Il treno e la vita

sguardo

Il treno, all’una e quaranta, rigurgita, come un girone dantesco affollato da troppi dannati. È l’ultimo giorno prima della pausa pasquale, quindi i ragazzi sono usciti tutti alla stessa ora, sia quelli dei licei sia quelli dei professionali, e sciamano come un’orda dentro i vagoni per accaparrarsi i posti vicini agli amici. Uno pensa che sono giovani, e li vede come una allegra massa indistinta, democraticamente livellata dalla comune età, tutta zaini, piumini arrotolati attorno alla vita e magliette zuppe di sudore primaverile scatenatosi al primo sole. Ma la geografia che disegnano fra i sedili, non appena prendono posto, è qualcosa di più di un semplice stravaccarsi per i venti minuti del tragitto scuola-casa: se la osservi da vicino ci noti i vezzi e i vizi del fuori ricrearsi nel microcosmo dello scompartimento.

Le due compagnie, sedute una alla mia destra e l’altra di fronte, sono formate da sedici/diciottenni, ma fra loro, oltre che lo stretto corridoietto, passa il fossato di un mondo. Quelli di fianco sono quattro ragazzotti e due ragazze di un professionale: hanno occupato i posti come una gradinata alla stadio. I maschi, con i loro ciuffi da Bastard sons of Dioniso che coprono gli occhi come tapparelle, si sono praticamente distesi sulle poltroncine, con i piedi ostentatamente poggiati sui sedili e gli zaini abbandonati nel mezzo del passaggio, alla “è caduto così e col cazzo che lo sposto!”. Le due ragazze stanno in piedi, perché la maglietta risalga quel tanto da tenere scoperto l’ombelico sul davanti e un pezzo di chiappa sul di dietro. Sono carine, anzi, sarebbero proprio belle, non si fossero stuccate in faccia mezzo chilo di intonaco a mo’ di trucco e ripassato gli occhi con una matita nera che sembrerebbe eccessiva persino a Nefertari. La migliore delle due ha lunghi capelli castani striati da méches fatte in casa e impiombati in riccioli mediante chili di gel: guarda il finestrino con aria imbronciata e rumina una gomma da masticare, apparentemente distratta o forse indispettita perché nessuno dei maschi le tributa il dovuto omaggio. I ragazzi però hanno di meglio da fare: hanno aperto il tavolinetto centrale, tirato fuori le carte da gioco, come fossero all’osteria, e stanno iniziando una mano di briscola. Ogni carta che calano è seguita da rigorosa bestemmia, mentre l’altra fanciulla del gruppo, trovato un posto libero nella retrovia del vagone, insaccata sullo schienale e con le gambe allargate, sta smadonnando insulti contro il suo cellulare, un blackberry all’ultima moda che però non becca campo. Abbandonati qua e là ci sono i libri di scuola: volumi ciancicati che hanno solo un vago ricordo di copertina. Sono malridotti per disprezzo, non per uso: la vita di quei poveri testi consiste nel venire sballottati qua e là con odio, ficcati a forza dentro le cartelle, scagliati con furore contro i muri, abbandonati per terra o sui gradini durante le pause, letti o studiati mai.

Il gruppo che mi siede davanti è invece di liceali. Non serve nemmeno controllare l’antologia greca che una di loro tiene in grembo con la stessa cura con cui la regina Elisabetta trattiene le sue borsette. Sono due ragazze e due ragazzi che si sono seduti in punta di sedia, dopo aver riposto sotto i sedili zaini firmati e lindi come se fossero appena venuti fuori dal bucato. Dei maschi, uno sta parlando: è un affarone alto e tozzo, con la barba ed occhiali dalla montatura assolutamente improbabile, neri ma di foggia simile a quelli della Wertmuller, un cardigan a losanghe giallino con inserti di altri colorini mosci, che lo fanno assomigliare a certi aspiranti intellettualini da film francese anni ’70. Sta parlando, infatti, di cinema, o almeno credo di indovinare un “Truffaut” sibilato a chiarire non so quale rimando a Catullo. Di fronte a lui la ragazza che tiene l’antologia come una borsetta in pericolo annuisce, molto compresa nella parte di far capire che lei sa sempre bene di cosa si stia parlando. Non è brutta, anzi, è carina. Ha lineamenti fini che risultano un po’ insipidi solo perché non hanno un filo di trucco, capelli di quel castano incerto che vira verso il topo, ma che un buon parrucchiere può illuminare con uno shampoo riflessante in pochi minuti. Negli occhi, dietro agli occhiali, ci leggi una determinazione di quelle bastarde, che muovono anche le montagne: non perdono una sillaba, quegli occhi, e tutto archiviano con l’intenzione di servirsene un giorno, quando se ne avrà l’occasione. Per ora studia, perché è intelligente; conquistatasi un posto nel mondo, diventerà anche strafiga e si prenderà le sue rivincite. Le sue vendette sulla vita sono solo rimandate a data da destinarsi, come si capisce dallo sguardo di caparbio possesso preventivo che invia all’altro membro della compagnia. Questi, lo si vede ad occhio nudo, è il bello del gruppo. E non solo il bello, ma anche il figo. É alto, castano, slanciato, indossa con nonchalance da modello un cappotto blu di taglio perfetto ed ha la faccia da laureato spocchioso ancor prima di prendere il diploma. Cura poco i discorsi degli amici e risponde a stento alle loro domande, perché è impegnato a sfogliare, con annoiata sufficienza, una copia della Stampa. L’ultima ragazza è una bionda magrissima, stilossissima, che pare appena uscita da un parrucchiere e da un negozio grandi firme. Non ha uno zaino, ma una borsa Louis Vuitton, e indosso nulla che costi meno di trecento euro. Lei e il Bello si ignorano in maniera così plateale che è chiaro a tutti che devono essere morosi.

All’improvviso una granuola di porco-qui porco-là più forti del solito segnala che il primo girone della briscola è finito. “Checcazzo! Dylan vince sempre! Checazzo checcazzo checcazzo! Ha un culo pazzesco il tuo uomo!” commenta uno dei ragazzotti, rivolto alla bella del quartetto.

Mica è culo, cazzo: bara!” è la risposta della vamp dai riccioli pietrificati, che per un attimo sospende la ruminazione della gomma per lanciare al vincitore un sorriso in tralice, nonostante sia un sospetto baro, o forse proprio per quello.

Il bello del Liceo riemerge dal giornale con aria schifata, e lancia una occhiata di silenzioso disprezzo verso il gruppetto dell’istituto professionale. La piega all’ingiù della bocca fa capire come li consideri poco meno che una pletora di insetti: sì, pensa proprio che siano insetti, e di certo li definisce mentalmente anche “pletora”.

Poi, per un attimo lo sguardo si sofferma sulla vamp, la squadra da capo a piedi, valutando con rapido calcolo la differenza fra il suo generoso décolleté e la magrezza chic ma esangue della morosa biondissima lì accanto. Illustra tutto un futuro, quello sguardo: infatti il sottotitolo palese è “Sì, me la farei, ma dopo aver regolarmente sposato l’altra.”

La vamp gli risponde con una occhiata di sufficienza smaliziata, che si riassume in un: “Oh lo so che ti piacerebbe, ma poi correresti da quella stampella anoressica che hai seduta vicino, perché sei uno stronzo.”

I due sguardi si incrociano per un attimo, si dicono tutto. Poi il Bello del Liceo torna a leggere la Stampa, mentre la Vamp si struscia come una gatta al suo baro, gli zaini ingombrano il corridoietto e il treno, come la vita, continua a correre via.

15 Comments

  1. Questo treno, un moderno infernale girone dantesco, lo lascerei correre verso il suo meritato Cassandra Crossing, ma forse sono troppo cattivo. Per la legge del contrappasso sarebbe corretto, magari dopo lo stop Pasquale, una descrizione dello scompartimento dedicato alle anime degne del Paradiso, se non fosse vuoto o abitato da una noia mortale.

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  2. Mi hai fatto ridere come una pazza… possibile che il mondo sia uguale a tutte le età… alla giovinezza avrei attribuito un po’ di idealismo 😉

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  3. c’è tutto in questo treno, rido ma anche mi incavolo, perché mai si va oltre…grazie, bel pezzo! chapeau
    fatacarabina

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  4. Salve, Galatea, e buona Pasqua.

    Di tanto in tanto passo di qui, e ti leggo – mi interessa cosa vedi e cosa pensi e cosa scrivi.

    Stavolta sono rimasto di sasso. Non m’hanno inquietato tanto i personaggi del tuo pezzo, ma la semplificazione a cui hai sottoposto quelle persone. E soprattutto il tuo sguardo da entomologa. Il tuo cuore si è forse indurito?

    Pasquale

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  5. @fulmini
    Non è Galatea che semplifica,
    sono loro che si mutilano da sé
    (alcuni davvero, altri solo per mascheramento).

    @Galatea
    Superlativo!

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  6. uhm.. anch’io, come Fulmini, in questi ragazzi ci vedo un po’ troppo macchiette e un po’ troppo poco esseri umani.
    Le cose non sono mai così semplici e standard.

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  7. Come Fulmini ed Elena, ci vedo della fretta nel tuo occhio così attento. Fretta di equiparare i piccoli ai grandi, dimenticando che i piccoli devono ancora crescere, e le variabili sono molte.
    Sono andato a ricontrollare come hai taggato il post, ed ho trovata equilibrata la scelta fatta, ma avrei trovata più puntuale quella di “Nord Est”.
    Perché in questa tua misantropia strisciante si legge in trasparenza il tuo rapporto conflittuale con la tua terra, che ti sembra “una cagna in mezzo ai maiali” per dirla con De Gregori, dove terremoti e alluvioni sembrano aver demolito e lavato via i sentimenti a favore della ricchezza.
    Il futuro, per fortuna, deve essere ancora scritto, e la ricciolina potresti ritrovartela in Mercedes tra pochi anni, e l’anoressica ingrasata alla cassa di un bar. Un caro saluto.

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  8. Da ex studentessa di istituto tecnico ci son rimasta male, perchè ho ritrovato la gehttizzazione a cui sono stata sottoposta (specia dai professori) al mio arrivo all’Università.
    Francamente questa esemplificazione fatta da te mi sorprende alquanto.

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  9. @->Phoebe: Non è che tutti gli studenti degli istituti tecnici siano uguali, e non volevo dire questo. Descrivevo semplicemente una scena di treno in cui i pregiudizi sociali e l’osservazione portavano a notare come alcuni ruoli paiono presabiliti a priori. Poi, per fortuna, magari nella vita i pregiudizi non vengono confermati.

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  10. Ma io tifo perché la ricciolina si possa comperare la Mercedes!! Anzi, a dire il vero, spero che faccia perdere la testa al bello del liceo, lo faccia rendere ridicolo e poi lo pianti alla stragrande. L’anoressica? No, lei non finirà mai alla cassa di un bar: è di quelle che sposano il proprietario e poi passano la vita a rinfacciargli di non essere dottore…

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  11. @->Overseasl: Ma no, non sono un mondo a parte. Sono ragazzi, e spesso sono adorabili, come tutti i ragazzi. Però è vero che alcuni hanno un orgoglio preoccupante nell’essere grezzi. Una volta era una sorta di puntiglio per non essere “fighetti” come i liceali, ed era simpatico. Ora li vedo spesso incattiviti e basta. Del resto, sono una generazione che ha perso la speranza che la scuola serva ad ottenere una promozione sociale: se odiano la cultura e la pensano inutile non si può dare loro torto.

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  12. Vedi,ad inziare a leggere La Stampa al liceo.
    Senonchè nel mio – di liceo- chi si rompeva di giocare a carte diceva “visto che non c’è Il Giornale o la Gazzatta passa qui La Stampa,va’”.
    ;D
    Inchino e baciamano.
    Ghino La Ganga

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