
Come si entri nel mito è un fenomeno strano. Una volta entrati, c’è da dire, è difficilissimo uscirne. Ci sono donne che lo meriterebbero, e fanno invece una gran fatica ad essere ricordate. E altre che, quando poi vai a sfruculiare la loro biografia, ti rendi conto che nel mito ci stanno da sempre, ma, in fondo, non è ben chiaro il motivo.
Ecco, io, per esempio, mi sono sempre chiesta il perché del mito di Sissi. Al secolo Elisabetta di Baviera, imperatrice d’Austria e regina di Ungheria. Moglie di Francesco Giuseppe, che per gli Austriaci sarà anche un sovrano da ricordare come ultimo imperatore, ma per noi Italiani dovrebbe essere il Cecco Beppe che ci ha ammazzato nonni, bisnonni e trisavoli in tutte le Guerre d’Indipendenza, Grande Guerra mondiale compresa, e fu uno dei peggiori tiranni reazionari che la storia rammenti; madre di Rodolfo, esangue principe mai salito al trono e morto (forse) suicida, a Mayerling: un tizio che potrà essere contornato da un alone romantico molto chic, ma in sostanza non ha fatto null’altro, per la Storia, che morire.
Ci sono regine che hanno rivoluzionato imperi, cambiato società; che han dato scossoni alla loro epoca, protetto artisti, rivoluzionato la letteratura. Ce ne sono state altre che, magari nel male, sono state grandi. Sui troni ci sono state Elisabette I, Marie Tesere, Cleopatre, Livie, Caterine di Russia, Marie Antoniette, Giuseppine. Che queste entrino nel mito, signori miei, lo capisco: erano donne di carattere, dotate di una prorompente personalità: con le loro scelte e persino i loro capricci hanno contraddistinto un’era.
Sissi, vabbe’, era bella. D’accordo, arriva al trono come in una favola, coll’imperatore che viene precettato da mamma perché deve decidere a sposarsi, e sempre mamma chiama zia perché porti a palazzo la figlia, Elena. Ma la zia, già che si deve muovere, si trascina dietro anche la sorellina minore di Elena, Sissi, appunto, che ha sedici anni e da giorni non mangia perché, sventatella, s’è presa una cotta per lo stalliere di casa. Cecco Beppe vede la cugina Elena, vede Sissi, e decide che preferisce frequentare le minorenni: gli imperatori, si sa, per la carne fresca han sempre avuto un certo gusto.
C’è chi vede in ciò l’apoteosi del romanticismo, la versione asburgica del ballo di Cenerentola. Io ci vedo al massimo una normale storiella che, oggi come oggi, avrebbe per scena una qualsiasi discoteca: lui professionista giovane e di successo, di quelli che manco devono chiedere mai, perché la risposta è sempre un sì a priori, lei teenager annoiata dalle idee non chiarissime, come è più che giustificato a quell’età. Lui s’incapriccia e perde la testa, ma essendo l’imperatore, e lei comunque gran duchessa e sua cugina, non può semplicemente portarsela in un castelletto appartato per un fine settimana di passione e poi tanti saluti: c’è mamma che guarda, la zia di vedetta. Poi, ammettiamolo: l’imperatore che imperatore è se non si può prendere come proprietà personale un bell’oggettino così, tanto decorativo? Era bella, Sissi, non c’è dubbio, di quella bellezza algida ed un po’ inutile che pare nata apposta per far da soprammobile su un trono: molto fine, molto elegante, col tocco giusto di apparente melanconia che, guardata di primo acchito e con distrazione, lascia sospettare ci sia dietro chissà quale intelligenza repressa. Ma poi, ‘sta intelligenza, quando la cerchi, non capisci bene dove sia nascosta. Dicono: ebbe successo quando accompagnò Francesco Giuseppe nei suoi viaggi. E ci mancherebbe: era giovane, graziosa, e tutto ciò che deve fare una regina in visita ufficiale è sorridere alla folla, sventolando la manina a comando. Dicono, vabbe’, ma stava simpatica agli Ungheresi e fece opera di mediazione. Mah. Al massimo si limitò ad invitarli ad un paio di balli a corte, e gli inviti non li spedì di certo lei: mostrò il suo bel faccino quando i conti magiari vennero in visita, e riuscì ad essere meno cafona nel riceverli del marito e della spocchiossissima suocera: se questa è alta diplomazia, a far la diplomatica qualsiasi casalinga al pranzo di Natale è meglio. Dicono: era simpatica al popolo. Il popolo, si fa graziosamente presente, trova simpatica anche qualsiasi slavatina stia per tre giorni dentro alla casa del Grande Fratello. Tanto per dire, eh.
Fatto sta che, diventata imperatrice, tutta ‘sta gran abilità nel comportarsi da regina non si vide. A corte era insofferente alle regole, ma non risulta poi che abbia avuto il plateale coraggio di ribellarsi ad alcunché. Non erano tempi? Può darsi, ma lei si limitò, in buona sostanza, a piantare il muso. Poi, con la scusa della cattiva salute, decise di darsi ai viaggi, facendosi costruire una villa in Grecia, che, peraltro, solo perché l’ha costruita Sissi non viene definita un orrore: più che un omaggio alla classicità ha il cattivo gusto di una bomboniera comprata in un mercatino tirolese. Se questo era il tanto decantato senso estetico dell’imperatrice, Nonna Felicita poteva candidarsi come curatrice del Moma.
Come moglie, lasciamo perdere. Il grande amore si rivelò ben presto quello che era: una cotta. Non ci fosse stato di mezzo un impero e una famiglia di re cattolicissimi, sarebbe finito presto con un bel divorzio consensuale, senza clamori e senza pathos aggiunto. Francesco Giuseppe si accasò discretamente con una attrice. Continuava a sostenere di amarla, quella moglie che non c’era mai e quando c’era faceva di tutto per ridurre al minimo ogni contatto, persino sociale. Forse ne era in un certo senso affascinato, scambiando questo suo rifiutarsi a lui per “forza di carattere”. Sissi, invece, era più che altro una di quelle donne che hanno sempre mal di testa, e quando non ce l’hanno se lo fanno venire, per sottolineare di possederne una. Il suo personaggio era quello, ormai, della regina tragica, cui la sorte ha tarpato le ali, impedendole di essere ciò che avrebbe potuto. Ma questa potenzialità è tanto vaga, da non capire mai come si sarebbe concretizzata anche se il destino non le avesse congiurato contro.
Scriveva poesie, sottolineano i suoi ammiratori: sì, be’, come tutte le signorine bene dell’Ottocento. Nei suoi diari esprimeva vaghi sentimenti di compassione nei confronti del popolo in miseria. Immagino si sarà commossa anche per cagnolini azzoppati e i pulcini di tortorella caduti fuori dal nido. Per farne una intellettuale aperta al pensiero rivoluzionario un po’ pochino, suvvia.
Soffrì? Certo, più che altro, però, di nervi e di insoddisfazione. Si massacrò di diete perché terrorizzata dall’idea di invecchiare. Non esistendo all’epoca il lifting e il silicone, dovette accontentarsi di far velare gli specchi. Dei figli si curò in modo alterno: non che non gli volesse bene, ma per seguirli davvero avrebbe dovuto uscire dal copione che s’era creata. Sissi, in fondo, credo che riuscisse ad amare gli altri, sì, ma solo nei ritagli di tempo che il suo personaggio le lasciava. Il suo mito prese corpo grazie alla sua assenza: quando non ci sei e non dici nulla, in quel silenzio tutti ci possono leggere quello che più aggrada loro; non importa se poi, verificando, si ha il sospetto che il silenzio sia solo dovuto all’incapacità di parlare davvero.
Perse un figlio, cui era morbosamente legata. Forse perché erano uguali, due anime incompiute che non sapevano concretizzare mai alcunché. Il loro fascino, in fondo, si basava sulla loro incredibile bravura a rendersi infelici da soli e attribuirne agli altri la colpa. A farsi credere da tutti superiori perché inadatti al mondo, mentre erano inadatti, sì, ma per la congenita incapacità ad adattarsi a qualcosa che non fosse una inutile aria tragica. La morte precoce e poco chiara del figlio le offrì il pretesto perfetto per indossare un eterno il lutto. Che si addice ad Elettra, ma a Sissi, ammettiamolo, molto di più. Non c’è nulla di più tragico che una madre orbata della prole, e nessuno migliore di Sissi per interpretare un simile ruolo.
Pure la morte fu complice del suo mito. Fu uccisa da un anarchico, pugnalata a morte. Ma per caso: era un anarchico pasticcione e un po’ mitomane, che manco aveva ben chiaro chi andava pugnalando, o perché. Fu il Fato a farla morire da eroina, così come il Fato l’aveva fatta diventare imperatrice. Fu il Caso, insomma, sempre, a farne un mito, per quelli che, per caso, ne vogliono trovare uno. E allora Sissi va bene, neh.
Quanto ci scommettiamo che se fosse morta da vecchia, nei suoi appartamenti, la massa non la conoscerebbe?
Eppure è andata così. E lo ammetto, anch’io ne subisco un po’ fascino… (come per tutti i creatori passati di ville pasticciose, devo dire)
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chissà perchè ti è venuta in mente proprio adesso, mi chiedevo dal post precedente…
😉
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Solo un piccolo appunto pedante: gli Austriaci non possono ricordare Cecco Beppe come il loro ultimo imperatore. Il marito di Sissi infatti morì due anni prima della fine della guerra mondiale e gli succedette il nipote col titolo di Carlo I.
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Io sono cresciuta con il mito di Sissi: le “sciure” milanesi lo passano alle nipotine, e l’altra meta’ della famiglia e’ trentina (quindi aveva gli italiani che sparavano contro di loro, che stavano solo difendendo il loro Kaiser). Crescendo ne sono uscita.
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esilarante pagina di storia contemporanea…..:)
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Un caso. E’ evidente… 😉
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Sì, tecnicamente furono Carlo e Zita gli ultimi imperatori. Ma se li ricorda nessuno? 🙂
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Con buona pace della povera Romy Schneider, bellissimo
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Dài, su, Carlo I non ha mai avuto alcuna chance.
Poi, io sarò anche italiana, ma i miei nonni erano austriaci, quindi devo dire che Franz (come viene chiamato ancora a casa nostra) mi sta simpatico. Aveva quell’aspetto da nonno bonario un po’ rincoglionito… Poi in realtà le cose erano un po’ diverse, ma sorvoliamo.
Però un paio di errori li hai fatti: Sissi imparò a parlare ungherese (cosa che solitamente a corte non si usava), e siccome la suocera le stava sempre tra i piedi per controllarla, lei decise di servire la causa ungherese (ovvero qualcosa che alla suocera non importava). poi nei fatti non concluse un granchè, se non la firma del marito su un paio di decreti per la libertà religiosa (bizzarro poi che il figlio rodolfo prendesse in giro gli ebrei)….
E tu dici “A corte era insofferente alle regole, ma non risulta poi che abbia avuto il plateale coraggio di ribellarsi ad alcunché”. In realtà Sissi si era fatta un bel tatuaggio sulla spalla (un’ancora) a Corfù, cosa che per l’imperatore fu “veramente una brutta sorpresa”, beveva birra ai pranzi ufficiali dal boccale di un litro, e spesso si sciacquava la dentiera a tavola. Cosa che solitamente veniva giudicata quantomeno discutibile. Fumava in carrozza (probabilmente per far incazzare la suocera) e anche questo era molto poco carino, di quei tempi…
Per il resto, la sua unica fortuna fu quella di morire relativamente giovane, su questo concordo con te. Mi chiedo spesso perchè abbiamo una sua statua, in città…
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Bè, Carlo un po’ se lo ricordano, è stato perfino beatificato (poi ci sono i suoi tentativi di riprendere almeno la corona ungherese, negli anni Venti).
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Il boccale da un litro (ein maß Bier) e’ la misura standard della birra in Baviera.
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Quello del tatuaggio era un particolare che non conoscevo. Fa tanto tamarra di periferia, però. Il paragone con Lady D viene sempre meglio. E pure quella mi stava simpatica un’ostrega, a dire il vero… 🙂
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scusa, Galatea
ma trovo il post piuttosto superficiale, non in linea con quello che hai sempre scritto.
punto uno: per cominciare nessuna persona che abbia un po’ di dimestichezza minima con la storiografia dell’Impero Asburgico potrebbe con criterio definire Francesco Giuseppe “uno dei peggiori tiranni reazionari”. a giro c’erano teste coronate mille volte più efferate nella repressione e ottuse nella pratica di governo. in proporzione fu assai più tirannico Napoleone III che con un colpo di stato cancellò la Repubblica in Francia, e agì da vero despota, mentre Francesco Giuseppe ebbe sempre un rispetto non solamente formale delle istituzioni.
e che questo giudizio così “tranciante” e infondato venga da un’insegnante come te, scusa, mi mette un po’ in ansia. si vede che credi ancora a troppi libri di testo scritti male e ancora costruiti sulla propaganda sabauda, quei libri di testo che si stracciano dal dolore nel narrare le sofferenze di un Silvio Pellico in mano alla giustizia asburgica e non dicono una parola su un Passanante (per dire) che venne trattato in un modo diecimila volte più inumano – famiglia inclusa, fatta rinchiudere a forza in manicomio criminale – dalla giustizia sabauda (o sulla repressione che i garibaldini condussero allegramente sulla pelle dei contadini meridionali).
in realtà l’Impero asburgico è stato una costruzione molto contraddittoria, divisa fra aperture e chiusure, fra progressismo e una certa propensione all’immobilismo conservatore.
punto due: di sicuro nel mito di Sissi c’è più romanticismo che sostanza, ma non si dovrebbe dimenticare che ella fu una donna molto energica, capace di un pensiero autonomo e originale, nei limiti dell’etichetta di corte. anche se a ben vedere la Regina Elisabetta II pare altrettanto ingessata e sta arrivando al 2009….
quello che ha fatto entrare gli Asburgo nel mito è stata la (relativa) tragicità delle loro pur più che benestanti esistenze. certo, nulla di paragonabile alla vita dei minatori inglesi o dei carusi siciliani…. però la follia dei Wittelsbach (da cui Sissi proveniva), la fine del cugino Ludwig II, la tregedia di Mayerling e l’attentato di Sarayevo gettano una luce malinconica su queste figure.
se vogliamo capire la monarchia asburgica dovremmo sempre considerare che è stata un tentativo, non sempre riuscito, ma generalmente valido, considerati i tempi, di realizzare una Europa fondata su un sentire comune e su una convivenza civile fra etnie differenti, oscillante fra miopie conservatrici, più forti nei primi anni di regno di “Cecco Beppe”, e caute riforme più rilevanti negli anni successivi.
punto 3. i veri boia che hanno mandato al macello nonni e bisnonni sono stati piuttosto il re Vittorio Emanuele II, lo stato maggiore italiano e quell’incapace di Cadorna per due semplici motivi: potevano scegliere la neutralità come la maggioranza degli Italiani voleva, hanno onvece scelto di tradire degli alleati e entrare in guerra; poi hanno per anni condotto tattiche suicide dimostratesi fallimentari dopo le prime battaglie sul fronte alpino. ci volle Caporetto per convincere il comando a licenziare Cadorna, autore di decimazioni e repressioni spaventose (ma noi stiamo ancora a frignare su Cesare Battisti), oltre che di massacri di massa spacciati per vittorie e mancati aiuti ai prigionieri di guerra italiani in Austria perché considerati troppo vigliacchi in quanto caduti nelle mani del nemico.
Ti bastino le trascrizioni delle sedute (secretate) del governo italiano:
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Nel 1917, dopo la catastrofe di Caporetto, viene istituito in Parlamento un Comitato segreto sulla condotta della guerra (i cui lavori vennero però resi noti solo nel 1919); ecco alcuni flash dai verbali di quelle sedute. 29 giugno, intervento del deputato Giuseppe Emanuele Modigliani (socialista): «Il gen. Cadorna è in arretrato di un secolo, anche nel modo con il quale s’intende da lui mantenere la disciplina militare, cioè col terrorismo e le fucilazioni per sorteggio e le decimazioni». 1 dicembre 1917, dall’intervento del deputato Michele Gortani (cattolico): «Perché si è permesso che il gen. Cadorna instaurasse e mantenesse per due anni e mezzo nell’esercito il regime del terrore?». 17 dicembre 1917, dall’intervento del deputato Marcello Soleri (liberale giolittiano): «…Quando si è punito con la decimazione chi non ha peccato, nessuna impunità può concedersi».
Ma nessuno, né il Parlamento né il governo, riuscirono a fermare la mano di quel Comando supremo con a capo Cadorna che, secondo il giudizio lapidario che ne ebbe a dare Vittorio Emanuele Orlando, «ammazza troppi soldati e troppo in fretta».
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ma il boia per te sarebbe Cecco Beppe.
mi spiace ma non sono per nulla d’accordo con te.
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mi è “saltato” il III sull’ordinale del re.
se volete leggerne di “belle” sul conto dei vertici del Regio Esercito:
http://sitoaurora.splinder.com/post/18872368/Cadorna,+il+fucilatore+di+sold
ciao a tutti.
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Quello del tatuaggio era un particolare che non conoscevo. Fa tanto tamarra di periferia, però.
Insomma…no. La tamarra di periferia esibisce il tatuaggio, che è un segno di conformismo. Per Sissi era un segno elitario, tendenzialmente segreto e romantico, di una che immaginava di condividere l’ esperienza dei grandi viaggiatori.
Al tempo, a tatuarsi, in Europa, erano prevalentemente tre gruppi di persone: i carcerati, i marinai e i nobili.
I nobili l’ hanno sempre fatto come segno di distinzione, almeno dall’ epoca della diffusione dei costumi di un’ aristocrazia guerriera, come quella longobarda o franca. Poi esistevano tatuaggi commemorativi di pellegrinaggi -ma erano un fenomeno poco rilevante numericamente- e gli ovvi tatuaggi solipsistici da reclusione o da “viaggio”.
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