentali macroeconomici avversi ai lavoratori, insomma sia stata la vera, effettiva destra del paese, le persone, ogni tot anni, al momento delle elezioni, perché nate “ddesinistra”, buone, care e belle, mettevano convinte una bella X sul “loro” partito! Come è possibile che si sia arrivati a tale schizofrenia politica?

    Un cittadino di sinistra (e già qui ci sarebbe tanto di cui discutere) per anni ha votato a destra credendo di votare a sinistra! È un fatto talmente nauseante, talmente contraddittorio, da far crollare i paradigmi logici dell’ organizzazione in società. È su questo che dobbiamo concentrarci.

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  3. … ingenuo rodota’? dopo un carrierone universitario, quattro legislature in parlamento, una al parlamento europeo, presidente del pds, pluriincarichi politici, l’avrete mica davvero scambiato per un crimi appena invecchiato?

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  4. Ottimo Cannedcat.

    Quest’immagine di Galatea:
    “Ogni volta che sente qualcuno accusarlo di far parte della casta e di intascarsi chissà che favolose prebende, Nino sorride, con il suo sguardo mite, e l’immagine che gli viene davanti agli occhi è quella lì: della sua sezioncina sgarrupata, con le sedie sbilenche, il tavolaccio di linoleum sbeccato, i raccoglitori per le carte da due euro che i consiglieri comprano da sé e portano da casa per archiviare i documenti, e la stufetta nell’angolo che parte con un calcio e serve nelle gelide notti di inverno per non diventare ghiaccioli, quando le riunioni si trascinano fino alle due e alle tre.”
    mi viaggia in parallelo nella mente con quella che gira in tv in questi giorni, dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Captatio benevolentiae allo stato puro.

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  5. @lector: può darsi, ma io di riunioni fino alle due di notte in sezione, gelando perché la stufetta non si accendeva col calcio, ne ho fatte parecchie, e di Nini, specie nei paesetti, ne ho conosciuti parecchi.

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  6. ci sono quelli che nascono fortunati, gli Alfonso trovano sempre una che cornifica il Nino di turno e i Berlusconi trovano sempre i Bersani che li fanno vincere,certo che ‘sto Nino se le cerca tutte,sicuramente sarà interista…

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  7. @maurizio: mah, non so se gli Alfonso sono poi così fortunati, e se poi Nino sia così iellato come sembra. In fondo, devo ancora decidere la fine della storia.
    Però sì, mi sa che è interista, a naso.

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  8. @–>Gala

    Sì, ma ti ripeto: è la stessa cosa per la Chiesa. Ti fanno vedere il povero pretino operaio o la suora che si fa il mazzo per combinare il pranzo con la cena alla mensa dei poveri, ma ti nascondono lo Ior e tutto il resto.
    Qui si parla del povero “bacucco” che fa tanta tenerezza, perché ancora convinto in buona fede di riuscire a cambiare il mondo, ma si tace dei costruttori che foraggiano il partito per portarsi a casa gli appalti miliardari.

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  9. per Cannedcat:
    l’analisi pare congrua, salvo che per due punti:
    1)in realtà alcune sezioni del PD sono scassate come quelle raccontate da Galatea, poichè il partito odierno pare rispecchiarsi in ciò che Rino Formica diceva del vecchio PSI: il convento è povero, ma i frati son ricchi;
    2)Rodotà è un uomo che, al senso dello Stato,ha da tempo sostituito il senso della carriera di Rodotà ( intesa come famiglia sua), rivelandosi in questo tale e quale ai capi del partito citati nel Tuo commento. Sicchè “ingenuo” mi pare un aggettivo che non gli corrisponde.
    State bene, inchino e baciamano alla Padrona di Casa.
    Ghino La Ganga

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  10. Comunque anche voi siete degli insensibbbbili. Tutti a commentare il Pd e la politica e neppure uno straccio di uomo che dia un minimo di solidarietà al povero Nino. Siete senza cuore, ecco.

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  11. Va bene, va bene: povero Nino, che brutta cosa le corna, che brutta cosa, mammamia, le corna son peggio di tutto, le corna sono proprio inaccettabili, proprio disgustose; son peggio di tutto, anche di Sel, dei Giovani Turchi, dei Giovani Etruschi, dei Grillini, dei Casaleggesi, di tutto.
    😀
    Va bene, così?
    Inchino e baciamano.
    Ghino La Ganga

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  12. O Galatea, ma Nino se lo merita, oppure è la moglie che “gli è un po’ troia”, tanto per risciacquar i panni in Arno (anche se, ho dedotto, viviamo a forse 1200 m in linea d’aria) ?

    Anonimo SQ

    PS sulla politica potrei scriovere 200 pagine, con quel che ho nella panza. Per uno nato e cresciuto a 150 m dal Petrolchimico, che da bambino aspettava il Primo Maggio per la Festa dei Lavoratori più che la Pasqua , immagina come va da venerdì mattina…

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  13. @galatea
    Le puntate che hai linkato le ho lette, le precedenti dovrei cercarle.
    Invece vorrei approfittare delle tue capacità (e di quelle dei tuoi lettori) per avere una riosposta ad un interrogativo che mi pongo da qualche giorno: Confindustria, politici vari, opinion maker sostengono la indispensabilità di un governo, qualunque esso sia, per evitare al paese il tracoillo. Mi spiegate questa fede messianica ? Ma questi sanno cosa sono le ricette politiche diverse che hanno in programma le tre forze prevalenti ?
    Togliere l’ IMU ed abolire l’articolo 18 “Tremonti& Sacconi style” per rendere ricattabili i lavoratori (Berlusconi), oppure eliminare stipendi e pensioni per i pubblici dipendenti tutti con l’assegno minimo di cittadinanza (Grillo), o provvedere ad un po’ di redistribuzione (vaga) di risorse sul lavoro sperando in un po’ di ripresa (PD), è lo stesso ? Ognuno ha la sua ricetta: mica tutti hanno la stessa, e allora come potrebbe essere possibile mettere assieme così roba incoerente ?

    Anonimo SQ

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  14. Ma questo è un romanzo, Galatea, un romanzo a puntate … come mai hai pensato di dargli questa forma ? Lo scrivi pian piano, un pezzo alla volta. Si certo, adesso che ci penso, è proprio così. E’ come una storia dentro di te che riflette a modo suo quello che succede tutti i giorni. Che forte, è come assistere alla scrittura mentre viene scritta …

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