Piccolo vademecum per genitori sui compiti a casa

Visto che l’argomento compiti a casa suscita vespai di polemiche, e pare che noi insegnanti siamo insensibili al grido di dolore dei genitori, ecco a loro uso e consumo un piccolo elenco di consigli per affrontare i compiti a casa aiutando i figli a farli e non sostituendosi a loro.

  1. Vostro figlio è intelligente. Piantatela di trattarlo come se fosse ancora un lattante con il pannolino. Se il compito è stato assegnato dall’insegnante, vuol dire che è pensato per un ragazzino di intelligenza normale della stessa età del vostro. Se è preso da un libro di testo, vuol dire che è stato scritto da un team di esperti che si occupano di editoria scolastica da decenni. Se è un compito pensato dall’insegnante, vuol dire che è stato pensato da un tizio che conosce la classe di vostro figlio, vostro figlio e sa cosa ha spiegato in classe. Quindi è altamente probabile che il ragazzino lo sappia e lo possa fare senza aiuto. Fidatevi.
  2. «Non ho capito l’esercizio, non ci riesco!.» Prima di correre in aiuto al povero bimbo vessato da insegnanti crudeli fate qualche domanda più precisa. Lo so, sono le otto di sera, voi siete stressati e il bimbo vi guarda con occhioni da cucciolo come Bambi guardava la mamma prima di vederla morire. Lo fanno sempre. Anche con noi in classe. E sanno benissimo che funziona. Sono abituati che con questa tecnica un adulto pietoso si sente in dovere di fare l’esercizio al posto loro. No. Prima di tutto, circoscrivere il problema con alcune domande: «Cosa non hai capito?» Se risponde, come capita nel 90% dei casi, «Niente!» campanello di allarme che suona nella testa. Quasi sempre non ha letto la consegna o l’ha letta di corsa e di malavoglia. Rileggetela con lui e domandando cosa esattamente non ha capito, chiedendogli di spiegare la consegna con parole sue. Se non sa il significato di una o due parole si guarda sul vocabolario. Nella stragrande maggioranza dei casi, magicamente questo risolve tutto. Quando il ragazzino capisce che non ve la fa, si rassegna a fare l’esercizio. Se invece attacca con: «Ci ho provato, ma non ci riesco!» con un gran sorriso dite: «Ok, fammi vedere come hai provato e vediamo assieme qual è il problema.» Anche qua, nel 90% dei casi scoprirete che non ha mai nemmeno provato a risolvere la cosa, certo che l’avreste fatto voi.
  3. «Ci ha dato gli esercizi su cose che non ha spiegato!» Improbabile. Anche qua gran sorriso e domandare: «Ma hai degli appunti presi in classe? degli schemi? » Se comincia a bofonchiare, probabilmente la spiegazione da qualche parte c’è, ma è stata ingoiata da qual mare nero che è lo zaino, o giace scribacchiata su foglietti volanti persi chissà dove. Se invece l’argomento è spiegato sul libro, anche qua prima di fare gli esercizi gli si dice di leggere bene le pagine del libro e ripeterle usando parole sue. Nel 90% dei casi, magicamente, questo risolve i problemi. Non è che l’insegnante non spiega, è che il ragazzino cerca di fare i compiti senza aver prima studiato o ripassato quanto era stato detto in classe. Ci abbiamo provato tutti, da ragazzini.
  4. «Non ho i compiti/ ero assente/non l’ho scritto sul diario/non ho capito cosa si deve fare!» E subito i genitori si lanciano nella chat di classe su Whatsapp per tormentare tutti gli altri genitori ed avere consegne. No. Caspita, segnarsi i compiti è una cosa che deve fare il ragazzino. Se è stato assente, è lui e non voi che dovete arrabattarvi per scoprire cosa c’è da fare. Quindi lui chiama il compagno e si fa dare i compiti, gli appunti, le fotocopie. Non voi. Se era assente, telefona ad un compagno. Se era a scuola e non li ha segnati, si arrangia a recuperarli da solo. Se non ha capito cosa deve fare, si ricade nel caso sopra: si chiede di preciso qual è il problema, non si rompono le scatole a tutti gli altri genitori per tutto il pomeriggio.
  5. «Non so fare l’esercizio.» Se nonostante tutto il ragazzino non ce la fa comunque a farlo da solo, bene, l’esercizio non si fa. Il ragazzino la mattina seguente andrà immediatamente dall’insegnante appena entra in classe e gli dirà che non ha proprio capito come andava fatto. Gli insegnanti servono a questo ed è importante per loro avere questi riscontri, perché aiuta anche a calibrare in futuro gli esercizi da dare al ragazzino o all’intera classe. Quindi se non capisce, chiede. Deve abituarsi ad affrontare questa situazione, perché è chiedendo spiegazioni che si impara. E deve farlo lui, non voi. Non scrivete sul libretto all’insegnante giustificazioni. Se per caso l’insegnante dovesse dare una nota, allora e solo allora scrivete due righe sul libretto spiegando che aveva provato a risolvere l’esercizio e non era riuscito. Ma prima verificate che il ragazzo sia andato subito dall’insegnante a spiegare che non aveva fatto l’esercizio, e non abbia cercato invece di fare il furbo stando zitto, perché nel qual caso la nota è più che giustificata.
  6. Se poi vi rendete conto che proprio il ragazzino non ce la fa, non riesce a capire le consegne più semplici, non segna i compiti sul diario, è disorganizzato, i compiti sono una vera e propria agonia e non ha nessuna autonomia nel farli da solo ma abbisogna della vostra costante presenza per risolverli, eh allora c’è davvero qualcosa che non va. Ma non nella quantità di compiti. Potrebbe essere un disagio del bambino. Parlatene con gli insegnanti e considerate a quel punto di concerto con loro di rivolgervi ad uno specialista. Ma, credetemi, sono casi rari. Quasi sempre le grandi difficoltà dei ragazzini si risolvono immediatamente appena si rendono conto che non possono delegare a voi le cose e devono fare da soli. Imparano ad organizzarsi e a studiare. Diventano grandi. Il che vuol dire che voi siete un po’ meno necessari, e questo può far male, perché finché dipendono da noi noi ci sentiamo utili e giovani. Ma anche questo è essere genitori: stare un po’ male perché loro stiano meglio.

14 Comments

  1. Parole al vento :-), ma grazie, comunque.
    Da maestra concordo in pieno. Insegno da quasi 40 anni, non ho mai dovuto dire tante volte come in questo ultimi anni “pulisciti il naso”, tanto che valuto la maturità di un sei-decenne dalla lunghezza e dal colore del prodotto del medesimo. Né ho mai incontrato bimbi settenni che non si sapessero abbottonare-sbottonare (bottoni di due cm, asole di tre) o infilare un grembiule, soprattutto dopo che glielo hai mostrato per una decina di volte. Ora sì.
    Puoi immaginare il lavoro quotidiano a scuola.
    Per tutti poi, c’è la campagna “Basta, compiti!” Che dire? Personalmente sono a corto di parole e talvolta ho un filo di rassegnazione.
    Buona domenica!

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  2. Io concordo con il 98% delle considerazioni; in generale, SI all’autonomia dei nostri figli, ma…
    1. Mettiamoci pure che anche gli insegnanti possono sbagliare, come capita a tutti, basta saperlo ammettere, come capita a pochi!
    2. Lo studente che non corre subito dall’insegnante per dirgli che non ha fatto i compiti, non è per forza uno studente che vuole fare il furbo. Credo che il dialogo studente-insegnante-genitore sia un meccanismo un po’ complicato, anche se non dovrebbe, ma sintetizzarlo così mi sembra riduttivo.

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  3. Io eviterei anche che il genitore si mettesse solo alle otto di sera a fare i compiti con il figlio…Questi bambini con chi vivono? Da soli? Non credo. Per cui chiunque stia in casa può verificare che il pargolo si sia messo davvero sui libri per tempo e non abbia trascinato il suo tempo dal cell.alla tele

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  4. Come l’ultimo dei peccatori, confesso di violare spesso il consiglio numero 4 e il 5. Comunque grazie. Sembra un’ovvietà, ma ricorda: anche a noi, nessuno ci ha insegnato a essere genitori. Saluti.

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  5. La mia vecchia maestra delle elementari, mi ripeteva che i compiti servono a me, non a lei.

    Che tristezza sapere che così tanti genitori ancora non lo hanno capito. E con che tenacia e sperpero di tempo si accaniscono sull’idea che i compiti devono venir bene per far contenta la prof di turno… lungi da loro l’idea che possano servire al bambino per capire meglio.

    Mi vien da pensare che sia lo specchio di una società in cui si ritiene più importante far bella figura che sapere. O forse ci leggo troppo?

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  6. i genitori preferiscono sostituirsi al bambino nel fare i compiti, perché così smette di rompere e loro sono liberi.
    Però fanno un doppio danno. Il primo è che il bambino non crescerà mai, resterà nella dolce bambagia della madre premurosa. Il secondo le conoscenze saranno ridotte al lumicini. Ergo domani sarà incapace di fare qualsiasi cosa.

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  7. una voce di parte, seppur qualificata, è sempre una voce di parte, che minimizza re responsabilità della propria categoria per naturale e comprensibile istinto corporativo

    ciononostante, alcuni suggerimenti sono da tenere in giusto conto

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  8. No, Diegod56, qui le responsabilità della categoria insegnantesca c’entrano solo di striscio: Galatea infatti dice che, se i compiti non riescono, l’alunno deve dirlo all’insegnante – a cui spetta capire il perché non sono riusciti per rivedere eventualmente la programmazione. La toppa messa dal genitore è dannosa per tutti. Consideri che lo stato (e spesso anche i privati) ci paga per insegnare ai ragazzi, non ai genitori.

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  9. così come i genitori danno sempre colpa agli insegnanti, così gli insegnanti danno sempre colpa ai genitori, per naturale tendenza a difendere la propria categoria

    ci sono ottimi insegnanti, ottimi genitori, pessimi genitori e pessimi insegnanti

    il problema quale è? i cattivi genitori non si possono licenziare, e così anche i cattivi insegnanti

    parità perfetta direi

    ma capisco benissimo, cicero pro domo sua

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  10. Ci ero pro domo sua? Devo concluderne che lei fa i compiti dei suoi figli e sta difendendo la sua causa? Spero di no 🙂
    Ma le ricordo che la questione è partita da un genitore che si lamentava perché costretto a fare troppi compiti. Ricordare che i compiti di scuola vanno fatti da coloro cui sono stati assegnati non è difendere la causa o sostenere che i genitori sono pessimi. Qui è il genitore che si è preso la colpa, tutto da solo. Reo confesso, costituitosi del tutto spontaneamente.

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