
Aderisco all’idea di Giovanna Cosenza. E parliamo di “passione”, va’!
Monica è sul divano, con la sua espressione corrucciata e la bocca a broncio. Sbuffa. Il moroso storico, Pietro, è in viaggio per lavoro da una settimana, e lei si sente sola ed annoiata. Così chatta e messaggia con Antonio, e poi con Enzo, e poi con non so chi, perché Monica la conosco da una una vita ed è così da sempre, che come Pietro si distrae un attimo, o la lascia un po’ da sola, lei flirta con qualcun altro, e poi con qualcun altro ancora.
«E’ che io sono così, ho bisogno di passione!» dice sempre per giustificarsi, mentre invia l’ennesimo messaggino ammiccante, ai limiti dell’hard, con il fortunato di turno.
Io la guardo e mi sto zitta, perché questa cosa che lei ha bisogno di passione, che lei vive di passione, gliel’ho sentita ripetere non so quante volte. E ogni santa volta mi mordo la lingua per non risponderle male, perché la passione, quella roba che lei cerca tanto e dice di non poter vivere se non, in realtà è una cosa un po’ diversa da quello che crede lei. La passione è quella cosa che quando ti capita è come se ti investisse un tram, o una slavina: una roba che ti toglie il fiato come se ti stessero strozzando, e non riesci più a pensare, più a ragionare, più a vivere. E’ una cosa che ti travolge e poi quando se ne va ti lascia là, a terra, boccheggiante, sfatta, vuota, come se al mondo non ci fosse più nulla per te, e non ci potesse essere mai più. Non è un brividino di freddo, un sorrisetto accennato, un passo di danza che si lascia a metà quando ci si è stufati di girare: è un turbine che ti prende e non riesci a fermare più, la perdita dell’equilibrio, del senso del tempo, lo sparire del tutto, il non sentirti più di esistere e di essere qualcosa.
No, Monica, credimi, la passione non si cerca, e dopo che l’hai provata una volta, forse forse ti auguri quasi di non provarla più, perché è la cosa più simile alla morte e alla fine, come tutte le estasi.
Tu non cerchi la passione, amica mia: tu vuoi solo un giro in giostra.
La storiellina qui non può non esserci (chi la conosce già, porti pazienza, che comunque è sempre carina):
Due coniugi vanno dal consulente matrimoniale. Iniziano a spiegare al tizio i fatti loro. Lei, a un certo punto, prende l’iniziativa e prosegue il discorso … “Subito, quando mi sveglio la mattina, con mio marito; poi, appena prima che lui vada al lavoro, sempre con lui, sulla porta di casa; più tardi, col lattaio, perché ho già nostalgia di mio marito; verso le dieci, col postino, per superare la solitudine; subito dopo pranzo, col vicino, che mi porta gentilmente le uova di cortile; alle cinque, col giardiniere, che viene a tagliarci l’erba, perché penso che mio marito è quasi di ritorno; infine, alla sera, solo con mio marito”. Lo psicologo la guarda perplesso per un bel po’ e infine sentenzia: “Signora, ma lei è malata!”.
La donna guarda il coniuge con aria soddisfatta e gli ribadisce il concetto espresso dall’analista: “Hai capito, bello mio? Malata! Malata” Non troia! Malata!”
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Bello che partecipi a questa cosa, Gala! Spero di proseguire allora. Già il tuo è un bellissimo incoraggiamento.
Stay tuned… 🙂
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Monica iscritta al Club “Appassionati della giostra”
un sorriso
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Si chiama giostra!?!?!
E io che ho sempre usato locuzioni tanto volgari…
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Monica non ha ancora capito che Pietro può arrivarle un vaffanculo così pieno di passione da stordirla.Ecco perchè se lo cerca.
Inchino e baciamano alla padrona di casa.
Ghino La Ganga
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io schiverei qualunque tentativo di definizione…persino sul caso dell’amica Monica, che sembra così esemplificativo. Infatti si tratta di un tema sul quale ciascuno porta “se stesso” in maniera prevalente rispetto a qualunque ragionamento…anche l’amica Galatea.
D’altro canto a voler generalizzare si cade nell’effetto piscologo TV… ci rinuncio in partenza
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Simile a un dio mi sembra quell’uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza
e con incanto sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, sùbito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell’erba; e poco lontana mi sento
dall’essere morta.
l’autrice è nota a tutti, VII secolo a.C.
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«Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. . Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era cosi vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era cosi grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cosi soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento…»
(Santa Teresa d’Avila, Autobiografia, XXIX, 13)
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Grazie, @Diego56, meravigliosa poesia di amore e di struggente passione.
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non grazie a me, cara andreana, ma alla divina saffo, la più grande, da sempre
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Concordo con diego56. La passione è quella, da millenni.
@galatea: ero d’accordo con quanto da te scritto fino a “e poi quando se ne va”; mi sono resa conto di non esserci ancora arrivata. E sono passati 17 anni, quasi.
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Grazie, Diego, per avercela ricordata. Immersi nel quotidiano, nelle sue brutture, spesso tendiamo a dimenticare la bellezza.
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