L’incrinatura (storie d’amore che si spezzano)

È un attimo. Un cric. Lo senti, perché non è vero che le metafore sono metafore: niente è più reale di loro, quando ci si mettono. È quel momento in cui lui, che stimi, che ami, dice o fa qualcosa che ti lascia perplessa. No, più di perplessa, a dire il vero se fosse un altro e non lui a dire o a fare una cosa del genere, non saresti affatto perplessa, saresti basita. Ci metteresti un fiat a fulminarlo con una occhiata assassina, e mentalmente prendere nota che quel tizio lì non lo vuoi frequentare più, nemmeno trovartelo vicino al bar mentre prendi un caffè o salirci assieme in ascensore.

Ma siccome è stato lui a farlo, e ne è beatamente inconscio, o quando chiedi spiegazioni persino fiero, quel benedetto cric lo senti, ma decidi di ignorarlo. Ridi, come se fosse una battuta, la sua, anche se hai capito a istinto che non lo è. O minimizzi, trovandogli tutte le scuse possibili o accettando anche quelle impossibili: è stanco, voleva dire qualcosa d’altro, non ha capito bene, non ho capito bene io. Neghi. Testardamente, pervicacemente. Perché tu, che lo conosci, sai che lui non è così. Ti intigni come tutti i fanatici si intignano a trovare scuse per il loro Dio. Perché il problema non è che il Dio si riveli poco divino, in fondo: l’inaccettabile è che ti sia sbagliata e che ti stia rivelando troppo umana tu.

Ma l’incrinatura c’è, e come tutte le incrinature cammina, facendo scricchiolare il vetro che la contiene. E a poco a poco, come una lenta presa di coscienza, cominci a rivedere alla moviola tanti altri momenti passati, tanti gesti, tanti discorsi, che d’improvviso leggi in maniera diversa, e rileggere quelli presenti persino a valutare i futuri. Come certi dettagli di paesaggi, che cambiano completamente quando le vedi da un’altra angolazione, o con la luce diversa, ti rendi conto che hai di fronte qualcuno che non conosci, o non riconosci più.

E allora piano piano, e dolorosamente, accetti che forse l’incrinatura c’è sempre stata, e tu non l’avevi voluta vedere, non l’avevi capita, l’avevi considerata un vezzo, persino in pregio, e invece era un difetto, un vizio, una crepa strutturale. Così grave che adesso sta per mandare in pezzi tutta quella immagine che ti eri fatta di lui, e di cui ti eri innamorata.

E se sei fortunata, ti scansi un attimo prima che l’incrinatura faccia esplodere tutto in una cascata di schegge taglienti e pericolose.

Se sei fortunata. E bisogna esserlo tanto, perché sennò le schegge, di taglio, fanno male. Tanto male, eh.

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  1. “E allora piano piano, e dolorosamente, accetti che forse l’incrinatura c’è sempre stata, e tu non l’avevi voluta vedere, non l’avevi capita, l’avevi considerata un vezzo, persino in pregio, e invece era un difetto, un vizio, una crepa strutturale. ” Complimenti per aver descritto con grande profondità (e precisione) quei momenti rivelatori , e tremendi, oserei dire

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