Facebook, la Polizia e la legislazione globale

Che cosa esattamente si siano detti, durante questi incontri a Palo Alto o in Italia, i dirigenti di Facebook e i poliziotti italiani, dopo una giornata di smentite e controsmentite, non è ben chiaro. L’Espresso ha dato la notizia che Fb avrebbe preso accordi con la Polizia Italiana per permettere a quest’ultima di controllare i profili degli utenti sul Social Network anche senza l’autorizzazione della Autorità giudiziaria. Le fonti sarebbero state dei funzionari di polizia presenti agli incontri a Palo Alto, durante i quali si sarebbe discusso, per motivi di tempestività d’intervento, di una specie di autorizzazione da parte di Facebook a “entrare” nei profili di utenti sospetti.

Detta così la faccenda – come avevo già detto nel post di stamattina – aveva dei contorni piuttosto strani. La legge italiana, infatti, al contrario di quelle di altri paesi, Stati Uniti compresi, non ammette intercettazioni telefoniche o telematiche, se non dietro una autorizzazione del magistrato. Che io usi Facebook, il mio cellulare o la carta da lettere della nonna Adalgisa, se spedisco a Tizio una comunicazione, nessuno ha il diritto di cercare di intercettarla o leggerla, nemmeno se è un poliziotto, a meno che preventivamente non abbia avuto il preciso ordine di intercettarmi da parte di un magistrato.

La legge italiana su questo è molto restrittiva: la nostra Repubblica è nata dopo vent’anni di dittatura, in cui lo spionaggio della corrispondenza altrui da parte di tutti – non solo dalla polizia fascista, ma anche da volenterosi sicofanti pronti a denunciare chiunque per cercare di ottenere benefici personali – era diventato una abitudine. Ragion per cui, nelle leggi democratiche, il rispetto per la segretezza della corrispondenza e poi delle comunicazioni private è stato sentito come fondamentale.

Probabilmente è questo che non torna nella notizia riportata dall’Espresso. Se anche Facebook autorizzasse la Polizia Italiana a spiare i profili privati di utenti “sospetti”, la Polizia non potrebbe farlo. Nel senso che, se questi profili sono resi pubblici dagli stessi utenti, allora può entrarci liberamente, come chiunque bazzichi la rete; ma se questi profili sono resi privati dagli utenti, per la Polizia Italiana l’unico modo per entrarci legalmente è farsi dare una autorizzazione da un magistrato. Se anche Zuckemberg in persona li facesse entrare, non basterebbe: l’intromissione sarebbe illegale, e tutto il materiale così reperito, anche se prova di reato, non sarebbe ammissibile in un Tribunale.

L’Espresso parla di colloqui e seminari tenutisi però a Palo Alto. Non mi stupirei che la cosa fosse frutto quindi di un equivoco: gli esperti americani di Facebok potrebbero aver illustrato alla Polizia Italiana tecniche di indagine che nel loro paese sono possibili. In America, infatti, si possono intercettare comunicazioni telematiche anche senza una previa e specifica autorizzazione del magistrato; con il Patriot Act, poi, molte delle tutele per i cittadini americani che usino la rete sono in parte state affievolite.

Dubito molto che un esperto di Facebook americano abbia una precisa idea dei limiti della legge italiana; dubito che nel corso di un seminario che si rivolge magari a membri di polizie di tutto il globo si facciano dei distinguo sottili paese per paese, e non ci si limiti invece ad illustrare cosa si fa negli Stati Uniti, dando un po’ per scontato che quello sia il meglio che si possa fare. Questo spiegherebbe sia le dichiarazioni dei poliziotti italiani che sono la fonte dell’articolo dell’Espresso sia le incongruenze rilevate e la successiva smentita da parte della Polizia Postale.

Ovviamente si tratta di una ipotesi, ma se è questo che è accaduto, però, anche qua sarebbe interessante fare una riflessione: quando una azienda diventa “globale” come Facebook e fa seminari indirizzati a polizie di diversi paesi, che si trovano a fronteggiare le stesse situazioni però con legislazioni di partenza differenti, un seminario “globale” ha ancora senso? E se internet non ha più confini, la legislazione per la rete deve essere concordata a livello internazionale, magari da qualcosa di un po’ più ufficiale che non Facebook, o possiamo davvero pensare che ognuno faccia ancora da sé e mandi poi i suoi poliziotti ad imparare all’estero tecniche che però da noi sono magari inapplicabili?

 

5 Comments

  1. Sicuramente da Facebook saranno stati illustrati i casi in cui, secondo la legislazione vigente in USA, è possibile ottenere dalla polizia USA e/o di altri paesi, alcuni dati sensibili senza che sia necessaria una preventiva richiesta all’autorità giudiziaria USA e/o ad un pm USA.

    Dopodiché se nell’ottenere quei dati si violano legislazioni locali di altri Paesi, queste sono questioni che a Facebook USA evidentemente non interessano (ad una sua eventuale filiale italiana, ovviamente invece sì).

    Quindi il vantaggio per la polizia postale italiana è che non occorre passare per la magistratura USA in alcuni particolari casi (secondo legislazione USA).

    Ciò non toglie che per poter chiedere quei dati direttamente a Facebook e poi trattarli, occorra comunque avere preventiva autorizzazione del magistrato italiano, uniformandosi quindi alla ns. legislazione.
    Diversamente si incorre in reati penali (con aggravante).

    Su questa ambiguità di fondo, all’Espresso ci hanno marciato anche nella replica, imho.

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  2. ‘L’espresso’ conferma parola per parola il contenuto dell’articolo, per la stesura del quale ‘L’espresso’ si è basato proprio su fonti interne alla polizia Postale.

    Un patto segreto con il social network…

    Sì sì, certo… segretissimo.
    Nessuno ne sapeva nulla. 😀

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  3. Non ci vedo nulla di anormale…

    E’ comunque meglio che accada cosi’ che, come avviene da tempo, di nascosto.

    Perdonatemi, ma proprio non capisco tutta questa “meraviglia”. E’ infatti normale e naturale che i vari “servizi” controllino sistematicamente la rete ed i suoi abitanti, altrimenti non esisterebbero i servizi…

    La Polizia Postale poi, e’ da anni che utilizza metodologie ben piu’ avanti di quanto possiate mai immaginare e, credetemi, non lo vanno certo a raccontare a l’Espresso o a noi.

    A scanso di equivoci, mi occupo di Internet dal ’94 e, per i primi anni la mia azienda, tra le prime nel settore, e’ stata proprio consulente della Polizia Postale; ora, credetemi, potremmo chiedere noi consulenza a loro!
    😉

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  4. @galatea
    Il fatto che esiste una legge, non significa che la sua osservanza non possa essere disattesa o quantomeno qualche volta aggirata, da chiunque, per vari fini.
    @ilcomizietto
    Perfettamente d’accordo sul non entrare in paranoia, soprattutto se l’obiettivo di questo accordo tra FB e Forze dell’Ordine e’ quello di contrastare terrorismo e reati gravi.
    Ammesso poi che terroristi e affini si servano di FB e strumenti analoghi, ho qualche dubbio.
    Un domani pero’ lo stesso mezzo potrebbe essere utilizzato per schedare idee religiose, politiche, ecc. e quindi discriminare nella vita pubblica e sociale alcune persone, privilegiandone altre.

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