Marianna deve andare all’opera. Dico deve, perché i suoi genitori hanno deciso di acculturarla, preoccupati a vederla sempre con nelle orecchie le cuffie dell’ipod e giù di Britney Spears. Gliel’hanno detto, che ci deve andare, come le dicono che deve andare dal dentista a mettersi l’apparecchio, e lei con lo stesso spirito ci si appresta: con l’entusiasmo di chi va al patibolo, o per lo meno ad una seduta in sala torture. Così passa da me, dalla zia putativa, con un muso lungo che tocca i ginocchi.
“Mi portano a vedere Rigoletto.” dice depressa, incrocia le braccia sotto il mento e con lo sguardo, in giro, bazzica la mia collezione di cd di melodramma, occhiandoli come se ogni dischetto fosse un suo nemico personale. Quando viene da me, di solito, si frega mp3 di Madonna e George Michael, Christina Aguillera, Duffy, gli Articolo31. Non capisce proprio come possa piacere l’opera ad una che, per il resto, dimostra, in fatto di musica, ottimi gusti.
Se c’è qualcosa che apprezzo della mia infanzia è il fatto che i miei genitori non hanno fatto niente perché diventassi colta. Mi hanno lasciato razzolare per casa così, come capita capita, senza curarsene troppo o darsi degli obiettivi. C’erano i libri, lasciati a portata di mano senza controllo alcuno, c’erano le conversazioni, orecchiabili liberamente; ecco, di dischi ce n’erano pochini, ai miei la musica non piace granché: più che altro venivo lasciata parcheggiata davanti alla tv, se volevo ascoltare qualcosa, e il qualcosa era il più delle volte lo Zecchino d’Oro. Musica classica, a casa mia, non se ne ascoltava: i miei erano stati tirati su in famiglie che gliela avevano imposta come parte doverosa dell’educazione, con il bel risultato che al sentire il trillo di un soprano tutt’oggi gli si intorcola lo stomaco: le sanno tutte a memoria, le arie, con le parole giuste e nota per nota, ma al solo intuirne accennare una scappano via. Per cui la musica è stata una scoperta tutta mia.
Me la ricordo ancora, perfettamente, la prima volta che ho sentito cantare l’opera. Avrò avuto cinque anni, se li avevo: era una domenica pomeriggio, lo so perché guardavamo Domenica In. Ad un certo punto Pippo Baudo ha annunciato che sarebbe andato in onda un film, credo di Zeffirelli, La Traviata. Mia zia, lesta lesta, si è avvicinata allo schermo – non c’erano i telecomandi al tempo – per spegnerlo, perché allora c’era credo un canale solo, quindi cambiare non era possibile.
“Nooo! Ci sono i bei vestiti!” ho detto io, perché la prima immagine era una signora mora con addosso una meravigliosa crinolina blu, tutta a balze.
“Ma guarda che è noioso, cantano!” ha replicato la zia, preoccupata.
Niente da fare: “Voglio vederlo!” ho quasi gridato, e mi sono piazzata di fronte alla tv, con le sopracciglia aggrottate e un broncio combattivo che non lasciava presagire nulla di buono, come a dire: “Provatici a schiodarmi da qui, se credi!”.
Zia non ha fatto neanche l’atto di tentare, conoscendo il mio caratterino e convinta com’era che, al primo entro dell’orchestra, me la sarei data a gambe per conto mio. Invece no, sono rimasta ipnotizzata, manco mi avessero tolto il fiato di botto. Di quello che cantavano non capivo una cippa, è ovvio, ma la musica, la musica, era una cosa che non potevi smettere di ascoltare: era bella, bella, bella, ma proprio bella, come la signora che cantava, e io una voce così non l’avevo sentita mai: pareva venire giù direttamente dal Paradiso, perfetta, eppure anche così calda: anche se non si capiva cosa dicesse, ero in grado di intuire subito quando era felice, e quando triste, e che quel Germont lì doveva mica essere simpatico, se la trattava male così.
Non sono mai diventata una melomane, e nemmeno una esperta d’opera, me ne mancano le conoscenze tecniche: non ho studiato musica seriamente, so leggere a stento un pentagramma, non so di preciso cosa sia una coloritura, un fraseggio; quando sento chi ne sa confrontare le varie versioni di un’aria, discettare con competenza sui pregi dell’interpretazione ed individuarne i difetti sto in silenzio e non metto bocca, perché non è roba mia. Ascolto l’opera come altri possono andare al cinema o al Luna Park, cioè per divertimento puro, che non vuol dire per ridere, ma per essere travolti da quello che cantano. Ecco, forse il termine giusto è che io l’opera non la ascolto, la sento, come qualcosa che vibra dentro anche se non sai esattamente spiegare dove, o perché.
Quando Violetta Valery canta Libiamo, brindo con lei, e quando poi la sento singhiozzare disperata sull’ultima lettera del mancato suocero: “E’ tardi, è tardi!”, be’ io sono lì che a momenti piango io pure, e l’istinto sarebbe montare sul palco e prendere Alfredo a calci in culo, ma non per salvarle la vita, eh, solo per chiarirgli quanto è cretino. Se Leonora intona Tacea la notte placida mi sdilinquo, non parliamo poi di o mio Babbino Caro del Gianni Schicchi, la cosa più bella che abbiano mai composto, a parer mio; tifo per Tosca smaccatamente, ché quando zompa da Castel Sant’Angelo quasi quasi mi vien da dire: “Tiè!” ai Gendarmi, e a tutto il Potere Costituito, anche se proprio non capisco mai cosa ci trovasse in quel Cavaradossi lì, che come pittore m’è sempre sembrato una ciofeca, e come eroe un mona, si fa sgamare in un un niente, quasi quasi è meglio Scarpia, che ha il fascino del Male e poi, come baritono, di solito è pure meno cicciotello…
Ma adoro anche le smagate protagoniste mozartiane, le Zerbine che son le uniche a pigliar per il sedere persino i Don Giovanni, perché, da furbe contadinotte, san bene che un amante nobile passa, ma l’importante è tenersi poi sempre di riserva un marito bifolco; le Susanne fedeli ma non stupidotte, degne mogli dei Figaro; le Fiordiligi e le Dorabelle che si scambiano i morosi, seguendo i consigli di una servetta scaltra, perché apprendono che, al di là di tutte le pretese virtù, in fin dei conti sia gli uomini che le donne son poi tutti uguali, e uno vale l’altro, via. E mi piacciono, sì, mi piacciono alla follia gli spadoni di cartapesta del Trovatore, che per essere maneggiati da Manrico devono essere smaccatamente falsi, patacconi da scena sventolati come nei vecchi film di cappa e spada, perché il Trovatore è così, un giocattolone in cui il coro si muove come la cavalleria negli western, e a Manrico gli perdoni persino la congenita monaggine e il preoccupante mammismo perché ti rendi conto che è un personaggio romantico fatto e finito, compiutamente popolare e, grazie a Dio, pensato per aver in sottofondo una bella orchestra piena, non Edipo ed il suo complesso. Mi piacciono, uh se mi piacciono, i Rigoletti e le Gilde, anche se non riesco mai a trovare alla fin fine antipatico il povero Duca di Mantova, perché a me gli impenitenti mascalzoni han sempre fatto sangue, persino quando non sono più scattanti paggi del duca di Norfòlk ma, appesantitisi per l’età, come Falstaff non possono far altro che rammentare con grazia la smilza giovinezza gaudente. Mi piace Verdi, che è come la pastasciutta: semplice ma allo stesso tempo incredibilmente raffinata, tanto che la puoi servire dove ti pare, in versione extralusso da ristorante chic o nello stand gastronomico della fiera di paese, ed è sempre buona. Ma poi perdo la testa per Puccini, e Leoncavallo, e Bizet; e se Wagner, lo confesso, invece mi lascia freddina, mi faccio proprio prendere dall’entusiasmo per Gluck, e ancor meglio per Haendel, il cui Aci e Galatea è persino all’origine del mio nick.
Cerco di spiegargliela così, a Marianna, l’opera, come un film in tecnicolor, come un grande gioco per tutti, non una esangue ed intellettuale messa in scena per colti e raffinati esperti dal sorriso congelato in smorfia di sufficienza. Sì, lo so, sbaglio, non le faccio cogliere magari le finezze, taglio via con l’accetta, farei inorridire i veri intenditori. Ma i Micheli non sono a portata d’orecchio, stanno dando pareri sulla tecnica per le cabalette altrove, o decodificano bicchieri di whiskey, e se io svacco anche un po’ nessuno mi sgrida. Così, invece di presentargliela come una penitenza o un dovuto ma forzoso omaggio alla cultura che si deve immagazzinare per far figura in società, gliela racconto come pare a me, l’opera, e mentre le spiego la trama e illustro l’evolversi della complicata vicenda fra Gilda, Maddalena, la contessa di Ceprano e i vari cornuti che il Duca dissemina allegramente nel corso di tre atti, le faccio sentire i mozziconi d’arie, il Ca-ro-no-me-chel-mio-còr che cambia come una cartina di tornasole a seconda di chi lo intona, perché con la Sutherland è proprio il sospiro di una sedicenne persa nel primo amore, trillante e zuccheroso, e cantato dalla Callas è invece una cosa che già senti piena di passione pericolosa, un t’amo e sono capace di ammazzarmi, che, per quanto dolce, avverti un brivido e capisci già che va a finir male.
Marianna ascolta, ed è già tanto. Il broncio non sparisce, ma almeno diventa più dubitoso. Alla fine mi chiede, molto perplessa ma possibilista: “Ma tu dici che mi diverto, anche?”
Sì, Marianna. Anche sì.
PS: Quasi quasi, dopo il successo con la nipotina, inauguro una sezione di Badilate di Cultura dedicata all’opera. Non da esperta, eh. Diciamo “Opera for dummies”. I veri esperti non mi massacrino: sono invitati a collaborare, ovviamente. 🙂
Anche se i contenuti dei libretti d’epoca non sono differenti dalle soap opera moderne, credo sia rischioso lasciare la speranza ad un’adolescente di potersi divertire ascoltando il Rigoletto.
Tali composizioni non sono state create per i giovani, e dubito che si possa “acculturare” una mela verde con Verdi o Puccini.
Ogni spettacolo ha la sua platea e la cultura è ben altro.
Quella sera regalale un “bigino” da ripassare per le eventuali domande dei genitori, e correte assieme al concerto degli U2. 🙂
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Oddio, però io adolescente ero quando ho cominciato ad ascoltarli…a dire il vero io ho ascoltato prima Verdi e Puccini, e poi gli U2…vabbe’, sarò stata anche una adolescente problematica, però….
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Ah, ecco. 😛
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“Adolescente problematica”
Una tautologia, direi 😀
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… adolescente problematica …
“Non ho avuto un’infanzia” e “La mia scuola è stata la strada” sono tipiche frasi da gangster cattivissimo nei film americani di serie B.
(e datti meno arie!) 😛
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Eh eh bravissima, è comunque meno pericoloso che con la musica folk. Lì sì che è un lavoro da duri! Altro che le spade di cartapesta, lì la materia prima sono infanticide (alla forca o alle tanaglie), veleni, mani lavate col sangue (però dopo ci posa su un bel fior!)…
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So di dare una delusione a Sua Signoria la Ninfa.
Lo so.
Quando,nell’estate 1980, i miei genitori ed altra vagonata di parenti decisero che, se non vedevi L’Aida all’arena di Verona,non eri degno di ricevere una carta d’identità di questo paese, e unitamente agli zii condussero me,sorella,cugine e cugini tutti nel predetto luogo,io e i miei congiunti coetanei quindicenni ci sentimmo malissimo.
Quando però, dopo circa mezz’ora da inizio spettacolo,iniziò un diluvio della madonna e l’opera fu interrotta,io e il cugino a fianco ci demmo uno di quei cinque, che solo chi ha fatto un gol al novantesimo sa dare.
Mio cugino poi esagerò un po’,ululando nel passare a palmo aperto nella fila su quelli aperti di sorelle e cugine varie, sì da beccarsi un palmo aperto di mia zia sulla testa.
Un’altra chiara manifestazione del divino, che ancora oggi ricordiamo sebbene,fra tutti, non crediamo granchè, fu il veder transitare l’allora ministro Donat Cattin bestemmiante,dacchè privo di ombrello.
Ombrelli che invece noi avevamo:perchè,sotto sotto,anche mio padre gufava, quel franco tiratore.
Inchino e baciamano.
;D
Ghino La Ganga
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grazie per aver tentato di avvicinare qualcuno ad un genere che, a leggere i commenti, incontra veramente poca fortuna… è vero che “ogni spettacolo ha la sua platea e la cultura è ben altro”, ma le platee vedono continuamente trasmigrare spettatori attraverso i più vari generi e forse l’opera una briciolina di spazio nella formazione di una cultura (rigorosamente con la c minuscola) lo può ancora trovare…
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Temo che l’opera annoi tutti i giovanissimi, fa ancora più danno se le due ore di gorgeggi sono una costrizione.
Quando la signorina diventerà signorona scoprirà quell’universo, nel frattempo consiglio un buon libro, va bene anche un Harry Potter.
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Oddio,delusione fino ad un certo punto. Di tutte le opere l’Aida è quella che mi piace meno:non sono mai riuscita a sentirla tutta, è un mattonazzo…all’Arena, ci sono andata una volta soltanto, ad una prima in grande spolvero, scortata da un corteggiatore che era anche critico musicale e ammanicatissimo, per cui aveva i posti vip prenotati. Davano la Cavalleria Rusticana e i Pagliacci: è stato uno spasso! Oltre all’opera il contorno era interessantissimo: signore con vestito paralume firmatissimo (mentre io m’ero presentanta con un affarino rimediato in una botteguccia di Spinola…), altoparlanti che annunciavano la presenza fra il pubblico nientepopodimenoche Giovanni Rana (azz!), cenone sotto la Loggia, la Marzotto con vestaglia adornata di monetine luccicanti che rideva con trilli da far concorrenza ai soprani, tutta la troupe di Sky che sdottorava sugli allestimenti precendenti mentre io stavo zitta zitta per non farmi sgamare che non ne avevo visto nemmeno uno.. la cosa più esilarante: la fine dei Pagliacci con Josè Cura che esce di scena correndo attraverso la platea e si scontra con uno spettatore che s’era già alzato e cercava di guadagnare l’uscita alla chetichella…ok, non divertente come Donat Cattin che smadonna, concordo, però valeva comunque la pena… 🙂
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Anni fa viaggiavo molto in treno e ho incontrato una volta una giovane ragazza dark-punk (stesso look della protagonista di uomini che odiano le donne, per capirci) con le cuffiette nelle orecchie che ascoltava non acid-techno-o-roba-del-genere ma opera lirica e sostenne agli stupiti compagni di viaggio non solo che ne andava pazza ma che secondo lei è un genere che piace ai giovani. Non ci raccontò come l’aveva scoperta ma centrò subito la questione: l’opera è teatro, è uno spettacolo in cui si racconta una storia, e -come sostiene Pennac nel suo famoso e delizioso (libro di pedagogia a mio avviso) “Come un romanzo”- in realtà siamo tutti curiosi di sapere come andrà a finire… Anfdare a teatro a vedere l’opera o vederla attraverso i vecchi film da tre citati è tutt’altra cosa che ascoltare… è uno spettacolo, può anche non piacere, ma non serve conoscere la trama, il codice non verbale aiuta a comprendere il senso di ciò che avviene, e non importa se non si segue tutto e non si coglie tutto…. Qualcosa passa quando si ascolta la musica dal vivo: in fondo l’opera è ancora quella che “si tira dietro” il pubblico che a volte compartecipa canticchiando insieme ai cantanti i brani più famosi (certo non si fa a squarciagola come nei concerti dei cantanti da stadio perché non è richiesta questa comparteciazione, ma in qualche modo c’è… E poi di opera siamo infariti ancora: sai quante pubblicità usano le musiche d’opera o i suoi stilemi? Certo i commenti negativi puntano sul fatto che la povera ragazza è costretta dai genitori: non lo vorremmo mai, ma a volte le costrizioni sono delle opportunità, anche se come principio non è molto popolare… io trovo che questo racconto (sono racconti, no? sembra che i tuoi lettori dimentichino troppo spesso questa cosa…!!!) sia un ottima occasione per cliccare sui link e guardarsi qualche filmato da you tube: può essere un’oppotunità anche per noi! Questo per incoraggiarti ad aprire la tua rubrica sul raccontare l’opera a modo tuo. le tue badilate son sempre state apprezzate, avranno la sua parte di pubblico anche in questo settore non temere!
Baciotti- scusate la lunghezza
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Harry Potter lo leggiamo assieme, io e la nipotina. Harry Potter a me piace da matti! 😛
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le costrizioni usate cum grano salis sono parte essenziale del processo educativo… l’opera non esclude Harry Potter (il miglior romanzo di formazione di questo scorcio di millennio) o passione per altri ascolti… in Italia i giovani all’opera e ai concerti non sono molti poiché in fatto di musica siamo di una ignoranza abissale e non è questa la sede per le solite analisi o paragoni che fanno apparire esterofilo chi affronta l’argomento… quello che mi lascia perplesso è il tono di aut aut; o la lirica o la techno, o la classica o il pop… ma un po di filosofia dell’et et…
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