Le stazioni di periferia sono posti incredibili: non sono il paese reale, sono una dimensione parallela, o forse distorta, una specie di stargate su qualche mondo lontano ma simile al nostro. Sono bellissime, le stazioni piccole e abbandonate in mezzo alla campagna, quelle dove i treni non passano mai, o meglio passano, ma mai quando te lo aspetti; hanno sedie sgangherate e muri in cui si alternano dichiarazioni politiche estreme e altrettanto estreme dichiarazioni di amore e di odio, per cui Legamerda e PadaniaLibera si incrociano con i Jessicatiamo, Manuelseilamoredellamiavita, ericatroia.
Sono un posto in cui si incrociano le velleità di progresso e la rassegnazione, le stazioni di periferia, con le loro macchinette per comprare i biglietti con la carta di credito come in Europa, e il display che si impianta e si arrende, comunicando che la connessione non funziona, è assente, insomma nun gliela fa, come in Italia.
Ci sono misteri insondabili, nelle stazioni di periferia, come i distributori di merendine con dentro tramezzini sintetici che nessuno mangerà mai, se vuole sopravvivere almeno fino alla prossima stazione, e poi pacchetti di fazzolettini mignon che costano più di intere cartiere, preservativi e poi, incredibilmente, l’attrezzo elettrico per rifilarsi i peli del naso.
Sono posti internazionali, le stazioni di periferia, perché chi sale sui treni è gente di tutte le razze, cinesi, cingalesi, nigeriani, senegalesi, slavi di ogni est, e pochissimi italiani, perché i treni delle stazioni di periferia sono multietnici, mentre quelli di prima classe, che non passano per quelle stazioni, sono molto più provinciali.
8 Comments
I commenti sono chiusi.
Abitando in un paese di provincia, non posso che ritrovarmi completamente in questo tuo splendido post.
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Hai ragione, Galatea: ormai il mondo vero lo trovi in posti come quelli. O nei mercati rionali, tra russe grasse e indiane con abiti multicolori. E pensionati italiani col deambulatore.
Peccato che pensiamo che il mondo sia quello che vediamo in TV (ho nelle orecchie la Biancofiore che bercia da Formigli). Sveglia, ragazzi !
Anonimo SQ
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Questa dell’attrezzo elettrico per i peli del naso mi giunge nuova, ma esistono attrezzi elettrici per qualsiasi cosa quindi c’è da aspettarselo. E dire che mi servirebbe pure, ho sempre usato le forbicine.
A parte gli scherzi, davvero bello questo post.
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@daniele
Esiste anche quello elettrico per i peli delle orecchie, se è per questo. Per altre zone esistono sistemi ancor + sofisticati.
Anonim o SQ
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Le stazioni di periferia, quelle che non hanno nemmeno la biglietteria (ho fatto anche la rima). Devi ricordarti il loro nome improbabile, e se lo azzecchi fai il biglietto direttamente in carrozza, ma solo se ti vede il controllore. Devi sapere bene gli orari, controllare il calendario lunare, perché a volte il treno col piffero che si ferma: il più delle volte sfreccia via velocissimo, cosa che ti fa abbandonare l’ipotesi di provare a prenderlo al volo come in un vecchio film western. Ciao 😉
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Ho lavorato a lungo in una piccola stazione, prima che la tecnologia rendesse superflua la presenza di personale di esercizio. 8 anni di turni, di assoluti silenzi notturni, di storie che neanche a raccontarle, di principi del Madagascar costretti ad approfittare della tua ospitalità notturna e del caldo del tuo ufficio movimento, di colleghi anziani che, entrando in ufficio, rispettosamente toglievano il cappello davanti all’autorità di uno studente universitario ventiduenne. Profili sfocati e banchine confuse nella nebbia. Quando ho lasciato il lavoro, m’ero ripromesso di non raccontarlo mai con enfasi, ma … niente, non ci riesco.
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Consandolo (FE), una stanza con un buco per l’entrata e un buco per l’uscita, senza porte. Di qua, la strada. Di là, due binari, e campi. Di qua e di là, onnipresente tutto l’anno, la nebbia. Niente biglietteria, niente biglietteria automatica. Anzi, il biglietto lo fai a bordo, perché la stazione è assente da qualsiasi database di Trenitalia.
Corciano (PG), due stanze, anche queste senza porte. Biglietteria non pervenuta. Il cartello è ingannevole – Corciano è cinque chilometri più in là, e più in alto.
Mirandola (MO), stazioncina linda e tranquilla, zanzare a parte. Un passo fuori e sono campi e filari. Arrivarci passando in mezzo ai segni del terremoto, però, è sempre un po’ surreale – ti domandi com’è che i binari non si siano imbizzarriti pure loro.
[da anni lavoro ad un inventario di queste stazioni, se non altro per affetto. Forse l’hai già letto, ma L’italia in seconda classe di Paolo Rumiz a volte passa per queste ed altre stazioni di provincia.]
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Mi viene in mente la stazioncina di Terracina, dove oramai passa un treno al mese, forse…
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