Il cielo sopra Spinola

C’è sopra Spinola quel cielo lì, quello gonfio di pioggia e di vento che porta tempesta e sembra voler rovesciare tutto.

«Peccato – dice Giulia – Rovinerà l’inaugurazione della nuova piazza.»

«Io non ci vado.» dico io.

«Non dire cretinate, tu ci vieni. Ci hanno speso milioni per fare quell’orrore, e tutti quelli che parteciperanno si odiano. Non puoi perderla: sarà la cosa più ridicola dell’anno.»

Ha fiuto, Giulia, per le miserie umane, e infatti anche questa volta ci ha preso. Alle 11, quando arriviamo per l’inizio della cerimonia, sembra di stare sulla scena di un film di fantascienza da pochi spiccioli, di quelli degli anni ’70, con le comparse scalcacagnate, i costumi di risulta e la produzione che si è data, scappando con i quattro soldi in cassa.

Il cielo plumbeo e gonfio di pioggia copre uno spazio di cemento grigio che s’interseca senza senso a travi di metallo: è il nuovo Centro Culturale Polifunzionale di Spinola, che vorrebbe essere un Centre Pompidou, ma sembra solo un meccano montato male da un bambino senza gusto. Davanti, a peggiorare il contrasto, hanno montato il palco per le autorità, che è quello usato per le feste e gli altri eventi di paese, con davanti le modanature in falso legno e in falso stile antico e le ciocche e i fiocchi di lato, adatte allo stile puffo palladiano di Spinola, ma che davanti a quel delirio di acciaio ricordano una casetta della Barbie rosa caduta per sbaglio in mezzo ad un gioco da adulti.

Sul palco delle autorità c’è trambusto e non solo perché tutti hanno una gran voglia di cominciare prima che venga giù il diluvio: è l’insofferenza manifesta di chi deve fare per forza una cosa in cui non crede più, se mai ci ha creduto, e quindi vuole chiudere tutto il più in fretta possibile, per poi andare via e dimenticarsene, fingendo che non sia mai accaduta.

«Allora, iniziamo?» sta chiedendo a gran voce Anselmo Pedron, la cui faccia è più nera del cielo. Ci ha buttato vagonate di soldi in quella piazza lì, con in mezzo quel coso, che poi deve diventare una specie di museo, quindi manco lo si può vendere come appartamenti: un cumulo di metri cubi che gli costano e basta, senza utile. Gli han detto, gli architetti, che sarebbe stato il centro focale della piazza, e che con la sua funzione culturale avrebbe riqualificato tutto lo spazio attorno, facendo aumentare le quotazioni delle case circostanti; ma ora che Anselmo guarda i volti della folla, delle massaie di Spinola venute per l’inaugurazione, le vede scrutare perplesse ma disgustate quei tubi a vista, valutare l’edificio come se fosse una enorme grattugia da formaggio, e decidere lì per lì che una casa davanti a quel coso loro non se la compreranno mai, pensa che aveva ragione lui a non volerlo fare così, perché lui i gusti dei suoi acquirenti li conosce, non quegli architetti del casso, che li va a Parigi e li torna credendo de saver tuto, e noi capisse un’ostia, po’.

«Guarda lì – mi dà di gomito Giulia – c’è anche Patrizia…»

La noto con una certa difficoltà, perché non è seduta accanto alla famiglia Crespano, di cui, in quanto ex, non fa più ufficialmente parte, ma una fila indietro, accanto all’Avvocato Martinuzzi, cui tiene la mano.

«Ma stanno assieme?» chiedo sorpresa.

«Non lo sai? Dicono che a furia di fare le notti a contrattare i termini del divorzio, Patrizia abbia contrattato con Martinuzzi anche altro. Solo che poi, a quanto dicono, l’avvocato pensava ad una liaison molto più libera, e invece lei ora vuole che la sposi, soprattutto visto che le finanze di casa Crespano non sono più quelle di una volta e il suo assegno di mantenimento rischia di essere ridotto…»

«E lui?» domando incuriosita, perché lo vedo con la mano intrappolata in quella di Patrizia ma in volto l’espressione mesta e disperata di un vitello trascinato all’altare sacrificale.

«E a lui tocca abbozzare. Manca solo che in questo momento scoppi uno scandalo e si venga a scoprire che si è scopato Patrizia mentre la suocera gli aveva dato l’incarico di liquidarla. La vecchia Crespano gli toglierebbe la gestione del patrimonio restante di famiglia, e Patrizia la delega a gestire il suo, e lui con questa crisi mica può permetterselo. Così fa finta che sia un grande amore, le ha regalato l’anello di fidanzamento, la vecchia Crespano è contenta perché la ex nuora le rompe meno le balle per i soldi del mantenimento, e lui ora è lì con quell’aria da cappone all’avvicinarsi del Natale, mentre Patrizia pensa già al corredo e alle bomboniere.»

Scuoto la testa, persino un po’ impietosita: «Poveraccio, che brutta fine..» mi viene solo da dire, conoscendo la tigna di Patrizia nel saper intrappolare i mariti.

«Non ti intristire. La vedi quella bionda di lato? E’ Svetlana Drobevich, una slava che era la sua ex amante. Per liquidarla senza storie le ha dovuto comprare un appartamento qua sulla piazza e lo spazio al piano terra del Centro, dove aprirà una galleria d’arte moderna.»

Giro gli occhi e noto, di fianco al palco, una serie di vetrine ingombrate di grumi di bronzo informi, che dovrebbero essere statue: «Una galleria di arte moderna a Spinola? E chi cazzo si compra quelle robe, qua?»

Giulia ride: «Ma sempre Martinuzzi, no? Non potendo passare soldi alla luce del sole a Svetlana, sennò Patrizia lo uccide, fa così: Svetlana mette in mostra quei cosi orrendi, fatti da un suo cugino in Serbia che li produce per due lire, e lui ne compra un paio all’anno per cifre astronomiche, così lei ha una rendita e lui al limite scarica dalle tasse. E poi qui son tanto scemi che se sanno che l’avvocato Martinuzzi compra quei cosi qualche gonzo che se ne compra uno pure lo trovano.

«Oh mamma, che giri.» dico io, un po’ stranita.

«E non è finita qua. – sogghigna Giulia – guarda lì, vicino a Svetlana. La riconosci quella biondina magrissima?»

Mi sforzo, strizzo gli occhi, la fisso di nuovo: «No, ma non è possibile – esclamo – è…è la Betty

«Sìììì! – trilla Giulia, mentre io ancora fatico ad identificare in quella pallida e slavata biondina che rabbrividisce dentro un abito di voile troppo leggero per la tempesta in arrivo la giunonica ed improbabile rossa ex cassiera del supermercato, e con cui Alfonso Crespano ha avuto una storia per qualche tempo – Quando ha lasciato Alfonso, la vecchia Crespano ha dato ordine a Martinuzzi che non la lasciasse andare via, perché ci mancava pure che tornasse a vendere mozzarelle all’ipercoop, così tutte le casalinghe sarebbero andate a chiederle particolari sulla famiglia! Così Martinuzzi l’ha fatta assumere alla galleria d’arte di Svetlana.»

«La Betty? Che vende opere d’arte?»

«Eh, ora ti spieghi perché ha quell’aria così terrorizzata? Penso non capisca manco da che parte si guardano quelle statue, poveretta…»

Sogghigno. Poi una fitta al cuore: «Non vedo Alfonso, però.»

Giulia sbuffa: «E non lo devi più nemmeno vedere.»

«Ma dov’è?»

«Non so, dicono a Roma con il cugino onorevole, a far non si sa bene cosa.»

«Per questo non mi ha chiamato più?» chiedo, piena di speranza.

«Non ti ha chiamato più perché è coglione, come è sempre stato. Prima lo capisci, meglio è. E più sana stai: ma non le vedi che razza di fine fanno tutte le donne che gli stanno accanto, Patrizia, la Betty? Quell’uomo ha il tocco di Mida all’incontrario, tutto quello che sfiora lo trasforma in merda. Tu ti sei salvata, tira dritto e non pensarci più.»

«Non è così facile, io non so spiegarlo, non sono capace di… » comincio a giustificarmi, ma mentre parlo sento un lieve tocco sulla spalla e mi volto. Un tuffo al cuore. E’ Nino.

«Ti ho vista e volevo salutarti.» dice, biascando un po’ le parole, rosso in volto come se chi fosse lui a dover essere imbarazzato, e non io.

Dopo un tempo che pare infinito, aggiunge, come se chiedesse un favore: «Magari… ci possiamo prendere un caffè?»

Lo guardo a bocca aperta, impietrita, e non riesco a dire nulla.

«Certo che andate a prendervi un caffè assieme! – sbotta Giulia, che spinge me e lui verso l’uscita della piazza – Tanto qua va per le lunghe e poi son sempre le solite cazzate. Su, forza, via!»

E così usciamo dalla piazza, camminando verso il nulla, mentre le nuvole non si trattengono più, e le prima grosse gocce di pioggia cadono pesanti a rovinare l’inaugurazione.

Avvertenze:

Questo è un racconto, non parla di persone ed eventi realmente accaduti. Se vi pare di riconoscere qualche persona reale o fatto, è la vita che mi copia.

Per le puntate precedenti seguire i link o leggere la sezione “Alla Periferia dell’impero”.

12 Comments

  1. in apertura, almeno due citazioni da Wenders

    interessante l’acquisto di opere d’arte scadenti per nascondere trasferimenti di palanche, non male come idea

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  2. Senti un po’, ma eri all’inaugurazione del mostro polifunzionale del mio paese due mesi fa? In pratica hai solo cambiato i nomi e hai fatto diventare una galleria d’arte il centro massaggi. Non osare più prendere in giro così la gente del nord-ovest, noi con il nord-est non abbiamo niente a che vedere! eh eh eh!

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  3. Dimenticavo: hai fatto bene a parlare di una giornata grigia, così si maschera un po’ il realismo. Ricordi? Quel giorno da noi c’era un sole che spaccava le pietre.

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  4. Io invece, caro lector soprattutto, ma anche cara galatea, cari tutti i pellegrini di queste pagine, nelle descrizioni di galatea, in questo «nordest tipico» una profonda differenza rispetto alla provincia piemontese, ligure, emiliana ed anche lombarda. Quasi tutti i personaggi tipici che la bella penna dell’autrice tratteggia portano il segno dell’evoluzione rapida, dello spaesamento avvenuto in pochi anni. Un mondo che era prima contadino e povero, per lo più, stravolto dal benessere improvviso, e poi, recentissimamente, dal benessere improvvisamente sgonfiato, in rapida disillusione. E la parlata in dialetto, rende ancor più evidente questo spaesamento: nati poveri, diventati ricchi, ed ora nuovamente a rischio povertà, ma senza il tessuto connettivo di una vera cultura popolare. I personaggi di Galatea fanno sempre tenerezza, i cattivi specialmente fanno tenerezza, l’autrice è profondamente materna con i suoi figli letterari. Io leggo, questo cerco di «leggere», forse mi sbaglio, non so se tu, caro lector, hai le medesime sensazioni

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  5. Per quello anche a Genova, anche ai vertici del corpo sociale, cara Galatea, ma io mi riferisco al «tuo» uso del dialetto all’interno del tuo mondo letterario, cioè come «fondo preparatorio» al tableau che dipingi, per usare una metafora pittorica; nel mio palazzo abita un violoncellista di Rovigo, quando lo vedo gli chiedo se è così

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  6. @–>Diego

    Ma certo, Diego carissimo.
    Io stesso, alcuni anni or sono, quando credo tu ancora non frequentassi le pagine di questo blog, dissi a Galatea che nelle sue descrizioni e nell’umanità dei suoi personagii, rivivevo le emozioni donatemi da quella grande penna che fu Giovannino Guareschi, soprattutto nella famosisima saga ambientata a Brescello.
    E, tranne la fede politica, penso che la nostra Galatea, col grande parmense, condivida la sagacia, lo humor, il senso raffinato dell’ironia e molte altre qualità scrittoriche che ometto di elencare solo per non tediare chi mi legge.
    I “Racconti di Spinola” potrebbero benissimo confluire in un libro e poi in una scenografia cinematografica che, affidata a un regista capace (non ai soliti cani messi lì soltanto perché hanno la tessera di questo o quel partito), non sfigurerebbe affatto di fronte a “Signore & signori” di Pietro Germi.
    L’accenno a Derrj voleva essere solo un riferimento a un’altra celebre città immaginaria, collocata nel Maine ma anch’essa di fatto ubiqua, partorita dalla fantasia di Stephen King. Un piccolo omaggio tra le righe, insomma (“insomma”, assieme ad “abbastanSa”, è un intercalare tipico di noi genti venete).

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