Non sono femminista, mi ci avete fatto diventare

Sono cresciuta in una famiglia e in una società in cui un sacco di cose, mi rendo conto ora, erano scontate. Sono nata all’inizio degli anni ’70, in una famiglia prevalentemente femminile, nel senso che mio padre era l’unico maschio presente, e mi rendo conto sempre più con il passare degli anni, allora mi pareva una persona normale, ma evidentemente era invece avantissimo.

A casa mia le donne lavoravano, avevano i loro soldi, e nessuno si permetteva di dire loro come dovessero spenderli o cosa fare. Facevano le spese, compravano mobili, contrattavano con negozianti, operai, professionisti, senza che ci fosse mai bisogno della presenza maschile perché appunto erano cose loro.

In famiglia mia si è sempre dato per scontato che avrei studiato quello che mi piaceva e da grande avrei fatto il mestiere che avrei voluto fare. Che avrei potuto viaggiare in giro per il mondo, in compagni e da sola, uscire con gli amici e le amiche, trovarmi moroso, sposarmi se mi andava, non sposarmi o convivere se mi fosse invece andato così. Mio padre al massimo, manifestava una certa preoccupazione perché secondo lui io uscivo e viaggiavo sempre troppo poco, soprattutto per i suoi parametri di globe-trotter instancabile. Mia madre, mia nonna e mia zia, invece di chiedermi, come molte parenti di mie amiche, quando mi sarei trovata un fidanzato o sposata, mi dicevano che per quello, se una vuole, c’è sempre tempo, e che la cosa importante per una donna era invece studiare, per poi trovarsi un lavoro ed essere indipendente. Perché nella vita quando hai un lavoro e sei indipendente sei libera, qualunque cosa succeda.

Attorno la società era fatta di una Italia in cui c’erano stati i referendum per divorzio e aborto, e fino a tutti gli anni ’80 e ’90 i diritti delle donne non erano messi in discussione. Quando ero alle superiori l’immagine femminile vincente era quella della donna manager, che sarà stata mascolina e magari caricaturale, ma porca miseria, noi ragazzine crescevamo con l’idea che da grandi saremmo potute diventare senza problemi dirigenti d’azienda, mediche, avvocate, non certo casalinghe rinchiuse in casa a badare alle pappette dei figlioli.

Per noi era così scontato, che io, per esempio, non ho mai avuto il bisogno di frequentare circoli femministi o essere femminista, perché per me questo modo di pensare non era femminismo, era semplicemente la realtà normale di ogni giorno. Vivevo certo in una bolla fortunata, ma era una bolla molto estesa, perché la condividevo con tantissime amiche e coetanee. Per noi tutto questo era scontato come respirare l’aria.

Ora io non ho capito bene quando sia cambiato tutto, ma ad un certo punto è cambiato. Drammaticamente. Perché oggi se dici queste cose che per noi erano assolutamente scontate, come dire “Che bella giornata!” quando fuori c’è il sole, pare che non lo sia più.

Oggi se dici che sei una donna e hai gli stessi identici diritti di un uomo, perché entrambi siamo esseri umani, pare che tu affermi una cosa eversiva e rivoluzionaria. Se ti incazzi contro i pregiudizi sembra che tu metta in discussione l’ordine della società.

Oggi, se affermo queste cose che per me sono naturali e indiscutibili, sono una pericolosa femminista. Se faccio notare che una donna ha diritto insindacabile di decidere su suo corpo, scegliere se diventare madre o meno, sposarsi, non sposarsi, convivere, decidere che lavoro vuole fare, pare che stia dicendo delle cose pericolosissime, manco sostenessi che bisogna mettere bombe nei treni. Scopro con orrore che non essendomi riprodotta dovrei essere considerata una “donna a metà”, che se dico che a lavorare mi diverto e provo soddisfazione sono una stronza, che se mi incazzo perché da donna subisco dei pregiudizi quando vengo valutata sono una fanatica isterica. Scopro che come donna il posto naturale sarebbe a casa, se non a curare i figli che per mia colpa non ho, almeno a seguire gli anziani di famiglia, come un tempo le zie beghine, e che il mio lavoro esterno può essere tollerato solo per una esigenza familiare di un reddito maggiore. Scopro che in fondo io come donna non ho davvero diritto ad una vita mia, ma solo ad una esistenza come appendice di qualcun altro, un padre, un marito, un compagno, dietro cui devo comunque stare in ombra, perché il mio lavoro, la mia carriera e le mie scelte sono sempre in secondo piano rispetto alle sue, e se non lo accetto sono io che sono strana, cattiva, rancorosa, isterica. Scopro che se lascio il mio compagno lui viene in fondo giustificato dalla società se mi ammazza, perché insomma è evidente che se lo lascio è perché ho troppi grilli per la testa e sfascio una famiglia per la mia leggerezza e volubilità. Scopro che non dovrei poter abortire, e nemmeno divorziare, perché la famiglia non è una istituzione paritaria, ma un luogo in cui la donna è solo ancella al servizio altrui e della società. Che ha bisogno di figli e quindi a me trova produrli, come una incubatrice.

E se non sono d’accordo con tutto questo, trovo uomini e anche donne che mi attaccano velenosamente e mi dicono che sono una femminista, con la bava alla bocca e la faccia schifata, come se fosse un insulto.

È allora sì, sono femminista. Ma proprio femminista marcia, Ma non lo sono. Mi ci avete fatto diventare.

11 Comments

  1. Essere state ragazze negli anni 70 è un dramma, perché ti dà una visione distorta della realtà. Dovrebbero dedicarci dei film, come han fatto in USA per i reduci del VietNam. Considera poi che io ERO a tutti gli effetti femminista, e in casa veniva considerata cosa buona e giusta – pure da mio padre, che pure non alzava un piatto. Niente, a un certo punto ci siamo addormentate e al nostro risveglio ci siamo ritrovate in quest’incubo, dove ti spiegano tutti seri che il vero problema sono le violenze che le donne compiono sugli uomini e che Cristoforetti fa male a andarsene nello spazio e dovrebbe invece preoccuparsi di tirare su una nidiata di figli (per riempire i vuoti di questo mondo spopolato, immagino). Passerà come oassano tutte le mode, cretine e non, ma al momento è tutto piuttosto sconcertante, ecco.

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  2. quando vado in piazza e vedo noi dai 60 in avanti e le nostre nipoti mi domando ma le mie figlie dove sono? perché non ho passato il testimone? ed allora credo di comprendere il perché è ritornato il fascismo. Abbiamo dato per acquisito mentre nulla è acquisito e gratis.
    Non abbiamo (parlo in generale) raccontato, non abbiamo trasmesso gli orrori e non abbiamo parlato degli errori. Ora noi “nonne” dobbiamo solo essere disponibili a raccontare senza filtri. siamo rimaste solo noi per passare il testimone dell’orrore della guerra che i nostri ci hanno raccontato e le lotte per l’uguaglianza, che sono state LOTTE prima con noi stesse e poi con il nostro intorno.

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  3. Obiettivamente, se una minoranza della popolazione pensa ciò che è stato scritto più sopra, io non mi preoccupo, poiché, appunto, una minoranza insignificante. E, ancora obiettivamente, non trovo che i sentimenti anti-femminili o anti-femministi paventati siano così diffusi. O, per lo meno, non lo sono negli ambienti che frequento. Evvivano le donne!

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  4. Condivido tutto. Penso che in tutto questo anche noi donne abbiamo grandi responsabilità. Abbiamo abbassato la guardia, ci siamo fatte incantare dalla tv: veline, letterine, meteorite e via dicendo. Nel mondo del lavoro abbiamo voluto somigliare agli uomini e abbiamo dimenticato cosa significa solidarietà femminile. Abbiamo cresciuto figli ai quali non si può dire un no altrimenti frustrazioni senza senso. Ho semplificato, ma ora non si devono ripetere più certi errori.

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  5. Da maschio – maschio pensante, intendiamoci – condivido ogni parola di questo post, e mi dispiace enormemente per questa forma di, come dire?, regressione sociale di cui le donne sono vittime.
    Un abbraccio.

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  6. Il relativismo etico mi ha un pò rotto. Tutti possono dire tutto, anche quando l’opinione che si esprime sottintende inculcare il diritto di un altro a vivere la sua vita in piena libertà? Una volta avrebbero avuto vergogna, o paura. Forse più paura che vergona? Perché è una costante di questi qui, di farsi forti con i deboli. E questo mi dice che anche se deboli non siamo, però lo sembriamo.

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  7. Cavolo, non sono io allora, non è una mia impressione…
    Bizzarramente, mentre leggevo l’elenco di ciò che per noi era normale e ora pare non lo sia più, mi tornavano in mente frasi e spezzoni di libri ed articoli scritti da Siriane o da Afgani che raccontano di quando prima era tutto diverso, di quando in Afganistan negli anni ’70 e ’80 le donne facevano carriera all’università, ed era normale…
    Ma forse è che il burka di stoffa si nota di più, rispetto a quello mediatico.

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  8. Quello che scrivi lo condivido, perché è solo buon senso.
    La deriva di destra che abbiamo attivato noi fingendo che le proposte fossero solo folcloristiche alla fine travolto tutto e sono diventate legge o quasi.
    Certo che donna e uomo sono esseri umani e come tali uguali ma se la donna è solo una fattrice di riproduzione e l’uomo è il re della casa, allora qualcosa non funziona.
    Quello che più mi atterrisce è vedere la foga di tante pasionarie che inneggiano al maschio dominante. Ognuno è libero di scegliere come vivere.

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  9. Mi sembra, da quello che scrivi, che tu sia incattivita contro il mondo, qualcuno ti ha forse ripreso con gli improperi che lanci a destra e a manca?
    O forse è il congresso mondiale delle famiglie che ti fa questo effetto? A me sembra, invece, che il fatto che negli stessi giorni ci siano state due manifestazioni di segno contrario sia un segno inequivocabile di democrazia, imperfetta e forse un po’ sgangherata, ma in questo mondo non si può avere tutto.

    Un segno di maturità sarebbe stato, per chi ha manifestato contro il congresso delle famiglie, andare a manifestare per i diritti delle donne in Arabia o in Iran per esempio. Paesi in cui molte donne farebbero carte false per avere gli stessi diritti delle italiane.

    Per finire: anche i dirigenti d’azienda e simili sono stati figliole e figlioli bisognosi di pappette e di cure.

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