Se avessi un figlio…

Se mai avrò un figlio, mi auguro non abbia alcun talento. Alcun talento specifico, almeno. Che scriva normalmente, sia intonato a sufficienza per canticchiare l’ultimo successo della hit parade, legga quel tanto che basta ad essere informato sugli ultimi pettegolezzi delle starlette, curioso il necessario a far sì delle domande, ma solo quelle giuste, e anche quelle con moderazione. Che viva la vita avvolto in un ben costruito bozzolo di ignoranza e di piccola ipocrisia, furbo abbastanza per tenersi lontano dai guai e schivarli attribuendoli a qualcun altro quando gli capitino addosso. Che non abbia grandi passioni, anzi, in fondo in fondo non le capisca neppure. Fanno male le passioni, portano a fare cose stupide e scomode: meglio lasciarle perdere, le passioni per le persone o per le idee: sono fastidiose.

Mi auguro che non sappia mai schierarsi, ma solo fare parte per sé stesso, e anche lì, nei casi in cui gli conviene, non quando rischia di perderci qualcosa. Che sia attento al proprio particulare e capace di strafregarsene, invece, del benessere di tutti; anzi, che lo stesso concetto di “benessere di tutti” sia per lui un’idea vagamente incomprensibile, o per lo meno strampalata. Che sappia essere meschino, ma senza rendersene conto, senza nemmeno sospettarlo; meschino in quella maniera ordinata e precisa che suscita il rispetto negli altri, e una generica approvazione da parte della società benpensante. Che ami le convenzioni, e le fedi per convenzione, e soprattutto che adori le abitudini di ogni tipo: quelle virtuose da sbandierare in pubblico e quelle segrete, da praticare in privato, dietro lo schermo del silenzio, senza reali sensi di colpa. Che sappia essere mafiosamente indulgente con se stesso e gli amici, e moralista integerrimo con chi non è della sua banda, ma sempre a parole, perché il lavoro sporco va lasciato agli altri, e con i fatti è meglio non intrigarsi mai, meglio limitarsi alla retorica. Che sia un po’ ottuso, ma non tanto: solo quel tot sufficiente a sapere quando è bene rifugiarsi nell’ottusità: perché nulla è più sicuro del non voler capire.

Lo odierei, un figlio così. Ma almeno sarei certa che avrebbe una vita serena.

16 Comments

  1. Ma una società che ti spinge a volere per tuo figlio tutto quanto tu odii, e quindi ad odiare lui di conseguenza, per vederlo sereno e, magari, felice non è una società semplicemente sbagliata?
    O forse siamo noi tutti sbagliati?

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  2. Ricordo un mio prof che ci diceva di essere più o meno come tu hai descritto un tuo ipotetico figlio. Ci raccomandava di essere mediocri in tutto e di non appassionarci mai a nulla, per non soffrire (faceva l’esempio del ciclismo, dicendoci di non tifare per nessuno perchè tanto son tutti drogati).
    Io ho voluto bene a quel prof, ma l’ho odiato per questo discorso insulso. Leggendo ciò che hai scritto tu ho capito le motivazioni, ma non le accetto lo stesso e, piuttosto che sperare di avere un figlio (o di essere una figlia) del genere, preferisco sperare (invano?) che le cose possano cambiare.
    Ti leggo sempre con piacere,
    Giulia

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  3. Alla nascita di un figlio
    (dal cinese di Su Tung-p’o, 1036-1101)

    Quando nasce un bambino, le famiglie
    lo vorrebbero intelligente.
    Io che per intelligenza
    mi sono rovinato l’esistenza
    posso solo sperare che mio figlio
    riesca a dimostrarsi ignorante e un po’ pigro di cervello.
    Perché allora, al Consiglio dei ministri,
    se ne vivrà tranquillo.

    da Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg (traduzione di Franco Fortini)

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  4. fai prima ad adottare Brunetta allora. Gli metti una cuffietta, le scarpine di lana ed un pannolino e via. Non sara’ bellissimo, ma almeno ti risparmi il travaglio del parto e ti porta un monte di soldi in casa.
    Che ti succede? Come mai tanto cinismo?

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  5. ho pensato molte volte le cose che hai scritto, io che di figli ne ho due.
    ma non sono stata capace di insegnargli ad essere così.
    quindi, temo, non saranno mai sereni benchè siano e saranno molto amati.
    come penso sia tu.

    complimenti, galatea, ottimo post: esempio di rabbia civile condita di ironia all’acido solforico.

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  6. 1) Io preferirei una bimba ma forse è meglio lasciar perdere per ora…

    2) Dove devo cliccare per gli emoticon?!

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  7. … lo ameresti “e basta”, un figlio così….

    … come sono amati tutti i figli (i tanti figli) che hai descritto e dai quali siamo circondati (senza via di fuga, pare!)

    E non è colpa dei genitori. E’ “la società”.
    Quella che ha paura (la medesima dei nostri padri, dei nostri nonni) di veder crescere un figlio infelice… e piuttosto lo preferisce “senza spina dorsale”. Quella per la quale, invece, si sono rotti la schiena i nostri padri e – più – i nostri nonni.

    Saluti
    Andrea

    PS: mi torna in mente una poesia di Edgard Lee Master che “recita” dei lamenti e delle lagne dei figli e chiude con un sonoro “ci vuole vita per amare la vita”…. non molto a tema.. e probabilmente dipende anche “dal momento”… ma che volete: a volte le sinapsi “scattano” così! 😉

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  8. La pensi come la stragrande maggioranza degli italiani.
    Peccato che anche quando ci si debba mettere in una posizione defilata si commettano grossi errori…

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  9. Bisogna far conoscere il poema più bello che un padre abbia mai scritto a sua figlia: Palabras para Julia, de José Agustín Goytisolo.

    Lo troverete qui: http://perso.wanadoo.es/luisalas/jag0020b.htm
    con musica del cantautore Paco Ibañez compresa

    Se qualcuno vuole la traduzione, la farò volentieri. Ne vale la pena.

    Un piccolo esempio:

    Nunca te entregues ni te apartes
    junto al camino, nunca digas
    no puedo más y aquí me quedo

    Non arrenderti mai, non spostarti
    ai lati della strada, non dire mai
    non ce la faccio più, io resto qua

    Preferisco non raccontare la fine della storia di questo bravissimo scrittore.

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