Per una volta, non lo voglio demonizzare, no. Non lo sopporto, non l’ho mai sopportato; potessi farlo scomparire con un bibidi-bobidi-bù dai teleschermi, da Palazzo Chigi, dalla scena della politica interna ed estera, lo farei, e senza un rimpianto, magari regalandogli un suo paradiso tropicale in qualche villa megagalattica, attorniato da veline compiacenti e ancor più compiacenti cortigiani che gli corrono a fianco, in rigorose braghette bianco yacht, pensione dorata a mezzo fra il sogno di un dirigente di Fantozzi e la trama di un film dei fu Boldi&deSica. Ma ci sono degli strani momenti, nella vita, in cui, tralasciando le proprie convinzioni e idee, passioni e antipatie congenite, si riesce per un attimo ad estraniarsi dalla realtà, a trasformarsi in spettatori; si vedono allora i personaggi che ne fanno parte con il distacco con cui si guardano, sul grande schermo, i protagonisti di un racconto: si seguono le loro mosse, le loro espressioni, i ghirigori che la trama li costringe fare, e anche se non ti stanno simpatici, anche se non ti piacciono, c’è sempre un punto, nel film, in cui ti senti toccata da loro, partecipi ai loro drammi, t’immedesimi.
Ecco, sarà l’aria buonista del Natale che ti acchiappa a tradimento, sarà la stanchezza di questi giorni, a me la botta di distacco compassionevole è capitata ieri, quando ho guardato la conferenza di fine anno di Silvio Berlusconi.
Parlava, Silvio, ma confesso che le parole non erano importanti. Con lui, a ben vedere, lo sono sempre state poco. Non è una critica, ma un dato di fatto: la comunicazione berlusconiana è basata su altro. Con il suo popolo – che poi, nella sua visione, è il popol tutto, senza alcuna eccezione – Silvio non parla a parole, ma a impulso: trasmette energia, non concetti. Le cose che dice sono quasi sempre slogan vaghi, spesso vuoti: ciò che passa è invece la carica che ci mette dentro, capace di trascendere qualsiasi significato. In questo, più che un politico mediatico, Berlusconi è sempre stato medianico: investito dalla sacra luce del chàrisma, quella che da sempre nobilita e rende digeribile, nel rapporto capo-massa, qualsiasi cazzata il capo spari.
Ecco, ieri tutto questo non c’era: comunque lo si voglia chiamare – fascino, seduttività, divina luce riflessa – il sacro fuoco berlusconiano era del tutto assente. Davanti alle telecamere c’era lui, Silvio, un tale non bello, non più giovane, molto meno ruspante e grezzo, a ben guardare, del solito; ripulito, insomma; più educato e liscio, se si vuole. Ecco, liscio è il termine esatto, ma i lifting non c’entrano nulla. Berlusconi era liscio, sì, ma come è liscio un guscio vuoto.
Ha detto “non mi diverto”, e, per una volta, gli credo. Si vede, ad occhio nudo. C’era una stanchezza infinita, insostenibile, negli occhi; un tocco di terreo che s’indovinava sotto la patina del cerone e dell’abbronzatura. Dei tanti difetti che me lo rendono inviso, gli ho sempre riconosciuto almeno un pregio: un generoso entusiasmo di fondo che qualche volta arrivo a sentire come sincero. È calcolatore, Silvio, ma è un calcolatore che si immedesima nei suoi calcoli, ed è in grado di convincere gli altri che sono fatti bene. Trascina perché senti che, sotto sotto, il primo a farsi trascinare è lui: ha la tecnica sopraffina del piazzista, ma il piazzista migliore è quello che crede nel prodotto che ti propina. Berlusconi nel prodotto Berlusconi è sempre stato il primo ad avere una fede assoluta, superiore persino a quella di Emilio.
Ieri no. Le domande scorrevano, e lui scorreva con loro: le risposte erano sempre uguali nella forma, gli slogan gli stessi già sentiti altre volte: il giustizialismo, l’abbraccio mortale del Pd a Di Pietro, le riforme, il presidenzialismo, l’ottimismo obbligatorio per uscire dalle crisi. Ma il tono della voce, i gesti erano opachi, lenti: non gli vedevi forse le rughe sul viso, ma scorgevi quelle nell’animo. Ci vuole un briciolo di giovanile incoscienza per fare politica, e lui quell’incoscienza l’ha avuta; ma ieri in quella sala, di fronte alle domande di giornalisti che definire garbate è un eufemismo, l’incoscienza l’aveva persa tutta e anche l’aura, più o meno artificiale, di gioventù. Era un signore anziano, per non dire vecchio, ed anche un po’ affannato, messo lì a vendere un miracolo che sa lui per primo essere fasullo, e non ripetibile. Come un piazzista che bussi alla porta e ti proponga di comprare un aspirapolvere che è conscio non essere più al passo con le richieste del mercato. Gli leggevi negli occhi, anche se ben nascosta nel fondo, una certa irritazione: non la solita ira o il dispetto, ma la scocciatura di dover star lì, quando forse avrebbe invece potuto essere a casa , a spupazzarsi i nipotini. Ripeteva parole già dette, e quando qualcuno gli ha chiesto: “E fra quattro anni?” sperando forse nell’investitura di un erede, Silvio, stanco, ma stanco stanco, s’è messo a dire, in soldoni: “Ma sì, abbiamo dei giovani, stanno crescendo, tra quattro anni chissà…” e poco ci mancava che ci aggiungesse un sospiro finale, quello che i genitori fanno quando il parente di turno domanda: “E tuo figlio, alla laurea, quanto manca?”.
C’è sempre qualcosa di tragico nel destino degli uomini potenti, e non è il momento della caduta, ma l’attimo in cui – e prima o dopo arriva per tutti – si accorgono che non sono loro ad aver preso il potere, ma il potere che ha preso loro. Quando si accorgono che, padroni di tutto, non sono più padroni della loro vita: sono sì dei manovratori, ma intrappolati, alla fin fine, nel loro stesso ingranaggio, che prima o dopo li stritolerà. C’è un momento in cui si rendono conto che vorrebbero staccare, e sarebbe anche l’attimo giusto per andarsene via in grande stile, da vincenti; ma non possono, perché ormai il potere li ha ghermiti, e non li molla più. Fino a quel punto è stato un gioco, da quel punto in poi inizia ad essere un giogo, un obbligo cui non ci si può sottrarre, un peso, una fatica. Lo detesto, Berlusconi, ma ieri questo comunicava: la stanchezza, la poca voglia, l’ansia di chi vorrebbe alzarsi e uscire dalla porta, e non può.
Per un momento, giuro, povero Cristo, mi ha fatto pena.
Oh, è stato solo un momento, eh.
Grandeee! Scrivi che metti invidia!
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Si vede che la roba era meno buona del solito.
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qualcuno deve aver letto al silvio una storia con protagonista un certo Scrooge e i suoi “sceneggiatori” gli hanno dato le direttive per interpretarlo… 😉
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Voi sentite troppo lo spirito natalizo profe Galatea. Avessi visto la conferenza, a me sarebbe venuto da pensare “Perché si vuol mostrare stanco?”
Lo ammetto, è più forte di me, ora e sempre timeo Danaos
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@->un cugino di Adamastor: sì, lo so, forse sono troppo buona. Ma stavolta m’è sembrato proprio cotto.
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Tira e stira, tira e stira, sai com’è…
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Con questo video spero di darti un’altra immagine di Casal di Principe.
Auguri di Buone Feste!
Angelo D’Amore
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Il nostro premier parla di una Casa dei Moderati, ma intanto parla di modifiche della Costituzione a colpi di maggioranza. Berlusconi accusa l’opposizione di essere marxista-leninista. Fanno sorridere alcuni esponenti del PdL che parlano di dialogo con l’opposizione, cercando di aggirare le sparate del premier. «Le riforme costituzionali si devono fare dialogando con l’opposizione – ha detto il ministro dei trasporti Altiero Matteoli – Berlusconi la pensa così, solo che di fronte a chi gli dà del dittatore è costretto a reagire con toni forti». In pratica Berlusconi dice no al dialogo ma per Matteoli è come se avesse detto il contrario. Cosa non si fa per il proprio leader!
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È ovvio che aveva altri programmi. Si chiedeva: “Chi è il cretino che mi ha organizzato la conferenza di fine anno proprio il sabato?”
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In Berlusconi anche la stanchezza è studiata
I dittatori vengono sempre annoiati …dagli altri esseri umani.
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