Aniene: ovvero alcune riflessioni sulla tv, i tormentoni e la memoria condivisa

Ieri sera, in tv, c’era il debutto dell’ultimo show di Corrado Guzzanti, Aniene. E io non l’ho visto. Non perché non volessi – adoro Corrado Guzzanti in tutte le sue forme – ma perché non potevo: era su una tv a pagamento, e io non sono abbonata. Navigavo in internet a caccia di un link, di qualcuno che lo stesse rigirando in rete, ma non c’era. Troppo presto. Per guardarlo di straforo da qualche parte ho dovuto aspettare oggi pomeriggio. Ma ieri sera no. In compenso i vari Social, Friendfeed, Facebook, Twitter erano già pieni di gente che commentava le sue battute, le rilanciava, apriva discussioni se il programma era brutto o bello. Io li leggevo, e per la prima volta in vita mia mi sentivo esclusa, forzatamente esclusa, da un evento che avrei voluto seguire. Non come la piccola fiammiferaia che crepava di freddo davanti al ristorante, però ecco, qualcosa di simile, sì.

Se i ragazzini di oggi sono nativi digitali, io sono una nativa televisiva. Per la mia generazione la tv è stata sempre una sorta di “patrimonio comune”. Nel senso che, pubblica o privata, era in ogni caso qualcosa a cui tutti avevano libero accesso. La accendevi ed era là: i cartoni animati, i programmi comici, i documentari. Siamo cresciuti ripentendo, tutti, i tormentoni sentiti a Drive In, le battute di Beppe Grillo (allora, quando faceva il comico, era simpatico) o imparando dagli stessi filmati di Quark.

In tv c’era un nuovo spettacolo alla sera, e noi tutti la mattina dopo, a scuola, eravamo pronti a commentare la svolta epocale successa a Dallas, il vestito indossato dalla valletta, la dichiarazione del nostro cantante preferito. Capitava che i tuoi genitori magari non ti facessero vedere una cosa perché la ritenevano inadatta. Ma erano divieti aggirabilissimi: si andava a vederla a casa di una amica, oppure si girava sul canale quando loro erano fuori o distratti. E voilà.

In questo senso la “nostra” tv non era classista, anzi. Il figlio del povero e del ricco erano esposti alla stessa scelta di programmi, si rincretinivano o si istruivano alla stessa maniera, in qualche modo godevano del medesimo patrimonio comune, di una esperienza e di una memoria condivisa. Diventavano simili e si sentivano fratelli.

Oggi non è più così. Me ne sono resa conto ieri sera sulla mia pelle. La tv è diventata una esperienza condivisa solo da gente che fa parte della stessa “classe sociale”, di una élite,  e condivide lo stesso tipo di canale in abbonamento. Gli altri, che non se lo possono permettere, sono tagliati fuori. Certo, possono come me recuperare tramite la rete lo spettacolo che li interessa, o una parte di esso. Ma non è la stessa cosa, a ben guardare, e comunque è legata sempre al fatto che i fruitori abbiano un accesso al web e siano in grado di usare la rete, cioè facciano parte di un altro tipo di élite, in fondo.

Lo vedo con i miei ragazzini a scuola, come questo sta cambiando. Quando gli chiedi: «Che cartoni animati o telefilm guardate?» ti senti rispondere le cose più diverse, a seconda degli abbonamenti fatti dai genitori e dei canali disponibili in famiglia. Non solo non sono più omogenei fra loro, perché alcuni non possono (non “non vogliono”, non possono proprio) vedere determinati programmi, ma è difficile persino per me parlare con loro. Perché se prima per capire cosa piaceva ai miei alunni mi veniva richiesto solo di sintonizzarmi su alcuni programmi che io magari di mio non avrei guardato,  ora mi è impossibile farlo, perché sono trasmessi da reti che io non vedo.

Non dico che sia necessariamente peggio adesso e meglio allora. Magari non sarà così, anche perché forse per le nuove generazioni anche la tv sarà qualcosa di molto meno centrale di quello che è stato per noi. Ma il mio dubbio è che mentre io e Piersilvio Berlusconi, ci incontrassimo mai nello scompartimento di un treno, per passare le ore di viaggio potremmo almeno chiacchierare ricordando i bei tempi in cui entrambi guardavamo Candy Candy e G.R, un domani il figlio di un operaio e di un miliardario non potranno fare nemmeno questo, e l’esperienza comune non esisterà più, esisteranno solo nicchie in cui ci si conosce e ci si riconosce fra esclusivamente simili.

Di sicuro io, ieri sera, avrei gradito molto commentare in diretta, per esempio con Ghino, il programma di Guzzanti, visto che piace a tutti e due. Ma lui Guzzanti lo poteva vedere, e io no.

E, giuro, mi sono sentita per la prima volta in vita mia davvero povera.

30 Comments

  1. bah, può darsi, se la si vuole vedere solo dal lato economico, ma… io non ho questa impressione: tante parabole e antenne come sopra le case degli immigrati e sui balconi delle case popolari non le vedo neanche sopra le ville. gli unici che fanno “senza la tv”, di quelli che ho sentito personalmente affermare ciò, sono un industriale, un erede di antica famiglia e una coppia di professori. al giorno d’oggi mi sembrano molto più classisti i libri, le librerie da me sono solo in centro, e non mi sembra siano piene di figli di operai, ho il sospetto che questi le frequentassero di più nei ’70, ma non c’ero e magari mi sbaglio.

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  2. @nomedelblog: Credo che le antenne satellitari servano alle famiglie immigrate per vedere i programmi dei loro paesi d’origine, quindi penso che non comprino i pacchetti-abbonamento più costosi. Tra l’altro, io stavo parlando di una cosa leggermente diversa: non di chi “sceglie” di non vedere la tv (tutta) per scelta, ma di chi non può accedere a certi programmi che magari gli interesserebbero perché non è abbonato ad un certo canale. E visto che i canali in abbonamento sono ormai diversi e ciascuno richiede un canone, oltre a quello rai, è ovvio che ad un certo punto diventa anche un problema economico. Quanto ai libri, le librerie in Italia non sono mai state zeppe di gente, per quanto ricordo io, ma la gente che ama leggere è assolutamente trasversale: conosco appassionati di libri che vengono da famiglie di operai e appassionati che vengono da famiglie ricchissime. La differenza è magari in quanti libri puoi comprarti al mese, o in che tipo di libri pigli (solo tascabili, magari, per risparmiare). Quanto alle librerie che sono solo in centro.. be’,conosco gente che va a fare lo struscio in centro tutte le sere e non entra mai in libreria, ma ti assicuro che non è certo per un problema economico.

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  3. @guido: Non parlavo di chi decide di non vedere la tv per principio. Quella è una scelta personale e rispettabile. Ma io per esempio non sarei capace. A me guardare la tv piace e la trovo utile e divertente. Mi piace anche il fatto che, paradossalmente, anche se sei da solo davanti allo schermo, la visione di un programma tv ha sempre una dimensione collettiva, perché stai comunque facendo una cosa in contemporanea con altre persone, mentre quando guardi un dvd o una trasmissione in streamingi quando vuoi tu da internet questo manca. E poi, ripeto: Guzzanti ieri sera in streaming non c’era. O avevi sky o non lo vedevi, punto.

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  4. è molto vera questa constatazione dello «sgretolamento» della stessa idea di memoria collettiva; forse è un bene, perchè rende meno potente chi detiene un qualche grosso canale di creazione e distribuzione di contenuti, ma d’altra parte potrebbe rendere difficile appoggiarsi a miti collettivi, a comuni modelli positivi; vedremo come vanno le cose, anche se son più gli ottimisti, anche fra i vecchietti come me che ricordano i tempi dell’underground, del ciclostile semiclandestino, per passare anche, alla fine degli anni settanta, dalla «rivoluzione molecolare» di felix guattari, al mitico «riprendiamoci la vita» della bellissima ballata di claudio lolli; ora penso che una comunicazione rizomatica e frantumata, sia nel complesso, migliore, anche se il problema del non avere «un’anima collettiva» esiste; chissà, forse si ripartirà dal nazareno e dal vecchio marx, magari usando l’internet e le sue diavolerie

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  5. Anche io non ne farei un problema di censo, tanto per il fatto che la Pay-TV non costa poi tanto (prime cinematografiche a parte), quanto per aver potuto verificare quanti hanno l’abbonamento a tutto il calcio e poi stentano a mettere 5 euro per una gita scolastica del figlio.
    Secondo me è il mezzo televisivo classico che sta raschiando il fondo, con sempre meno spettatori, sempre meno idee (nenche il porno è riuscito a salvarlo).
    Internet ha già eroso vistosamente il suo capitale e lo farà sempre di più, tra i film scaricati illegalmente e le webTV delle corazzate mediatiche che si apprestano al D-day, Google, Sony, Virgin eccetera.
    Non c’è più la Nazione davanti al tubo, ma sempre meno reduci del glorioso passato; gli assuntori cronici di soap-opera ed i nostalgici di Quelli della notte, Mister Fantasy e Fuori Orario (cose mai ri-viste).
    I primi si estingueranno per scarsa motilità seminale indotta, i secondi completeranno presto la migrazione verso la rete, cominciata con il boom dei blog, ora in calo, e sempre più orientata alla ipTV a richiesta, vedi quello che vuoi, dove e quando vuoi, con quante pause ti va.

    Qualche settimana fa, in una delle poche volte che stavo davanti al televisore acceso, ho incrociato il programma di Sgarbi, e mi ci sono soffermato; pur non apprezzando affatto Sgarbi, ho trovato il programma non stantio e non prevedibile: puntualmente l’hanno chiuso il giorno dopo.
    Se avevo dei dubbi me li hanno tolti per sempre.

    Non mi sentirei esclusa, se fossi in te. Son loro che non sono riusciti a raggingerti.

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  6. Penso che puoi sopravvvivere lo stesso. Che poi, Sky ce l’hanno più quelli che non arrivano a fine mese che chi non ha problemi di soldi: quelli mica passano il tempo davanti alla tele. Io faccio eccezione: non ho sky e non arrivo a fine mese (internet è compreso nella bolletta). 🙂

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  7. Io sono felice di questo tipo di svolta; sono nata nell’ 86, quindi la televisione “di massa” che ho visto è stata quella degli anni ’90. Ma anche allora non eravamo poi così omogenei (grazie a Dio, direi). Secondo me l’opportunità di svolta che questa evoluzione dà è che ora, se vuoi qualcosa, devi andartela a cercare. E non è necessariamente un male, perché cercando qualcosa che conosci puoi incappare in qualcosa che non conosci. E magari il figlio del miliardario e il figlio dell’ operaio guardano gli stessi video su youtube, creando comunque un’esperienza collettiva
    Mi manca solo una cosa della televisione: l’attesa. L’attesa di un film che è proprio quella sera, o l’attesa dell’ ultima puntata di qualcosa. : )

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  8. Lo ammetto… ho fatto l’abbonamento a sky. Non è una cosa di cui vado particolarmente orgoglioso, costa un botto, e solo pochi canali sono davvero di alta qualità, ma tant’è… un minimo di informazione librea, già solo sky-tg24 che secondo me è fatto bene.

    Mi sa che ti tocca gettare la spugna e spenderti gli ultimi spiccioli con un decoder sky!

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  9. Beh Galatea, se arrivi a sentirti povera perché non hai l’abbonamento a sky, hai davvero un buon motivo, nelle tristi serate in cui ti manca la condivisione dei programmi tivu, per imparare cos’è l’interculturalità: hai presente quella cosa per cui persone che hanno culture o esperienze diverse riescono a parlarne e perfino a condividerne motivi e significati arrivando anche ad arricchirsi e a far tesoro l’uno delle esperienze dell’altro? E non basano la loro conoscenza solo sull’esperienza comune, né si rifugiano in nicchie aspettando di riconoscere i propri simili.
    Ma forse ho capito male e stavi solo scherzando.

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  10. @Elena: A parte che di “interculturalità” (parola peraltro foneticamente orribile, partorita dai deliri dei progetti scolastici e dal linguaggio ministeriale politicamente corretto) ne mastico parecchia – e spesso si riduce ad un bel bla bla per sgravarsi la coscienza, cioè, appunto, all’andare per un paio d’ore a qualche festival etnico dove si balla, si mangia, si ascolta in conferenza qualche storia buonista di integrazione più o meno riuscita e poi via, tutti contenti e convinti di aver fatto chissà che esperienza antirazzista- direi, cara Elena, che la tua obiezione, o suggerimento, o quello che è c’entra poco con il senso del post. Sarebbe come a dire “Visto che non ti puoi permettere di comprare l’ultimo romanzo/saggio capolavoro di un autore X, vai giù a parlare con la tua vicina di casa, ché tanto è lo stesso.” Io posso anche andare a parlare con tutti i vicini di casa nelle tristi sere in cui non posso guardare Guzzanti, o scendere al bar e prendermi una birra con gli amici, scambiarmi esperienze interculturali parlando con il ragazzo che ha la bottega del Kebab, ma resta il fatto che mi dispiace di non aver aver potuto vedere la puntata perché non me lo posso permettere. E poi, posso dirla tutta, Elena? Quest’idea che parlare con la gente nella vita reale sia sempre più formante che guardare spettacoli teatrali, leggere libri o vedere dei programmi tv è una gran scemenza. Sinceramente mi pare che fra il passare un’ora a guardare un bel programma televisivo o leggere un bel libro e passarne una a chiacchierare “interculturalmente” con un tizio a caso, solo per dimostrare che si è “interculturali”, la prima opzione sia migliore.

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  11. Ti capisco Galatea, anche a me sarebbe piaciuto vedere Guzzanti, ma non sono disposto a pagare un abbonamento a tempo indeterminato per vedere UN evento. Quindi ha ragione Ugolino: sono loro che non ci hanno raggiunti. Per quanto riguarda la memoria collettiva c’era prima della tv generalista e persino del cinema. Non vedo perchè non dovrebbe formarsi diversamente anche adesso. Se Aniene farà parte di quella memoria collettiva lo farà indipendentemente dal modo in cui è entrato nelle memorie singole: in diretta, a teatro, in streaming in differita o piratato. Io non ne sono spaventato 😉

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  12. @paolo: Neppure io ne sono spaventata. Resto però colpita dal fatto che sta succedendo qualcosa di diverso da quanto ero abituata: anche se Aniene arriverà a molte più persone di quante lo han visto da Sky (io per esempio l’ho visto il giorno dopo) sarà però sempre uno spettacolo molto più di “nicchia” dei vecchi spettacoli di Guzzanti sulla Rai: lo vedranno solo quelli che hanno l’abbonamento oppure quelli che fanno parte in Italia di quel nucleo ancora piuttosto limitato che sa come reperire in rete i filmati che gli interessano. In queste condizioni può diventare una memoria condivisa solo in determinate nicchie, mentre prima aveva già in potenza un bacino di diffusione molto più ampio. E’ un fenomeno molto simile (anche se il paragone regge fino ad un certo punto) all’autore che pubblica con Mondadori, e quindi può contare fin da subito su grande distribuzione e pubblicità, e quello, magari molto più valido, che pubblica per una piccola casa editrice conosciuta da quattro gatti: magari diventa un best seller lo stesso, ma è più facile che resti un grande autore conosciuto solo nella nicchia dei forti lettori.

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  13. quanto al mio “senza tv ci stanno solo “alti” “, leggilo al paio col tuo “c’è chi va in centro tutti i giorni e non ha mai messo piede in una libreria”: avremo anche impressioni diverse, ma siamo d’accordo che non conta solo il fattore economico.
    e la televisione mi sembra una cosa a cui non rinunciano facilmente nemmeno persone che non navigano nell’oro, così come, per esempio, il cellulare nuovo: se faccio una rapida scorsa dei miei vicini di casa della frazione agricola, tutti dipendenti qui o altrove, mi viene in mente che ci sono 11 sky calcio, per dire.
    ma come ho detto, sono impressioni personali, mica statistiche.

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  14. @nomedelblog: Secondo me la tua osservazione è interessante anche per un altro fatto: quante delle persone di non grande disponibilità economica avranno comprato il pacchetto Sky non solo perché sono amanti del calcio ma anche perché così potranno il giorno dopo parlare con gli amici della partita che han potuto vedere grazie all’abbonamento pagato? Quanti si comprano il cellulare (o un certo tipo di cellulare) perché così possono sentirsi parte e avere contatti con un certo tipo di “gruppo di utenti” da cui altrimenti sarebbero esclusi? In realtà comprare un prodotto (o un abbonamento ad un canale) ti permette di entrare a far parte di una certa “cerchia” di persone con cui hai delle esperienze comuni e quindi una “memoria condivisa”. Se a me interessa entrare a far parte di una certa cerchia (appassionati di calcio, lettori dell’autore X, abbonati che possono vedere il programma di Guzzanti) sarò disposta ad investire soldi in questo, anche tagliando su altre spese che mi sembrano meno necessarie o appaganti. Taglio sulla spesa per il cibo, comprando quello del discount, per permettermi l’abbonamento a Sky, oppure taglio l’abbonamento a Sky per permettermi di mangiare al ristorante cinque stelle dove poi trovo i miei amici per chiacchierare di alta cucina… e così via.

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  15. Mica mi hai convinto, sai?
    Proprio perché ai media uno a tanti mi ero stufato sono ricorso (di certo non per primo) a media con caratteristiche differenti…. il web.
    Quello le tecnologie avrebbero poi alimentato, per motivi preofessionali ne sono a conoscenza da quasi vent’anni.
    Il DVB con possibilità di selezione degli utenti non è poi così diverso da tanti altri casi di “selezione dell’utenza”. Magari le modalità possono sembrare diverse, ma poi davvero poco.
    Da bambino privilegiato avevo accesso “praticamente quotidiano” alle sale cinematografiche ove ho visto film che i la maggior parte dei miei coetanei avrebbe dovuto aspettare di vedere (anni dopo) in TV.
    Il costo di un abbonamento non è poi così lontato da quello di un cinematografo. Portare la mia piccola famiglioa a vedere i 4 pirati, mi è costato pari pari quanto un mese di sky, ma ognuno ha le sue preferenze.
    Flussi di conoscenza condivisa? E’ poi davvero un bene? Se fai il pubblicitario forse! Se vuoi richiamere (magari anche evitando di pagarne royalties) un “incoscio collettivo” ti può far comodo, ma nella mia mente “liberale in tutto tranne che in economia” la cultura èproprio l’incontro dei diversi… ripeto “incontro” (quindi mezzi comuni) e “diversi”. cosa c’è di più bello di leggere la recensione di uno spettacolo cui on hai partecipato…. d’altra parte non si può (limiti anche fisici non solo economici) vedere tutto. Oppure vogliamo limitare l’offerta? Io mi augurerei che altre centinaia di “network” abbiano la possibilità di mettersi in gioco e di offrire la propria programmazione. Purtroppo quello che vedo è che senza “fondi appropriati” l’offerta è inconsistente, spesso noiosa. I canali gratis del digitale terrestre e del satellite sono in gran parte improponibili, purtroppo anche quelli a pagamento non sempre mi sembrano di livello.
    Molti pensano di risolvere con la raccolta pubblicitaria… ma sono pessimista, almeno sulla qualità dei programmi…..
    Un Sorriso

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  16. @il più cattivo: però anche tu ammetti che gli altri “media” li fruisci in modo sostanzialmente diverso dalla “vecchia” tv, e che probabilmente il modo stesso di fruire la tv da parte delle giovani generazioni è a questo punto diverso dal nostro. Una volta, per diventare un personaggio pubblico di una qualche fama, per esempio, bastava “essere andato in tv”, perché lì, bene o male, eri certo che ti avevano potuto vedere – almeno in teoria – tutti (nel senso che persino chi non era un abituale ascoltatore della trasmissione X dove tu eri andato ospite poteva esserci comunque capitato per caso facendo zapping). In futuro invece magari non sarà così: uno potrà avere un programma di grande successo sulla rete X, ma tutti coloro che non sono abbonati alla rete X non sapranno, assai probabilmente, manco della sua esistenza, o ne sapranno qualcosa solo per sentito dire. Una tv fatta a nicchie e visibile solo da nicchie di abbonati è molto diversa, secondo me, sia come impatto che come impostazione, da una gratis e visibile sempre da tutti.

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  17. Osta, vedo solo ora! Tale fatto dice molto su chi è rimasto televisivo, come il sottoscritto: probabilmente tra qualche tempo sarà considerato un segno di grande invecchiamento. Sicchè non ne farei una questione di ricchezza o povertà, bensi di rimbambimento di chi si butta sulla TV, perchè col computer non s’è mai preso granchè. E “Aniene”, probabilmente, lo vedrai tutto sul web entro dopodomani . Dunque non perderti il centocinquantenario della mafia , nè Gelli rincoglionito con padella , nè il dio Aniene, fatto “co’ la spada marone”. Inchino e baciamano.
    Ghino La Ganga

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  18. Cara Galatea, forse non mi sono spiegata o forse tu non hai capito cosa volevo dire.

    Interculturalità, al di là del vocabolo più o meno riuscito, significa qualcosa di più che andare a mangiare cus cus sotto qualche tendone enogastronomico, sorridendo al vicino marocchino e sentendosi buoni. Evidentemente ti sei fermata alla circolare ministeriale e non hai approfondito.

    Per questo ti consigliavo di farlo, perché interculturalità, uscendo dall’ambito dei vari progetti scolastici, e quindi dal mondo della scuola, significa anche condividere e fare proprie le culture e le esperienze diverse, uscendo dal proprio piccolo mondo di rassicuranti esperienze comuni, così gratificante ma anche così limitante, per aprire la porta anche a chi non ha la tua stessa condivisione di idee, esperienze, cultura, in poche parole. E non sto parlando solo di rapporti tra italiani e stranieri, né solo di televisione o di libri o di vicini di casa.

    Il mio discorso non significa che se non hai l’abbonamento a sky devi scendere a far quattro chiacchiere col ragazzo del kebab, e neanche che io ti abbia invitata ad avere rapporti umani anziché guardare la televisione, ma significa che anche se da piccoli non abbiamo guardato gli stessi cartoni animati su rai 1 o non abbiamo condiviso le gesta dei protagonisti di Dallas, e non abbiamo quindi, televisivamente parlando, un’esperienza comune, possiamo lo stesso incontrarci.

    Per spiegarmi meglio, la tua affermazione “…l’esperienza comune non esisterà più, esisteranno solo nicchie in cui ci si conosce e ci si riconosce fra esclusivamente simili.”, mi sembra molto significativa di un tipo di pensiero molto chiuso, elitario (al contrario di quanto affermi), e selettivo, per il quale, posto come dato di fatto che ci si possa conoscere e riconoscere esclusivamente tra simili, se non si ha un’esperienza comune risulta molto difficile avere rapporti con i nostri simili.

    Il mio ragionamento quindi vuole andare anche al di là dell’ambito televisivo, perché un’affermazione come la tua racchiude tutto un modo di pensare: chi non ha le stesse esperienze comuni non può pensare di arrivare a conoscere ed essere riconosciuto dai suoi simili. Il che non mi pare un bel punto di partenza per uscire dal nostro pianerottolo di casa e partire a conoscere il mondo.

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  19. @Elena: Eh, io sono molto limitata. Pensa, quando conosco persone nuove, per iniziare il discorso uso di solito a parlare di qualcosa che abbiamo in comune (“Che bella sciarpa! Anche a te piace l’arancione?” “Hai sentito l’ultimo disco di X, che ne pensi?'” “Ma va’, anche a te piace l’ultimo film di Y!”). e poi da quello magari riesco a iniziare non solo una conversazione, ma anche una amicizia. Non sono molto multiculturale, evidentemente.

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  20. galatea proprio nel senso che dici tu (appartenenza culturale, si può dire?) andava letto il mio messaggio, anche se non partiamo da osservazioni della realtà concordanti (bambini ne conosci più te di me, ma, di quelli che conosco io, hanno tutti internet e tv varie anche a pagamento a disposizione – libri e altra carta, per tornare al mio esempio, non tutti).

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  21. Scrivi:
    però anche tu ammetti che gli altri “media” li fruisci in modo sostanzialmente diverso dalla “vecchia” tv, e che probabilmente il modo stesso di fruire la tv da parte delle giovani generazioni è a questo punto diverso dal nostro

    ESATTO!
    Finalmente qualcosa che cambia davvero.
    Eviterei di lanciarmi in una secondo “pippone” in un sol giorno e quindi mi limiterò ad un aforisma apposta coniato (un aforisma a futura memoria):
    “Del conduttore unico delle coscienze televisive non rimase che un cencio ai lati dell’autostrada della banda larga”

    Un Sorriso

    Volevo esimersi, ma forse non sarebbe stato reputato cortese:
    Scrivi:
    Una tv fatta a nicchie e visibile solo da nicchie di abbonati è molto diversa, secondo me, sia come impatto che come impostazione, da una gratis e visibile sempre da tutti.

    ESATTO !!!
    Tieni solo presente, però, che il concetto di nicchia è molto variabile, specie temporalmente, di certo in ambito evoluzionistico. In sostanza la nicchia può rappresentare il focolaio per una nuova generazione ( o chiamala come più si acconcia) per cui le nicchie implodono o dilagano secondo la portata della loro capacità di trovare vantaggi negli scenari “che mutano” (qualche evoluzionista mi tirerà le orecchie). Il fatto di parlare o produrre per una nicchia è certo diverso, ma per questo può generare novità….

    (avendo già fatto uso ed abuso del sorriso, mi sia consentito salutare te e i tuoi visitatori con Un Abbraccio)

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  22. La segmentazione in varie culture (non soltanto le cosiddette sub-culture) è a mio avviso un passo importante verso la costruzione di una vera democrazia. Non può esserci vera democrazia quanto prevale un sentire unico; l’unanimismo si mantiene con la compressione delle individualità all’interno di uno schema statico (o a lentissima evoluzione) e con la segregazione (tendente all’estinzione) delle ideologie alternative.
    .
    Un ambiente multiculturale, purché non sia interdetta la mobilità, favorisce l’evoluzione complessiva del sistema e garantisce ai singoli migliori probabilità di sviluppare soddisfacentemente la propria individualità. In esso la democrazia può procedere alla ricerca e costruzione di quel set minimo di elementi condivisi che, solo, può essere democratico nel senso più pieno del termine (la democrazia dell’unanimismo non è mai molto dissimile dall’autoritarismo).
    .
    Questo, ovviamente, purché la segmentazione sia propriamente culturale e non censitaria.

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  23. Cazzarola: io dopo aver letto il post, volevo disdire l’abbonamento a Sky. Appena letti gli interventi di Elena, son corso ad ampliarlo. Che misteri,oh: come il fatto che a me il kebab piace zero, tra l’altro. State bene ( inchino e baciamano alla padrona di casa) .
    Ghino La Ganga

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  24. Dico non solo a @nomedelblog ma a tutti: i libri non saranno mai elitari finchè esisteranno le BIBLIOTECHE!!! Da lettore forte (che almeno un libro al mese lo compra) ti assicuro che i libri che più mi hanno appassionata non li possiedo, li ho presi in prestito in biblioteca. Le biblioteche sono nelle scuole, alcune volte nelle classi stesse ci sono delle microbiblioteche, e nelle grandi città ne esistono parecchie. E sono (quasi tutte) gratuite. E poi i libri si prestano e si scambiano, è quello che normalmente succede tra i lettori, specialmente i più piccoli. Poi ci sono le edicole, i robivecchi e le vecchie cantine di zii e nonni. Non tutte le librerie sono accoglienti, ma i libri si possono incontrare in moltissimi posti senza dover pagare un euro.

    Nata nell’81, sono anch’io una “nativa televisiva”, e sono cresciuta proprio con quella televisione gratuita, pubblica e privata, di cui qui si discute. E me la sono bevuta spesso, in assoluta passività, come tutti quelli della mia generazione: se è vero che internet e i canali a pagamento sono un privilegio è anche vero che il duopolio puzza di indottrinamento.

    Per chi non ha soldi non sono un problema solo i canali a pagamento o l’abbonamento internet, ma anche avere un televisore di nuova generazione, un cellulare, un computer e molte altre cose. La televisione degli anni ottanta-novanta voleva farci credere fossimo tutti uguali: perchè uguali dovevano essere i desideri di consumo nella mente dei pubblicitari che la costruivano. Ma convincerci che fossimo uguali solo perchè volevamo comprare le stesse cose era appunto un inganno: e anche se il povero guardava i paninari alla tv come il ricco, solo il ricco poteva comprarsi il moncler.

    (se c’è una cosa di cui dovremmo liberarci, a mio parere, è proprio la pubblicità!!!)

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  25. io conosco pochissima gente, e nessun ragazzino o coetaneo, che frequenta le biblioteche. c’è sempre gente in quella grande, “giusta”, in centro nel capoluogo (frequentata però principalmente non da giovani, e per attività varie, internet point, conferenze ecc, più che per prendere romanzi o letture “di svago”).
    non lo dico per fare il bastian contrario, anche se riconosco la limitatezza delle mie osservazioni; per esempio, nel paese dove facevo le medie, in quell’epoca avevano trasformato la vecchia palestra in una biblioteca comunale, partita con poco ma con l’idea di ampliarsi. Adesso nell’edificio c’è la mensa scolastica.

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  26. @nomedelblog: Penso che dipenda da paese a paese. Per esempio da me la Biblioteca è frequentatissima da gente di tutte le età, soprattutto è gettonatissima l’emeroteca, è in una belissima villa veneta restaurata, con giardino e aria condizionata, wifi e computer a disposizione degli utenti, un settore apposito con audiolibri per gli ipovedenti, la possibilità di prendere in prestito cd, videocassette e dvd di film e spettacoli teatrali e di prenotare i libri per l’acquisto a prezzi scontati. Il team che la gestisce organizza continuamente manifestazioni di vario tipo e il settore ragazzi/letteratura infantile, poi, è all’avanguardia in tutta la regione sia per numero di titoli posseduti che per specializzazione del personale. Anche Mestre e le Biblioteche dei paesi vicini sono molto frequentate e piene di iniziative. Credo che le Biblioteche funzionino bene soprattutto se il Comune ha saputo selezionare bene il personale che le gestisce: se le usa per parcheggiare in un posto dove vegetare dei fannulloni poco motivati, va a rotoli in poco tempo. Se invece, nonostante i finanziamenti scarsi, ci ha messo delle persone competenti ed appassionate, le cose funzionano e la gente la prende come punto di riferimento.

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  27. Mi piacerebbe esaltarmi dell’inclusività della Rete e del fatto che ormai la TV sia un mezzo superato. Se la seconda cosa potrebbe anche essere vera, la prima è sicuramente appartenente a quella che ho chiamato già anni fa “la visione fideistica della rete”.
    Io sono abbonato a Sky, ma quella sera lavoravo quindi mi sono perso il tutto. Anche i commenti in diretta su FB e cose simili.
    Il fatto è che se è nata una TV elitaria, una Rete che non ci sfrutti e che non ci tenda lacciuoli ad ogni passo è ben al di là da venire.
    Se mai verrà.

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  28. ho riletto questo brano di galatea, perchè non è, come mi era apparso alla prima lettura, solo una sorta di notazione curiosa, fatta da insegnante e quindi orientata sui bambini, attorno sgretolamento dell’immaginario televisivo comune; c’è anche implicito il problema del come fare a fondare un’idea valida «pere tutti», visto che questi «tutti» sono così frammentati, diversi, ognuno cresciuto dentro una propria nicchia esclusiva/escludente; nel frattempo, da che galatea ha descritto seppur in modo leggero questo tema così «pesante», è avvenuto l’evento dei quattro sì al referendum; allora io credo, dopo ciò che è accaduto, cioè che un’intero popolo si è espresso in modo univoco, che esistano degli elementi pre-culturali, diciamo di senso di giustizia innato, come una sorta di «socialismo naturale», che anche le singole diversità, le singole educazioni, non possono azzerare; del resto sono da tempo superate tutte le concezioni che attribuiscono alla cultura, all’educazione la capacità di «plasmare» gli esseri umani, e si stà ampiamente riscoprendo come vi siano forti elementi di innatismo, di pensiero embedded, e forse, fra questi un senso di giustizia pre-culturale, sul quale possiamo contare; galatea scrive spesso cose interessanti, anche al di là della sua stessa consapevolezza, e forse questo è il bello della letteratura

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