Rimozione freudiana natalizia

babbo natale omino

Questa volta ero certa di aver fatto tutto.

Lo confesso, faccio parte di quella schiera di persone che odia il Natale. Ma mica per un fatto religioso, o filosofico, o per pura spocchia intellettuale. No, è proprio una assoluta incapacità di adattarsi al periodo in cui tutto è forzato e obbligatorio: la serenità, l’allegria, il calore, l’affetto non sono sentimenti ma doveri sociali, non più privati, ma pubblici, materiale da esibizione e con il timer; ecco, a me tutto ciò che viene imposto mette tristezza ed una vago senso d’angoscia.

Non mi sento all’altezza, con la bontà ordinaria, che esercito per tutto il resto dell’anno a titolo personale, di raggiungere i vertici richiesti dal tempo e dall’avvenimento, e mobilitare una razione straordinaria di bontà per adattarmi richiederebbe un surplus di ipocrisia che non sono in grado di dare, neppure per rendere felice Gesù bambino. Così, ogni anno, mi viene addosso una botta di tristezza rognosa che inizia verso l’8 dicembre, una sorta di cervicali dell’animo; passo le feste un po’ intontita, con un senso latente di nausea alla bocca dello stomaco, che ha di solito il suo culmine la sera di S.Silvestro, dove il fastidio per la melassa delle feste generiche si somma all’insofferenza nei confronti del divertimento obbligatorio, perché quella sera, e pare solo quella, sembra che sia tutto lecito, permesso e addirittura doverosamente incoraggiato dall’autorità costituita: essere allegri, stupidi, imbriachi o trasgressivi. Ogni capoccia ha il diritto di accendersi in una vampata di vita, come uno zolfanello, bruciarsi e poi spegnarsi, all’albeggiare del mattino, per tornare al consueto grigio tran tran, dopo che si è consumato il rito e risposto all’eterno, italico bisogno di fare la rivoluzione, sì, ma con l’appoggio dei Carabinieri.

Le feste, dunque, non le evito, perché non si può, ma cerco di passarci attraverso indenne. Memore dell’antico proverbio “Se non puoi vincerli, unisciti a loro”, mi astengo dall’entusiasmo, ma mi rassegno al gesto rituale: e quindi compro i regali – in realtà, l’unica cosa che mi piace: adoro fare regali ancor più che riceverli – e cerco di ricordarmi tutti i passi previsti dall’etichetta: le telefonate, gli auguri, i pacchetti, le decorazioni. Poiché lotto contro la mia natura, la rimozione freudiana è sempre in agguato, ragion per cui cerco di starci attenta.

Ecco, quest’anno mi pareva di aver fatto tutto. Comprati i regali, e persino doverosamente impacchettati; spediti i messaggini (almeno a quelli che meno mi interessano; per gli altri, si aspetta la mattina di festa); compiuto il giro dei parenti con annessa distribuzione di paccottiglia; organizzato il menù, procacciato panettoni-pandori-torrone-mandorlato e financo fatti a mano, con tutto l’amore per la cucina che ci si può mettere, i tortellini per il tradizionale brodo natalizio. Insomma, ero passabilmente soddisfatta di me, stamattina, quando mi sono alzata. Finché, mentre la baciottavo di auguri, mia madre non mi ha sussurrato, all’orecchio: “Be’, non ti preoccupare, che l’albero e il presepe, stamattina, li ho tirati fuori io.”

L’albero e i presepietti preconfezionati, ecco cosa m’ero dimenticata!

Azz, la rimozione freudiana! Non c’è niente da fare, quella ti frega sempre, neh.

6 Comments

  1. Un pensierino a te nel giorno di Natale… ma quando finisce?
    Non vedo l’ora che arrivi S. Stefano.

    Ciao,
    Lies.Bianca

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  2. Tranquilla, sta per finire. Guarda il lato buona: per fortuna Natale viene una sola volta all’anno. Però… potremmo renderlo facoltativo. Coraggio

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