Those about to bore: perché il nuovo serial di Amazon Those about to die è una noia mortale

Ci ho provato, giuro.

Ci ho provato intensamente. Ma niente da fare: dopo sette episodi l’unica emozione suscitata in me da Those about to die, la nuova serie tv di Amazon Prime, è stata una sola: una enorme, gigantesca, megalitica noia più grande del Circo Massimo e del Colosseo messi assieme.

Non lo so perché l’antichità classica in video riesce così male. Ma sceneggiatori hollywoodiani che ti fanno appassionare alle vicende di Tudor, Vichinghi, Normanni, popoli medievali o moderni a caso, famiglie rinascimentali, dandy regency in libera uscita, non appena devono scrivere una qualsiasi cosa ambientata a Roma antica hanno il cervello che gli va in pappa, non riescono a costruire un dialogo che non sia imbarazzante e un personaggio credibile. È come se fossero schiacciati dall’ansia da prestazione: quando devono descrivere un vero impero divengono impacciati come gli scolaretti il primo giorno di scuola.

Che poi non è che non ci provino, anzi. Those about to die parte con le migliori premesse possibili, Amazon sono anni che cerca il suo GOT e l’antica Roma pare l’ambientazione perfetta. Solo che scenografie, e vestiti e persino interpreti possono fare poco se poi non hai una storia che regga.

Ecco è proprio la storia che manca. Abbiamo tutto per farla partire: il Circo Massimo, le fazioni, i gladiatori, la famiglia imperiale incasinata con i due fratelli che si odiano e il padre imperatore in fin di vita. Ma non basta buttare tutti lì sperando che la storia si crei da sola. O almeno bisognerebbe avere l’accortezza, allora, di prendere davvero la storia e non stravolgere i personaggi a cavolo.

Prendiamo Vespasiano, Tito e Domiziano. Che sceglierli come protagonisti è anche una mossa interessante, perché di solito o si parla dei Giulio Claudi o di Traiano.

Però allora descrivili bene. Non basta dire che erano discendenti di mulattieri guardati con sospetto dai senatori di antico lignaggio, se poi ci metti Hopskins che si comporta come un lord inglese uscito da Oxford, laddove il vero Vespasiano era ruspante come un Danny de Vito e con un tagliente senso dell’umorismo. E così la scena della morte, in cui Hopskins si muove come in una tragedia greca convinto di ascendere al cielo, ed è noiosa e grottesca, nell’originale era una una scena di perculo feroce, con Vespasiano che prima di morire sarcastico dice ai senatori presenti e serissimi: “Zitti, sento che sto diventando un Dio!”

E Tito? Sembra un giuggiolone che sta lì perché ce lo ha messo il padre. Cioè, raga, Tito: uno che spaccava il culo ai barbari come Chuck Norris da quando era adolescente, che qui passeggia a caso perennemente in corazza (sta cosa dei romani sempre in corazza faceva già sbellicare Roland Barthes) oppure scopa, altrettanto a caso, con Berenice di Giudea. Una delle più intriganti storie d’amore di Roma antica bruciata lì senza un senso.

Ma il pasticcio peggiore è Domiziano, rappresentato come un ragazzino esangue e isterico. Ora Domiziano aveva mille difetti, eh, compreso un carattere di merda come pochi, ma anche se non è mai stato un uomo d’arme, era pur sempre il Flavio che si era spupazzato il casino di Roma e dell’Italia nell’anno dei quattro imperatori, quindi adolescente isterico ed esangue un paio di ciufoli. Ma qui è il cattivo della situa e quindi chi è che viene rappresentato come sessualmente ambiguo e con un efebo come amante? Lui. Cioè, Domiziano: quello che prima rischia uno scandalo per sposarsi la moglie Longina (che fa divorziare dal primo marito, da cui sopporta persino le corna con un attore, la manda in esilio e poi se la riprende); e poi ne crea uno epocale per mettersi assieme con la nipote Giulia. Persino su Traiano ci sono prove che avesse avuto storie con maschi, su Domiziano in tutte le fonti mai nemmeno una illazione, e gliene hanno dette di ogni. Ma se è subdolo e intrigante, non può essere etero, obviously. Stereotipi e pregiudizi a schiovere, proprio.

Ma poi, santi numi, vuoi fare GOT come gli Olimpi comandano? E allora, tesoro, vai di violenza vera, stupri, incesti e via discorrendo. Qui invece nonostante lo spreco di sangue nella sigla, dove il plastico dell’Urbe viene affogato, non basta tagliare qualche testa o braccio a caso nell’arena o mettere appesi per le strade degli schiavi crocifissi. Roma era una cosa che GOT e Vikings se le mangiava alla mattina per colazione; nei palazzi imperiali si moriva con più facilità che in una puntata di Gomorra. Qui rispetto alla realtà pare di stare ad un ballo di Bridgerton, e una serie che vuole diventare epica è come la rivoluzione: non è un pranzo di gala.

Tralascio il resto della trama, anche perché non ci si capisce una cippa. Troppi personaggi, troppe sotto trame buttate lì e sfilacciate. C’è un sottile confine fra opera corale e confusione, ecco qua è stato superato dappertutto. Peccato, perché le buone premesse e la volontà c’erano tutte.

Ma solo quelle, ahimè.