La spesa di Galatea, ovvero come tutto diventa complicato se sei uno statale e hai l’influenza

La cosa assurda è che in Italia se vuoi ammalarti la cosa principale è programmarlo. Mica puoi ammalarti così, quando ti pare e piace, o quando capita.

Per esempio, la spesa. Se ti ammali e sei dipendente pubblico, il buon Brunetta ha stabilito che sei praticamente murato in casa: dalle 8 alle 13 e poi dalle 14 alle 20. Non importa se hai una patologia per cui una passeggiatina ti farebbe magari pure bene. In casa, devi stare, sennò il dubbio è che tu sia un fannullone millantatore.

Succede così che se ti ammali fare la spesa diventa un problema serio. Perché devi essere reperibile in quegli orari, che sono però sfortunatamente anche quelli in cui sono aperti i negozi. Voi direte: embe’, ma ci sono i negozi adesso aperti ad orario continuato. Sì, certo, se vivi in una città. Ma se vivi in un ridente paesino della campagna veneta, per trovare un supermercato che tenga aperto in pausa pranzo devi andare al centro commerciale due paesi più in là, in macchina. E contando che il traffico è tremendo sulle nostre strade, un’ora potrebbe non bastare.

Quindi io, che mi sono ammalata cinque giorni fa, per cinque giorni ho cercato di sopravvivere con quanto avevo in frigo, e per fortuna che i miei geni veneziani mi spingono sempre a fare spese come se dovesse venire l’acqua alta.

Oggi mi sono arresa. Il frigo era vuoto come la caverna di Batman quando la Batmobile è fuori. Allora ho preso il coraggio a due mani: augurando a Brunetta e successori tutto il bene che si meritano, alle 13 precise precise, per scansare ogni possibile contestazione del medico fiscale, sono uscita di soppiatto a fare la spesa all’ipermercato due paesi più in là.

Mi sentivo un verme a muovermi quando sono in malattia, perché le persone oneste hanno questa caratteristica, si sentono in colpa persino quando non fanno nulla di male. Ho preso la macchina con circospezione, quatta quatta, come fosse una missione segreta, confidando sulla buona sorte e sul fatto che il traffico a quell’ora non fosse molto.

Ce l’ho fatta. Alle 14 precise ero di ritorno con il mio bottino: latte, pane, petti di pollo , un po’ di stracchino, mozzarelle. Lo stretto necessario per sopravvivere.

Lo giuro, Vostro Onore, sono ancora un po’ afona, non sto fingendo perché sono una statale infingarda.  Cerco solo di sopravvivere fino alla fine della malattia.

13 Comments

  1. A me è capitata l’identica cosa… dieci giorni chiuso in casa per una spalla lussata. Chissà, magari prendendo freddo si lussava anche l’altra 😉
    In quei dieci giorni ho avuto occasione di riflettere su quanto viviamo in una società dove il tempo libero è visto come uno spreco – se proprio non puoi lavorare, almeno devi dimostrare che stai soffrendo, anzi devi soffrire per legge!

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  2. Le persone oneste si fanno mille scrupoli, come se si vergognassero per tutte quelle altre che non lo sono e che non provano nessuna vergogna. Buona guarigione!

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  3. Mi scusi, ma Lei, che sembra usa al web da anni, non si è accorta che nel Veneto ci sono almeno 2 app (con sito web per chi non fosse dotato di smartphone / tablet) che, corrispondendo una cifra modesta, Le portano a casa la spesa dal supermercato /ipermercato di Suo gradimento anche nell’arco di 1 ora e con pagamento certificato e garantito?

    Sarà anche questa colpa dell’ex ministro Brunetta?

    Cordialità

    Attila

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  4. @Attila: io preferisco vedere dal vivo le cose che compro. Ma capisco che per lei cercare di far polemica sia più importante. Del resto, ognuno tenta di dare un senso alla sua vita come può. Stia bene.

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  5. Nessuna polemica, Lei ha un problema, la tecnologia lo risolve… e davvero Le occorre vedere dal vivo il pane, il latte, i petti di pollo, lo stracchino e le mozzarelle?

    Mi sa che la polemica viene cercata da qualcun altro.

    Rinnovo le cordialità

    Attila

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  6. Ma infatti non ho mai capito questa cosa: perché devi stare tappato in casa, se in realtà l’unico scopo delle fasce orarie è garantire la presenza in caso di visita fiscale?

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  7. Mi ero appena iscritta al blog dopo aver letto un meraviglioso articolo sul Medioevo a Bari.
    Confesso che questo post mi ha un po’ intristita.
    Lei gode di un Privilegio che non è concesso a tutti (non che io nutra simpatie nei confronti di Brunetta, per l’amor del cielo!): quello di poter essere malata e stare a casa.
    I liberi professionisti, chi lavora in proprio ed è il “padrone” di sé stesso non riceve dallo Stato il trattamento di cui lei giova e di cui si lamenta.
    Come mi piacerebbe vedere i miei genitori (commercianti) non essere costretti ad andare a lavoro con la febbre (quando va bene)!
    Non dico che i giorni di malattia siano sbagliati, anzi… tuttavia non lamentarsi (e scendere a compromessi almeno nei giorni in cui non si potrebbe uscire – come farsi recapitare la spesa a casa) mi sembra il minimo di rispetto per quella grande maggioranza di italiani che OGNI giorno non riescono ad andare a fare la spesa per gli orari di lavoro sia quando sono malati che quando godono di ottima salute.

    Cordialmente,
    Emma

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  8. Carissima Emma,
    chiariamo una volta per tutte una cosa, a lei e a tutti: quando sto a casa in malattia è perché non sono in grado di svolgere il mio lavoro. Non è un privilegio, ma un diritto. Che, a mio parere, dovrebbe essere di tutti gli esseri umani. Quindi non mi sento per nulla “privilegiata”, e a dire il vero non lo sono. Semmai sono altre categorie che sono discriminate. Quindi la pianti di cercare di far sentire in colpa me o di dirmi che non ho diritto di lamentarmi.
    Poi ognuno nella vita fa anche delle scelte. I suoi sono commercianti: immagino che abbiano scelto questa attività perché a loro piace e consapevoli di ciò che comporta. Anche il mio mestiere ha dei lati più fastidiosi, come trovarsi al pomeriggio vagonate di compiti da correggere, avere a che fare con ragazzi che spesso hanno molti problemi e non sono facili da gestire, etc. Quindi anche qua: sono privilegiata quanto i suoi sono privilegiati a fare il loro mestiere. Lo abbiamo scelto, e ci becchiamo i lati positivi e quelli negativi, punto.

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  9. nel corpo sociale vi sono interessi contrapposti, spetta al dibattito politico ed al legislatore tentare la miglior sintesi evitando quel che sta accadendo: un odio viscerale e potenzialmente violento fra diverse componenti del corpo sociale, che speriamo non esploda prima o poi

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  10. Suvvia, prof, basta frignare.

    «In pendenza della sospensione del rapporto per malattia non esiste un divieto assoluto di lavorare, né, a maggior ragione, di eseguire delle ordinarie operazioni giornaliere, quali recarsi a fare la spesa, andare in chiesa, o a teatro, fare dell’attività sportiva. Esse, infatti, secondo la consolidata giurisprudenza, divengono illegittime, giustificando l’adozione di misure disciplinari, normalmente espulsive, solo allorché […] compromettano la guarigione o ritardino il recupero delle energie psicofisiche e, quindi, il rapido ritorno al lavoro, all’esito di un accertamento che il giudice del merito deve compiere non in astratto, ma in concreto». (Cass. del 2000 n. 15916; Cass. del 2001, n. 6236; Cass. del 1998 n. 7467).

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