L’articolo di stamattina sul Giornale di Massimiliano Parente, in fondo, è da leggere. Sarebbe in realtà da usare anche poi come esempio, magari in qualche corso, di argomentazione retorica apparentemente logica e motivata, che nella realtà è un malacconcio accrocchio di ragionamenti traballanti, perché, come faceva notare Umberto Eco nel Pendolo di Focault, il ragionamento sballato è spesso impostato nella stessa maniera del ragionamento intelligente, salvo quel piccolo scarto che fa cadere l’impalcatura.
Parente cita una lettera di beffa che il piccolo Giacomo Leopardi undicenne scrisse ad un’amica di famiglia, firmandola a nome della Befana. Lettera che, scritta da un undicenne, il quale però era pur sempre Leopardi, è certo un piccolo gioiellino, e nessuno lo contesta. Ma per il bravo Parente essa diventa invece il metro di giudizio per lamentare la decadenza dei costumi odierni, dovuta ovviamente alla scuola figlia del ’68, e ai genitori sessantottini (oddio, veramente per ragioni anagrafiche gli undicenni di oggi i sessantottini li hanno per nonni, ma passiamo a Parente questo inghippo aritmetico: in fondo, avrà fatto scuole post ’68 pure lui, non si può pretendere).
Dunque si comincia con un bell’elogio del tempo e della scuola antiche, perché la lettera del piccolo Giacomo denota: “Grande modernità, grande senso dell’umorismo e straordinario uso della lingua, e anche già grande cultura e neppure così eccezionale all’epoca per un bambino istruito, benché suoni incredibile rispetto all’odierna strafottenza e all’ignoranza”.
Data l’affermazione così netta e precisa, mi verrebbe da chiedere subito subito una cosa: se per l’epoca una così grande cultura da parte di un bambino istruito che non fosse Leopardi era abbastanza normale, mi chiedo come mai di simili lettere scritte da nonni e bisnonni non siam tutti strapieni. Le cassapanche di famiglia dovrebbero rigurgitare di piccole operette morali scritte da antichi prozii. Quindi, mi dia qualche dato, caro Parente: quante altre missive di undicenni coetanei del Giacomino altrettanto letterariamente valide è in grado di produrre? Perché quando si va a fare un discorso generale, prendere come riferimento statistico il punto massimo è un pelino ingenuo, quando non proprio fuorviante. Sarebbe come a dire che siccome Mozart a sei anni componeva sinfonie, mentre oggi i seienni mediamente non lo fanno, nel XVIII secolo l’insegnamento della musica ai bambini era molto più avanti di quanto non sia ora.
Chiariamoci, non sto confutando il fatto che nell’Ottocento gli undicenni (quelli che andavano a scuola, cioè una minoranza irrisoria, spesso seguita da insegnanti privati e a casa, dove avevano biblioteche con centinaia di volumi a disposizione) potessero avere una capacità di scrivere in Italiano corretto maggiore di quella della massa degli undicenni odierni che escono dalle nostre scuole. Dico che è assurdo comparare un piccolo gruppo di ragazzini che nell’Ottocento erano prodotti da una istruzione personalizzata e inseriti in un contesto familiare pieno di stimoli con la grande massa di alunni odierni, provenienti da contesti familiari eterogenei e stipati in trenta per classe con un solo docente che riesce a dedicare loro singolarmente solo qualche minuto di attenzione. Usare uno scritto del piccolo Leopardi per dimostrare che la scuola oggi non funziona in toto è un metodo di comparazione tanto bislacco quanto mettere a paragone il Partenone con una brutta casa di edilizia convenzionata nel più sperduto suburbio, e dire che da quello si capisce che l’architettura contemporanea fa schifo e basta.
Se si prendesse per raffronto anche oggi un undicenne figlio della classe alta, con una famiglia simile a quella del Leopardi di allora e le stesse potenzialità economiche, o anche leggermente inferiori oggigiorno, si scoprirebbe infatti che, in nove casi su dieci, il pupo magari non scrive lettere come quella di Leopardi alla Befana, ma, per esempio, ha un blog su cui pubblica post o scrive temi che possono tranquillamente dar dei punti agli articoli di Parente, e quindi, in buona sostanza, è in grado di fare oggi, pur essendo passato per la scuola post ’68, le stesse cose che facevano gli undicenni fortunati dell’Ottocento. I quali, peraltro, pure loro non venivano tutti fuori dei Leopardi, persino se affidati alle costanti cure di precettori privati che non erano sessantottini. Io ho dei dubbi che il Giovin Signore del Parini sapesse scrivere lettere alla Befana come quelle di Leopardi, per esempio: con tutto che aveva avuto Parini come aio, mi sa che potrebbe tranquillamente sentirsi più a suo agio fra i tronisti della De Filippi o i concorrenti del GF.
Ma Parente non demorde. Preso Leopardi come esempio di “studente medio” che sapeva produrre l’istruzione dell’Ottocento, subito attacca gli universitari di oggi, che sono naturalmente più ignoranti di Leopardi, e per giunta vanno anche a farsi intervistare ad Annozero:
“Una lettera come quella del piccolo Giacomo non solo non saprebbe scriverla un undicenne di oggi ma neppure, a guardare la televisione, saprebbe leggerla un universitario tra gli eletti a rappresentare gli altri, basta sentir parlare gli studenti che protestavano a Annozero, intervistati dalla «ragazza zero», dove tutto si chiama giustamente zero. Per non parlare dei modelli televisivi di successo tra i non impegnati: pupe e secchioni, amici aspiranti cantanti e ballerini, tronisti e rintronati rinchiusi in una casa, famosi e non famosi confinati in un’isola a esibire il proprio vuoto culturale, politico, mentale.”
Una lettera come quella del piccolo Giacomo, mi scusi caro Parente, ho forti dubbi che la saprebbero scrivere anche i politici che a quei ragazzi da lei tanto bistrattati rispondevano. Non dimentichiamo che il Ministro Gelmini fece una figura rimarchevole quando, in una intervista, dichiarò che la sua canzone preferita era Alba Chiara di Vasco Rossi, rimanendo però sconvolta allorché l’intervistatore le fece notare che questa canzone parla di masturbazione: il Ministro, che pure ha fatto scuole private assolutamente immuni, si presume, dalla pedagogia sessantottarda, non lo aveva mai intuito questo evidente particolare, il che lascia sospettare che la comprensione di un testo molto semplice (è Vasco Rossi, non Dante) sia per lei un’operazione alquanto difficoltosa. Chissà quanto ha capito davvero lei stessa dei mille commi della sua riforma.Quanto invece al fatto che gli altri giovani, i non impegnati, abbiano modelli deleteri, s’è risposto già sopra. Nell’Ottocento, probabilmente, avrebbero trascorso le serate ad importunar sciantose al Cabaret, e di scrivere lettere leopardiane non sarebbe passato loro per la capa neanche allora.
Naturalmente Parente è pronto ad ammettere che non è solo colpa della scuola. I libri nelle case italiane latitano, mamma e papà e grasso che cola se ne leggono uno all’anno. Naturalmente anche questo colpa del ’68, perché i cinquantenni e sessantenni di oggi sono i figli imborghesiti del Sessantotto, quando studiare era considerata un’attività reazionaria?
Certo che conosce dei sessantottini ben strani, Parente. Quelli che ho incrociato io, per esempio, han sempre avuto case zeppe di libri, tanto che le scansie dei mobili fanno fatica a contenerli e i volumi giacciono abbandonati su ogni possibile superficie, pavimento compreso. Sicché i pargoli son cresciuti zompettando fra i tomi, e i genitori glieli han lasciati toccare e smanettare da età tanto tenere che, pensi un po’, i bimbi spesso son venuti su con la strana idea che un libro fosse un oggetto normale da consultare e da leggere, anzi, non si potesse concepire una casa dove non ve ne siano. È invece noto a tutti, e le statistiche possono confermare, che l’Italia presessantotto era un paese di fini intellettuali: ogni cittadino dello Stivale leggeva come minimo venti volumi all’anno, senza contare quotidiani e settimanali, tutti si iscrivevano alle superiori e avevamo una produzione interna di laureati da far invidia agli Stati Uniti oggi. Tutti Leopardi, un tempo, mentre ora tutti tronisti.
Il buon Parente conclude dicendo che si aspetta una risposta da una qualche intellettuale italiano. A quale domanda non è ben chiaro: perché non abbiamo vagonate di undicenni che scrivono lettere come il Leopardi di allora? Perché anche allora di undicenni capaci di scrivere lettere così ce n’era in pratica uno solo, Leopardi appunto. Gli altri undicenni forse, almeno in apparenza, scrivevano mediamente meglio di quelli attuali: ma erano, nel 1809, una minoranza di ragazzini provenienti dalle classi colte e ricche, con a disposizione mezzi e famiglie che li stimolavano e stavano loro continuamente addosso. In pratica erano bravi a scrivere come gli undicenni inseriti in famiglie colte ricche e sensibili di oggi, mentre gli undicenni che vengono fuori da altri contesti sociali, o con famiglie che se ne fregano e non danno alcuna importanza allo studio (e non sono sempre solo le famiglie più povere!), un tempo manco sapevano scrivere e non lasciavano documenti a futura memoria perché non andavano a scuola. Ora almeno ci vanno, però, purtroppo, spesso restano a livello di semianalfabetismo, o di vero e proprio analfabetismo di ritorno, che però è difficile da arginare se si pensa solo a riproporre i modelli della scuola di élite di un tempo o non si ragiona su investimenti controllati ma consistenti, per riuscire davvero a dare a tutti gli alunni quella possibilità di sviluppare le proprie potenzialità che la Costituzione prevede, ma ahimè lo Stato garantisce oggi solo a parole.
Su questo, che è il vero problema della formazione in Italia e che ci fa rimanere in un pauroso stato di arretratezza rispetto al resto d’Europa e ormai del mondo, bisognerebbe focalizzare l’attenzione, caro il mio Parente.
Vogliamo discutere di qualcosa di serio, e non di queste frescacce sul ’68 e sulle lettere leopardiane?
Spero non ti arrabbierai se ti faccio notare un piccolo errore metodologico, quando dici:
“Se si prendesse per raffronto anche oggi un undicenne figlio della classe alta, con una famiglia simile a quella del Leopardi di allora e le stesse potenzialità economiche, o anche leggermente inferiori oggigiorno, si scoprirebbe infatti che, in nove casi su dieci, il pupo magari non scrive lettere come quella di Leopardi alla Befana, ma, per esempio, ha un blog su cui pubblica post o scrive temi [ecc.]”
Beh, se Parente non può portare statistiche serie, suppongo che neanche tu possa farlo, e personalmente (ad occhio!) credo che la tua personale statistica di 9/10 sia un po’ esagerata! (a meno che adesso tu non mi smentisca con qualche studio di cui sono all’oscuro…) La mia impressione invece è che i figli dell’alta borghesia moderna siano tutto tranne che istruiti, e se vengono mandati alle scuole private è solo per aver facilitato l’accesso al pezzo di carta finale.
Comunque, sono d’accordo con la sostanza del tuo post.
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Complimenti Galatea: puntuale, completa e di sostanza. Come sempre!
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“Su questo, che è il vero problema della formazione in Italia e che ci fa rimanere in un pauroso stato di arretratezza rispetto al resto d’Europa e ormai del mondo
A leggere questo simpatico post dell’amico Fabristol – di cui ti consiglio vivamente anche i precedenti, gustosissimi, tre episodi – non sembra che in tema d’istruzione all’estero se la passino poi così bene. La qual cosa farebbe presumere che, la radice dei nostri problemi comparati, debba focalizzarsi altrimenti.
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Vogliamo discutere di qualcosa di serio, e non di queste frescacce sul ’68 e sulle lettere leopardiane?
tutto l’articolo è decisamente godibile e condivisibile, la chiusa è un vero capolavoro di sintesi.
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“E’ tutta colpa del ’68” Stesse identiche parole di mia madre quando oggi a pranzo ascoltavamo parlare la Gelmini alla radio..
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Beh, che i vari Grandi Fratelli, Marie de Filippi e compagnia briscola abbiano una discreta responsabilità nel rendere inutili i tentativi degli insegnanti di sollevare il livello culturale delle famiglie è piuttosto vero! Però sarebbe bene far notare a parente che i Grandi Fratelli, Marie de Filippi e compagnia suddetta non sono certo il parto del ’68, bensì escono dalle antenne di trasmissione di proprietà di quel signore che getta l’osso nella ciotola a Parente in cambio delle fregnacce che scrive. E se non ne volessimo fare una questione personalistica, potremmo provare a farne una questione di classe, tanto per dimostrare di essere degni figli del ’68, e argomentare quanto questi rapporti di conoscenza-ignoranza rispecchino i rapporti di forza-sudditanza che tanto fanno comodo alla classe dirigente capitalista (miiihhh! ho detto una cosa marxista!!!! vergogna su di me!!!!). Aggiungendo peraltro che la classe dirigente capitalista, negli altri paesi europei, non è arrivata a produrre nulla di così orribile come le nostre televisioni, chiedendoci poi-e chiudo con questa domanda-fino a che punto si tratti di una colpa del signore che tira l’osso a Parente e finpo a che punto sia colpa degli italiani che, abituati dal cattolicesimo ad essere mentalmente sudditi e privi di una storia di rivoluzioni come la Francia o la Spagna, mantengono intatto nei secoli lo status di popolo più servile e ignorante d’europa…
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errata corrige: gli insegnanti non tentano di elevare il livello culturale delle famiglie ovviamente…la mia mente ha prodotto un rapido riassunto del concetto, maturato durante gli anni in cui facevo l’insegnante, che alla fin fine le famiglie sono responsabili quasi al 100% di come sortono i bimbi, e che la scuola può ben poco…
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Ho, come te, qualche dubbio che sia colpa del ’68, ma, malauguratamente, è vero che la scuola va sempre peggiorando (e i politici ancora di più). O sarà perché, per citare Umbero Eco come hai fatto tu (anche se ne “Il nome della rosa”), “siamo nani sulle spalle dei giganti”?!
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sul famoso 68, che poi in italia è avvenuto nel 69, si scrivono, specie sui giornali di destra ma non solo, delle affermazioni così banali e stereotipate, che al confronto una frase tipo “non ci sono più le mezze stagioni” sembra una frase arguta e originale
il 68 è stato un periodo culturale dal doppio volto: per un verso una formidabile spinta al riconoscimento dei bisogni individuali, dei diritti dei “corpi” alla pienezza del vivere; ma per un altro verso quella spinta al soddisfacimento dei bisogni oppressi dalla morale borghese, è stata la culla delle successive degenerazioni del consumismo e dell’edonismo di massa
consiglierei di leggere il bellissimo saggio di a.g. biuso “contro il sessantotto”
dove si spiega che l’erede del ’68 abita dove meno lo si cerca, fra le fila della Destra televisiva
e anch’io la penso così: il frutto del 68 è l’individualismo senza morale di questi anni
http://books.google.it/books?id=4IjzR7Al2lgC
(spero funzioni il link, se non funziona chiedo scusa)
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Riguardo al tuo post condivido appieno quello che sostieni e a chi chiede le prove di quanto affermi pur non conoscendo nessuna statistica sull’argomento, so perchè sono circondata da figli, amici di figli, nipoti, figli di nipoti e parenti giovane che la maggior parte degli implumi pargoli post sessantottini sanno scrivere, leggono, discutono e tengono blog.
Sarà che io sono una sessantottina, come sempre dico mai ex. Sarà che a quel tempo per confutare la cultura dominante bisognava farsi un mazzo tanto. Sarà che quel modo di approcciarmi al sapere è sempre stato umile ma vivace nella voglia di conoscere e anche di criticare senza paura di non essere in grado di farlo o di sbagliare. Attorno a me c’è una gioventù senza griffe, non tronista che non sa nemmeno chi sia la De Filippi e se lo sa la evita come il male.
Insomma a scanso di equivoci il 68 cominciò nel 68 qui in Italia con l’occupazione di molte università e con la contestazione contro alcuni eventi culturali che proponevano scelte e idee di una classe dominante (uno fra tutti la Biennale d’Arte di Venezia). Stranamente qui non fu un “attimo fuggente” , come invece lo fu in Francia, perchè il 68 in Italia continuò nel 69, nel 70 e così via fino alle prime stragi che come si sa non hanno ancora dei responsabili dopo tutti questi anni e non per colpa dei sessantottini. Certo i ragazzi di allora si sono sparpagliati nel mondo, visto che non fu solo un movimento che toccò il nostro paese, molti si integrarono e divennero la nuova classe dirigente, molti diventarono molto più reazionari della classe dirigente di prima, ma questo è un altro discorso. Ma mai e poi mai a quei ragazzi mancò il sapere, la cultura e le capacità.
Questo solo tanto per dire, perchè non funziona più col dire “era meglio quando si stava peggio” è inaccettabile e ridicolo, soprattutto ridicolo.
Un po’ di rispetto per quelli che si danno da fare e hanno delle belle teste, ma che vengono minimizzati e travolti da tanto parlare ciarlatano. Non basta citare un grande poeta per essere dotti, ci vuole molto di più.
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bellissimo post, è fenomenale come tu riesca a riportare per iscritto gli stessi pensieri che condivido anche io!
E sono d’accordo con ciò che ha scritto Luigi che basterebbe secondo me a spegnere Parente: “Però sarebbe bene far notare a parente che i Grandi Fratelli, Marie de Filippi e compagnia suddetta non sono certo il parto del ’68, bensì escono dalle antenne di trasmissione di proprietà di quel signore che getta l’osso nella ciotola a Parente in cambio delle fregnacce che scrive.”
Baci
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oddio, è pur vero che nella generazione del ’68 e dintorni ci furono un sacco di incendiari poi morti pompieri, come si dice, gente che confuse la tempesta ormonale con una ideologia ma passata la tempesta seppe scegliere la convenienza, e se dovessi fare degli esempi qua non la finiamo più
ah, si, qualcuno è nelle tv berlusconiane o scrive sui giornali “di destra” ma adesso è più chic spacciarsi per liberali
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