C’e quella canzone di Guccini che parla delle ultime volte. Sono meno cantate e ricordate delle prime, anche se sono più struggenti, perché non sei mai certo che siano tali, le ultime volte: o meglio a volte no e a volte sì. L’ultima volta che metti i sandali estivi, o la maglietta leggera; l’ultima volta che vedi una persona che pensi di vedere ancora, e invece sei destinato a non incrociare mai più.
Quando ero piccola ho vissuto tante ultime volte consapevoli. Ogni volta che facevamo trasloco e si cambiava città, c’erano le ultime volte che vedevi gli amici, la tua scuola, la casa dove avevi vissuto.
Ho imparato a conoscere il sapore un po’ amaro delle ultime volte, la loro ansia di negazione, come quando gli amichetti di scuola ti dicevano :”Ma no, ci vedremo ancora, verrai a trovarci, ci scriveremo!” E tu dicevi sì con la bocca, ma dentro di te sapevi che non sarebbe stato così: perché poi la vita è quel fiume che ti travolge e ti fa dimenticare, e gli altri sbiadiscono come i contorni delle cose all’orizzonte man mano che la distanza aumenta.
Oggi è un’altra delle mie ultime volte. L’ultima volta in una casa in cui abito da venticinque anni. La casa dove ho vissuto la maggior parte della mia vita. Dentro ci sono cresciuta, mi sono diplomata, laureata, innamorata, disamorata, trovato i miei primi lavori, cambiato i miei primi lavori, cambiata io. Di qui sono passati parenti, amici, amiche, amori, conoscenti, gente che mi è ancora vicina, gente che non lo è più. Qui hanno vissuto con me persone che ora non ci sono più, e forse ristrutturo anche per togliere il peso di troppi ricordi che hanno lasciato fra questi muri.
Oggi la lascio. Con la prospettiva di ritornarci fra qualche mese, sì, ma dopo averla cambiata, e le cose cambiate, come direbbe il signor De Lapalisse, non sono più le stesse.
Guardo i muri nudi e i mobili smontati, gli scatoloni pieni di tutte quelle cose indispensabili che ora non lo sono perché me ne posso privare per mesi. E mi stupisco sempre che gli addii tanto temuti poi siano queste cose così frettolose e prive di poesia: così facili.
Me ne vado. L’operaio smonta gli ultimi scaffali. Si chiude. Da qualche parte si ricomincerà.
Ciao.
2 Comments
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Considerati fortunata. Spesso sconvolgimenti come questi arrivano in forma di evento catastrofico improvviso. Un incendio, un allagamento, un problema di salute. Tu invece ne sei artefice, quindi almeno senza l’aggravante della sorpresa. Alcune volte le separazioni aiutano a distinguere ciò che davvero ci appartiene, e che nessun cataclisma ci può portar via, dalle cose che semplicemente ci portiamo appresso da una vita.
p.s. hai risolto con internet?
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Considerati fortunata. Pensa al Berlusca che guarda il suo Angelino (Tu quoque Angeline filii mihi!) e pensa che sarà l’utlima volta che vede il Senato.
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