Il superfluo di ognuno di noi

Sono una gran scialacquatrice. Compro di tutto, e spesso cose di cui so di non avere alcun bisogno. Spendo in vestiti e scarpe anche se ormai il mio armadio trabocca, ho borse in tutte le nuance di colori conosciuti dall’Iride, mi concedo caffè, tazze di tè, aperitivi al bar, cene al ristorante, cinema, teatro, concerti, libri, palestra, piscina,app di cellulare, cazzabubboli digitali di ogni tipo e foggia. Non rinuncio ad una mostra e se viaggio in fondo poco è perché sono pigra, ma quando lo faccio pretendo tutti i confort.

Stando a questo articolo, sono completamente scema, e magari è pure vero. So benissimo che, se decidessi di tenermi un po’, nel giro di qualche mese avrei un conto corrente decisamente più fornito. Tuttavia, quando leggo questo tipo di articoli, a me viene sempre addosso una specie di vago senso di insofferenza, e parte lo sbuffo. Non è solo la tipica reazione del Bastian Contrario che è in me, per cui se mi dicono bianco a me viene da difendere il nero, è che mi pare sempre che questo tipo di scoperte epocali, come tutte le conversioni sulla via di Damasco, non tengano conto di un piccolo particolare, ovvero il momento in cui una persona decide di convertirsi.

Dice un vecchio detto buddista che quando l’allievo è pronto il maestro arriva. È un detto di rara saggezza, che purtroppo non viene mai compreso. La giornalista in questione sciorina la sua ricetta come se fosse una soluzione universale: fate come me e diverrete risparmiosi e felici, vi libererete delle sovrastrutture e del superfluo, vivendo più saggi e leggeri.

Ecco, io ho sempre avuto l’impressione che sia lì la debolezza di fondo, nella definizione di “superfluo”. Tendenziamelmente noi  consideriamo superfluo tutto quello a cui a noi non importa poi tantissimo rinunciare, e diamo per scontato che se è possibile che noi ne facciamo a meno questo valga anche per gli altri. Il punto è che non è così. Quando sgridavano mia nonna perché dava l’elemosina ad noto ubriacone che stazionava sempre fuori dalla chiesa e le dicevano che era inutile perché lui sarebbe andato subito all’osteria a spendere i soldi in vino, lei rispondeva: «E se vuole bersi un bicchiere, si vede che ne ha bisogno!»

Per quanto una cosa sia cretina o minima (una sciapina nuova, le scarpe con il tacco, il bon bon di cioccolato) in alcuni momenti della vita per alcuni è necessaria. Io, per esempio, posso tranquillamente rinunciare senza troppo sforzo ad una serata in discoteca, perché non mi è mai piaciuto andarci, e forse anche ad una cena al ristorante, ma non di sicuro alla possibilità di andare ogni tanto a fare una seria sessione di shopping, o comprarmi un libro, o un ombretto, quando ne sento la necessità. Ci sono giorni in cui hai bisogno di essere superficiale, non si può vivere l’intera esistenza portando il peso del mondo.

Quando la signora vende la sua ricetta come applicabile e consigliata per tutti, dimentica che invece essa è stata frutto di una sua libera scelta e di una sua spontanea decisione. Era l’allievo ed era il momento giusto, per cui ha trovato la via. Altri non sono pronti, o forse la via per loro non è quella. Conosco gente che per seguire vie sbagliate è diventata cattiva e frustrata, persino se aveva scelto in autonomia a cosa rinunciare. Si è tolta quello che considerava superfluo e magari in apparenza lo era, e invece non era superfluo per niente, era una boccata d’aria necessaria a continuare ad affrontare la vita con il sorriso sulle labbra.

Il nostro mondo dovrebbe imparare a non considerare obbligatori certi “lussi”, perché l’impressione è che alle volte alcuni hobby, sport, abitudini siano praticate più per conformismo che per vero interesse, ma anche vero che pensare che negarsi tutto risolva la vita o ci porti ad un livello di comprensione dell’esistenza più alto rischia di essere una stupidaggine uguale e contraria. Forse il figliol prodigo era un cretino scialacquatore, ma a me anche il fratello tanto morigerato che però sputa sentenze con cattiveria infinita quando l’altro torna a casa ed è accolto dal padre tanto bene non sta. Le persone felici non stanno sempre a brontolare sulle condotte altrui: se ne fregano.

Quindi no, non rinuncerò al mio superfluo. Magari potrei risparmiare tantissimo non comprendo tutte le scemenze che compro, non andando in giro, vedendo film, tagliandomi i capelli alla moda, mangiando in buoni ristoranti, essendo connessa ad internet sempre con il mio cellulare e tablet. Ma poi che diavolo me ne farei di quei soldi in più? Sarei perennemente amareggiata per ciò a cui rinuncio, incattivita con il mondo e pronta a sputare sentenze sugli altri perché mi sento migliore di loro.

No, grazie.

Preferisco essere bonaria e spendacciona.

7 Comments

  1. La felicità non è superlua, ergo nemmeno quello che ti rende felice (e che varia per ciascuno: per me è più comprensibile essere felici con in mano un libro nuovo o con una cioccolata con panna davanti, ma suppongo ci sia gente che si sente felice acquistando scarpe pitonate rosa fluo – e chi sono io per contestarlo?). Forse il superfluo è ciò che acquistiamo perché pensiamo – o forse ci hanno indotto a pensare – ci possa rendere felice, ma che non ha poi quell’effetto. In fin dei conti la maggior parte delle pubblicità è costruita sull’induzione di bisogni che uno non ha, no? Forse il punto non è “non spendere per tutto ciò che non riguarda strettamente la sussistenza”, ma pensare a cosa effettivamente, pur non essendo questione di vita o di morte, ci rende felici. Mi è stato insegnato a domandarmi, prima di un acquisto: “ma mi serve davvero?”, e penso sia giusto, purché fra i bisogni che legittimano un acquisto ci siano anche il bisogno di coccolarsi, di dedicare del tempo a sé stessi, di sentirsi bene. Altrimenti mi sa che è solo sopravvivere.

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  2. Il superfluo è conseguenza di certo di bisogni indotti. A ciascuno il suo, proporzionatamente alla tasca.
    Il superfluo è di certo fonte di sensazioni piacevoli o di curiosità che, però durano meno di un respiro. Non penso di felicità. La felicità, quella vera, sconosciuta, risiede altrove: nelle emozioni.
    Mi viene da pensare, in tema, ai collezionisti (non per business): dopo aver soddisfatto la compulsione a “possedere” cosa mai se ne faranno dei cumuli di roba meticolosamente ordinati e archiviati?
    Credo, e non voglio tediare ulteriormente, che la vita possa e debba servire a raggiungere l’equilibrio: tra le nostre due metà, tra il dentro e fuori, tra il giusto e lo sbagliato, tra noi e gli altri, tra l’essenziale e il superfluo. Tra la spensieratezza e l’impegno.

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  3. Sono d’accordissimo con te. Quello che è superfluo per uno può essere necessario per un altro e viceversa. Come in tutte le cose, occorre moderazione, ma se si ha la possibilità di circondarsi di cose che ci piacciono, perché non farlo? È una soddisfazione in più che fa sentire meglio, e non è né indotto né inutile: i collezionisti potrebbero confermarlo.

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