Premetto che non sono un avvocato, né sono laureata in legge. Come molti semplici cittadini, quando mi trovo di fronte ad un testo di legge, mi prende una botta d’ansia, perché la Legge è cosa seria, di cui non si possono trascurare nemmeno le virgole o le sfumature: tralasciarle, infatti, può far la differenza fra passare un allegro pomeriggio a fare shopping e passare molte e poco allegre mattine in tribunale: si spende alla fine la stessa cifra, magari, ma lo spirito, vi posso assicurare, è altro. Dunque, non essendo esperta, riporterò qui sotto i passi della PDL1269, ovvero la proposta di legge che dovrebbe regolamentare anche i blog, e che mi lasciano perplessa. Se nei commenti qualcuno di più esperto mi spiega che ho torto, meglio: vuol dire che contribuirà a farmi passare quel brividino che mi percorre la schiena da ieri, e mi sa che non è influenza incipiente.
Art. 2.(Definizione di prodotto editoriale):1. Ai fini della presente legge, per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione o di intrattenimento e destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso. Quindi i blog sono a tutti gli effetti un prodotto editoriale, dal momento che io, sul mio, pubblico informazione (talvolta) e sicuramente intrattenimento (mi leggono e mi trovano divertente…) nonché, di volta in volta, anche formazione (caspita, le mie biografie degli antichi romani e greci…). Voi direte: vabbe’ ma mica lo fai per lavoro, o ci guadagni qualcosa.
Sì, è vero, ma all’Articolo 6, c’è anche scritto: Ai fini della presente legge, per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e alla distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative. Dunque, se io tengo un blog e non ci lucro né svolgo con esso una attività imprenditoriale, il mio blogghino è lo stesso un prodotto editoriale? Mah.
È invece esiziale saperlo, perché all’Articolo 7 viene espressamente detto che: Ai fini della tutela della trasparenza, della concorrenza e del pluralismo nel settore editoriale, tutti i soggetti che esercitano l’attività editoriale sono tenuti all’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione, di cui all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249. Sono esclusi dall’obbligo della registrazione i soggetti che operano come punti finali di vendita dei prodotti editoriali. Dunque, mi devo iscrivere o no? Mah.
Mettiamo che decida di iscrivermi, tanto per sicurezza. Da iscritto, però, automaticamente posso essere querelato per diffamazione a mezzo stampa (Art.8, comma 1), perché Per le attività editoriali svolte sulla rete internet dai soggetti pubblici si considera responsabile colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle informazioni. Siccome sul mio blog chi autorizza la pubblicazione delle informazioni, cioè chi pubblica il post, sono io, sono io che rischio i guai legali, anche se, formalmente, io non sono un editore vero e proprio, e posso anche non avere i mezzi tecnici – in realtà non tutte le piattaforme offrono questo tipo di servizio – per controllare le informazioni che sono pubblicate sul mio sito (per esempio, chi sbarella nei commenti: è sempre possibile cancellarli, ma non sempre filtrarli preventivamente o tempestivamente).
Per fortuna il testo sembra specificare subito dopo che il singolo blogger non è necessariamente tenuto ad iscriversi al Roc perché Sono esclusi dall’obbligo dell’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione i soggetti che accedono alla rete internet o che operano sulla stessa in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. In pratica, quindi, dovrei essere esclusa se scrivo da sola il mio blog, non ho altri che scrivono alle mie dipendenze e non espongo banner pubblicitari da cui ricavo profitti. Ma se ho un sito in cui ho anche un solo banner pubblicitario? O se qualcuno mi contesta che svolgo una attività editoriale a fine non lucrativo? Pensiamo ai blog collettivi degli studenti, a quelli delle associazioni varie. E poi, il blogger singolo che scrive tutto da solo può essere considerato come un imprenditore (senza dipendenti) che svolge attività a fine non lucrativo? Insomma, il blog è un blog perché io lo dichiaro tale, ma se qualcuno non è d’accordo e sostiene che il mio, invece, è un prodotto editoriale non a fine di lucro ma che comunque offre contenuti di formazione o informazione, ha buon gioco per potermi querelare per diffamazione a mezzo stampa, e farmi rischiare pene raddoppiate rispetto alla diffamazione semplice e richieste di danni civili stratosferiche, o farmi avere casini sostenendo che io faccio della “stampa clandestina” (reato assurdo, a mio avviso, ma c’è ancora, grazie ad una legge mai abolita e credo di epoca fascista).
Ora, sono la prima ad ammettere che una qualche forma di regolamentazione nel campo del blogging andrebbe istituita, perché spesso al pubblico non è del tutto chiaro chi sia un blogger e cosa faccia. Probabilmente è anche giusto introdurre una forma di distinzione fra chi fa il blogger come una sorta di lavoro, e quindi ricava profitti da questa attività, e chi invece lo fa per hobby, e non ci guadagna niente salvo qualche occasionale vaffanculo nei commenti. Ma alcuni passaggi di questa proposta di legge non mi paiono del tutto chiari o congrui, e rischiano, a mio avviso, di essere usati a discrezionalità per tappare la bocca a blogger scomodi, cani sciolti che non abbiano alle spalle finanze personali sufficienti per potersi difendere bene in caso di grane legali. È una proposta di legge, meno orribile di quella presentata nella passata legislatura, che equiparava direttamente i blog ai giornali, con tutte le conseguenze del caso (Oddio, sapere che ero sullo stesso piano di un Paolo Mieli, per carità, poteva farmi alzare l’autostima, ma, purtroppo, non guadagno quanto lui e non ho i suoi avvocati a potermi dare una mano!), però credo che vadano segnalati i suoi pericoli fin da subito. O almeno, che se ne debba discutere fra noi che sulla rete ci stiamo, perché sarei anche un po’ stufa di vedermi sempre calare sul capo regolamenti pensati da chi vuole regolamentare la rete ma, magari, ha aperto un pc tre volte in vita sua.
Sinceramente, tutta quest’ambiguità mi mette i brividi: come hai già scritto tu, c’è il rischio concreto che questa legge si trasformi in un metodo per tappare la bocca a blogger “indiscreti” in modo conforme alla legge, il che lo renderebbe paradossalmente ancora più ripugnante.
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veramente non so perché debba necessariamente esistere una legge che regoli l’informazione. oggi i quotidiani scrivono titoli che non c’entrano niente con l’articolo, e scrivono articoli che non c’entrano nulla con la realtà, e prendono pure dei soldini pubblici per farlo, o quando sento giornalisti in tv che si stropicciano la bocca se parlano di facebook o di second life, o dei blog questi luoghi di perdizione.
a questo punto, ok, divento un prodotto editoriale. ma poi, posso usufruire di tutte le agevolazioni previste per un quotidiano, o una rivista, cartacei? tipo scaricarmi le spese, l’iva, e cose del genere?
tornando all’inizio, perché è giusto che uno stato metta delle norme per regolare l’informazione, il divertimento, il cazzeggio?
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Concordo con la tua analisi.
Ho seguito il “lavoro” dell’estensore di questo progetto di legge negli ultimi anni. Riccardo Franco Levi era sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’editoria nella precedente legislatura e nel progetto di riforma dell’editoria presentato allora c’era una formulazione simile. Già allora si erano levate molte proteste e la commissione cultura ci aveva messo una pezza. Poi è finita la legislatura.
Il fatto che si ripresenti ora praticamente uguale, tranne l’ambigua parte sull’esclusione dei blog personali, mi fa pensare che:
-il punto centrale, nell’intento di chi presenta la legge, è mettere le mani sulla pubblicità in internet, tentando di riservarla alle testate registrate, per esempio favorendo aggregatori verticali piuttosto che orizzontali..
-se poi intimidisco e tengo sotto controllo un po’ anche i blogger con la minaccia della diffamazione a mezzo stampa.
– è vero che già la prima volta c’era stata una sollevazione contro questa norma, ma le lobbies ci riprovano sempre
-Riccardo Franco Levi è un ***** (se ti querelano per questo commento mi autodenuncerò )
🙂
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azz.. al “se poi intimidisco…” è saltato un “tanto meglio” in fondo al periodo..
sorry
(ieri ho scritto Gost invece di Ghost..)
😦
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Provo a difendere l’indifendibile: perché regolamentare i blog e l’editoria online? In generale, senza entrare nello specifico.
Direi per evitare disparità tra carta stampata e web, disparità sempre più priva di senso. Certo, se confronto il mio blog con il Corriere della sera, è giusto che ci sia disparità; ma se confronto il settimanale locale con il blog di Beppe Grillo, i ruoli si invertono ed è più stampa il blog di Grillo che il settimanale locale.
Se, ipotesi assurda, iniziassi una collaborazione con Grillo scrivendo un post alla settimana per il suo blog, pretenderei un contratto di tipo editoriale-giornalistico, non certo da metalmeccanico o da parrucchiere. Lo stesso vale per la diffamazione: in alcuni casi, è secondo me giusto specificare quel “a mezzo stampa”.
Detto questo, il problema è che quanto i parlamentari conoscano internet e riescano a scrivere qualcosa di decente e sensato.
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@->Paolo: Ho l’impressione anche io che si voglia essenzialmente limitare la possibilità per chi non è una testata registrata di poter partecipare alla spartizione della torta pubblicitaria; credo, inoltre, che ci sia anche un altro intento, più sottile ma non meno inquietante: quella di restringere il campo a chi vuole fare informazione. Se decidi di fare informazione devi far parte del “mondo” del giornalismo, o perchè sei assunto da un giornale vecchio stile o perchè su internet ti apri una testata registrata. Chi ha un blog, con questa legge, è in qualche modo delegittimato come produttore di informazione (o di opinione) perchè è solo ed esclusivamente considerato un dilettante e deve presentarsi come tale; altrimenti deve decidere di fare un salto (non tanto di qualità, ma nel tipo di investimento economico) e registrarsi ufficialmente.
Dissento, e non solo per motivi di possibili querele, sulla definizione da te data del signor Levi (che ho oscurato perché gli insulti non mi piacciono, per principio): a me preoccupa il fatto che questo disegno di legge è obiettivamente scritto in maniera ambigua, ma, visto che lo ha ripresentato, mi chiedo se l’ambiguità non sia a questo punto voluta appositamente proprio per dare la possibilità di esercitare pressioni sui blogger.
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@->Ivo: Concordo con te sul fatto che una regolamentazione potrebbe essere lecita, in quanto è evidente che il Blog di Grillo non può essere considerato pari al mio o al tuo, ma, semmai, al Corriere; e che sia anche ben diverso se uno dal suo blog ci guadagna (uno stipendio, o magari anche una buona integrazione ad esso) tramite la pubblicità che inserisce sul sito e chi no. Solo che il testo di legge mi pare che questo nodo lo lasci irrisolto: dice che chi guadagna dal suo sito fa una testata giornalistica, e quindi deve registrarsi, mentre chi non guadagna dal suo sito non deve registrarsi e non può essere considerato un professionista. Mi pare che sia un po’ riduttivo come metro di giudizio. Io posso creare un sito da cui traggo dei guadagni e non fare “informazione” o opinione. In realtà se uno guadagna o meno con il suo blog dovrebbe riguardare, semmai, l’agenzia delle imposte, non la legge sulla stampa.
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Beh, devo ammettere di non aver letto così nel dettaglio il Ddl.
E’ chiaro che, come tu ben dici, la legge per la sua vaghezza si presta bene a tutti gli usi possibili.
Insomma, per esser certi di non aver grane, bisognerebbe chiuderlo il blog, altro che togliere la pubblicità. Alla faccia della libertà di espressione.
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è vero la precedente proposta di legge era nettamente più oscurantista. tuttavia anche questa è parecchio farraginosa e come tutte le leggi italiani si presta a diverse interpretazioni. ho letto che su second life quasi tutti i politici di maggioranza, ma non solo posseggono chi un isola chi un semplice appartamento, sarebbe a quel punto divertente fargli visita. :))
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guarda galatea, che se tu fai il blogger professionista sei già in teoria distinto da chi non lo fa, perché devi dichiarare i tuoi ricavi. d’accordo con paolo, tanto più che il web avrà un aumento degli introiti, ma chi si organizza VERAMENTE in modo imprenditoriale, non sarà un grosso sforzo iscriversi al Roc. Il problema è il piccolo blog, secondo me iscriversi al Roc per due euro al mese degli AdSense, non ha senso, meglio levarli e continuare a tenere il proprio diario personale (che a essere denunciati per diffamazione si fa sempre in tempo, soltanto non è a mezzo stampa e non si è responsabili dei commenti di cui sarà responsabile solo il commentatore)
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dovro’ leggere meglio. questo post mette un po’ di ansia, ma credo proprio la cosa non mi riguardi scrivendo dall’estero. o no?
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Ma perché, perché, perché?!?!?
Qualcuno sa dire se all’estero esistono i blogger registrati?
E il prossimo passo? Una volta identificati i blogger perché iscritti a registro, gli si chiederà l’iscrizione all’ordine dei giornalisti per poter esercitare, magari.
Ma davvero questi sono i grandi problemi che il nostro Paese deve affrontare al giorno d’oggi?
E poi: ma possibile che basti essere amico personale di Prodi per diventare deputato o sottosegretario alla Presidenza? Sarebbe questa la diversità del PD? (Vabbe’, così si spara sulla croce rossa…)
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