“Ma vieni con noi sull’Isola, ad Agosto, vero?”
Per Rossana l’isola è l’Isola, senza bisogno di altre specifiche. Difficile, in effetti, immaginare un posto più isolato, o più isolano, fatto d’acqua, attorno, di un blu quasi viola, scuro come il fondo del vino nel bicchiere, e di verde selvaggio a macchie, puntellate da spari di fiori psichedelici, sfacciati come tutte le cose che nascono fuori dalle regole: gialli, fucsia, azzurri, si mischiano al brullo del terreno scuro. Quando sbarchi al molo, dopo aver corso il mare che la separa dal Continente, hai il sospetto che nella traversata tu abbia varcato un confine che non è solo dello spazio, ma del tempo: l’isola è l’Isola.
Per arrivarci, però, bisogna prima lasciare il mondo reale. E quella, obiettivamente, è la vera avventura.
L’organizzazione del viaggio è, come sempre, di Rossana: anche perché, se dovesse aspettare che riusciamo a combinare qualcosa di pratico Michele ed io, potremmo finire ovunque:
“Dunque – mi telefona due giorni prima – i biglietti li ho già fatti su internet, per tutti. Partiamo da Venezia alle 8.43, quindi tu puoi prendere il treno da Mestre una decina di nimuti dopo, e ci trovi già sopra… basta che guardi sul sito a che ora esatta arriva a Mestre…”
Sembra facile. Peccato che sul sito di Trenitalia non ci sia, a quell’ora, un Eurostar in partenza, almeno non da Venezia. Dopo una serie di controlli incrociati, e numerose telefonate fra me e Rossana, finiamo col capire che, per motivi noti solo al programmatore del sito delle Ferrovie, il treno Eurostar partente da Venezia alle ore 8.43 è lo stesso che viene segnato partente anche da Mestre alle 8.43: evidentemente i treni italiani non hanno il dono della puntualità, ma compensano con la capacità di essere ubiqui.
Alle 8,53, dunque, sono alla banchina della stazione di Mestre e il treno, incredibile, arriva davvero. Michele scende dal predellino e mi aiuta a issare la valigia, che poi è un trolley il più possibile leggero, perché nei miei viaggi di solito il peso maggiore sono i libri, ma stavolta, memore dei 350 scalini a piombo su cui bisogna inerpicarsi per arrivare a casa di Rossana, mi sono limitata ad un volumetto di Montalbano: perderò del tutto la fama di intellettuale, ma ci guadagnerò in fiato, neh.
Alle 8.55 sono incastrata nel sediolino dell’Eurostar – letteralmente incastrata, alzarmi richiede manovra specifica: contando che io sono una taglia 40 non ho mai capito come facciano a viaggiare decentemente quelli un po’ più rotondetti: si infilano dentro alla partenza e al momento dello sbarco devono prelevarli con una gru, suppongo – e converso amorevolmente con Rossana mentre il treno parte. Michele non c’è, ma la cosa non ci preoccupa: forse è andato un attimo in bagno prima di sedersi nuovamente… alle 8.57 il mio cellulare squilla. Strano, penso, a quest’ora della mattina, e di Luglio, gli amici hanno solitamente la buona creanza di non telefonare, soprattutto perché in genere sono a nanna pure loro…ma non è un amico qualsiasi, è Michele.
“Ho perso il treno…” afferma, col tono di chi non si capacita nemmeno ben lui di cosa stia dicendo.
“Hai perso cosa??”esclamiamo praticamente all’unisono Rossana ed io, e mai il coro di nessuna commedia di Aristofane è andato così perfettamente in sincrono.
“Il treno…sono sceso un attimo per fumare, sul marciapiede…stavo per buttar via la sigaretta, ma ho sentito il clang della porta che si chiudeva…ho fatto segno al capotreno, ho provato a rischiacciare il bottone, ma non si apriva più la porta..insomma, sono rimasto a terra, sono ancora a Mestre…”
Rossana, manageO che pare nata per organizzare e far fronte a qualsiasi imprevisto, non si perde nemmeno un momento in recriminazioni: piglia il mio cellulare e replica: “Ok, hai il portafoglio con te? Benissimo. Prendi un taxi e digli di andare subito a Padova. Forse ce la fai a pigliarci alla stazione, lì. Però è difficile. Io intanto cerco il capotreno e mi faccio dare l’orario di arrivo. Se con Padova vedo che i tempi sono troppo stretti, ti chiamo subito, tu dici al tassista di non uscire nemmeno dall’autostrada e di correre, invece, direttamente a Bologna; lì, se non trovate traffico, dovreste arrivare giusto in tempo…se però non ce la fate neanche lì, allora tramite il palmare chiedo al capotreno di trasferire il tuo biglietto sull’Eurostar successivo, e ci vediamo direttamente a Roma: lì abbiamo un’ora di lasco, quindi ce la facciamo sicuramente a ribeccarci.”
La guardo ammirata. Fosse capitato a qualunque altra donna, me compresa, assai probabilmente, lo avrebbe tenuto al telefono per tutto il viaggio con una geremiade infinta, sensa trovare l’ombra di una soluzione e lamentandosi invece del fatto che non si può perdere un treno in tal modo, e che no, e che non è possibile, e che caspita! Lei invece chiude il telefono tranquilla, senza aver fatto una piega, sorride e dice: “Speriamo bene, perché se non riesce a ripigliarci almeno a Roma, diventa un casino con l’aliscafo..”. Mi viene spontaneo pensare che una donna del genere può veramente fare la fortuna di un uomo: l’avesse avuta al suo seguito Napoleone, Rossana, la campagna di Russia col piffero che finiva a schifio.
Il viaggio fino a Bologna è così una specie di corsa contro il tempo, con continui ragguagli di Michele dal taxi, che s’informa se il treno nostro accumula qualche minuto di ritardo, e il treno che, unico caso delle Ferrovie italiche in tutta la loro centenaria storia, se n’è fatto un punto d’onore di spaccare il secondo, anzi, guadagnare addirittura qualche attimo in corsa. Ma siccome, come dicono a Genova, c’è un Dio per gli imbriachi, ed evidentemente oggi ha deciso di fare gli straordinari accordando la sua protezione anche ai tabagisti distratti, Michele riesce a salire al volo sul treno a Bologna, ci ricongiungiamo e, felici e contenti, ci dirigiamo verso l’Urbe sull’Eurostar in perfetto orario.
Arrivati a Termini, si pone il problema del pranzo. Che non sarebbe un problema in sé, nel senso che siamo tutti affamati come belve del Circo Massimo ai tempi delle persecuzioni dei Cristiani, e a Termini non puoi fare un passo senza imbatterti in qualcosa dove si può comprar da mangiare; no, il problema sta nel fatto che sia io che Rossana condividiamo, oltre ad alcuni simpatici lati del carattere, anche una antipatica propensione alle intolleranze alimentari: per cui io non posso mangiare nulla che contenga oli di semi, margarine, mais e pateracchi affini, e lei, invece, nulla che contenga glutine, o farina di grano, o latticini. Per cui, mentre Michele può affondare le fauci su un meraviglioso panino con speck, radicchio grigliato, gorgonzola e non so che altra delizia, noi due dobbiamo passare mezz’ora nell’esegesi delle etichette alla tavola calda, e finiamo con lo scoprire, desolate, che lei può prendere solo un’insalatona con aggiunta di mais e un po’ di prosciutto, e io una insalatina di carote scondite (nelle altre c’è olio di semi) per fortuna riscattata da una bella mozzarella di bufala da leccarsi i baffi, fresca come un gelato e morbida come panna appena munta.
Alle 13.20 siamo pronti per salire sul Regionale per Anzio. Il treno è una bocca d’inferno che vomita zaffate di calore, ma, ci diciamo con scanzonata allegria vacanziera, chissenefrega, in fondo non è manco un’ora di viaggio, si può resistere, via. Siamo appena montati con tutte le valigie e gli annessi e connessi, che sentiamo un sinistro plin-plon degli annunci: la signorina Velodico, che impersona l’eterno femmineo in tutte le stazioni, con voce suadente ci informa: a causa della presenza sui binari di manifestanti, i treni subiranno ritardi e/o saranno soppressi.
Ci guardiamo tutti e tre, e dall’espressione è ovvio che stiamo pensando all’unisono la stessa cosa, e cioè: oh cazzo! Il ritardo non sarebbe grave se non ci fosse il problema irrisolvibile dell’aliscafo. Per trovare i posti Rossana ha dovuto prenotarli con un mese di anticipo, quindi non c’è alternativa, ad Anzio bisogna arrivare in tempo.
“Prendiamo un taxi.” Dice Rossana,al solito senza fare una piega; e parte verso il piazzale, con uno slalom fra trolley, bivacchi di altri viaggiatori accaldati, zingari che chiedono l’elemosina, piccoli taccheggiatori che inveiscono contro poliziotti colpevoli di averli sorpresi a rubare una birra: la pittoresca fauna della Stazione. Qui contratta per qualche minuto con un tizio scuro come il carbone: Michele ed io guardiamo rapiti, perché, pur non avendo l’audio, il video è degno di un film neorealista: Rossana la Rossa, alta e pallida, inconfondibilmente nordica, sovrasta il tassista piccolo e abbronzato, e i due mettono in piedi tutto il campionario di gesti del suk arabo, tu dare soldi vedere cammello compreso. Dopo due minuti di scambio serrato, il tassista annuisce e prende il valigione di Rossana, lei ci fa cenno di avvicinarci: è il segnale, si va.
Il tassista, naturalmente, è un tassista abusivo: ci scorta verso una vecchia Escort – nel senso di autovettura – in cui però, ci annuncia, ha messo l’aria condizionata nuova di pacca; con il bel risultato che la povera macchina rantola e si spegne ad ogni semaforo, perché a sostenere il carico di energia necessaria a far fresco gna a fa’. Se l’auto non ventila, Calogero, il tassista, non ha invece alcun problema a ventilare la lingua: in quindici minuti sappiamo già che è calabrese, terzo di sette fratelli, sposato, con due figli, abita in una casa vicino al Vaticano, ha quarant’anni, la terza media, una sorella che fa l’insegnante, un nipote che studia lingue, due fratelli che vivono sui colli e uno zio che è prete vicino Ariccia: se tanto mi dà tanto, all’altezza dello svincolo per l’Appia conosceremo anche il numero di scarpe e l’intero albero genealogico fino al settimo grado. Quando scopre che sono laureata in storia, però, non si tiene, perché la Storia, dice, è una delle sue grandi passioni, e l’ha imparata per portare in giro i turisti. Ce ne vuole dare un saggio, spiegandoci che Anzio, dove siamo diretti, è un posto famoso, perché ci sono sbarcati i Nazisti durante l’ultima guerra, mentre S.Pietro, là dove abita lui, è proprio una bella chiesa, costruita tanti anni fa, nel 1500 avanti Cristo (probabilmente da un Miceneo che aveva avuto una premonizione, a questo punto…).
È simpatico Calogero, bisogna riconoscerlo: ci tiene a far sapere che lui a Roma ci abita da vent’anni, e la conosce a menadito. Ad ogni cantone che svolta, indica: “Ecco, quelle sono le terme di Caracalla!” Al terzo sbrego di muro attribuito a casaccio, non mi tengo più e dico: “No, veramente quello è solo un pezzo delle cinta aureliana, e là c’è una cisterna romana, ma dell’età di Diocleziano..”
Lui ci resta un po’ male, ma torna subito alla carica: “Però scommetto che non sa che è quella villa là in mezzo..”
“Dovrebbe essere quella di Alberto Sordi, se non mi sbaglio…”
A questo punto, tace, ammirato, perché datare ad occhio pietrisco romano vabbe’è una abilità da professorini, ma conoscere pure dove abitava Albertone è sintomo di una vera cultura superiore, neh.
Intanto si para davanti a noi quella poltiglia di macchine che è il Raccordo. Non si cammina. Tagliando allegramente la strada a qualsiasi cosa gli si pari accanto o dietro, Calogero svolta ad imboccare l’Appia, e ci scarrozza per le vie dei Castelli. Ogni volta che un camion tende a rallentargli la strada, Calogero lo supera con tecnica collaudata: al semaforo si porta a destra allegramente, poi, al momento di svoltare, si reimmette nella carreggiata collezionando clacsonate e gustose sequele di improperi dagli automobilisti dietro. All’ultimo incrocio anziate, passa avanti tutta la fila, e poi inchioda lasciandosi il semaforo completamente alle spalle: “Tanto quando bisogna partire lo vedo perché partono quelli di fronte – spiega – ma mica faccio come certi che partono e basta, eh. I semafori bisogna rispettarli!” puntualizza poi con tono da automobilista virtuoso.
C’è da non crederci, ma, nonostante tutte le congiure del Caso ai nostri danni, arriviamo ad Anzio giusto due minuti prima che l’aliscafo si stacchi dal molo. Rossana caccia in mano al volo al marinaio i biglietti e saliamo a bordo. A questo punto sia io che lei non ce la facciamo più, abbiamo urgentemente e disperatamente bisogno del bagno, ma per riuscire a far la pipì mentre l’aliscafo rolla e ondeggia ci vuole una abilità contorsionistica da ginnasta provetto, praticamente Yuri Chechi appeso agli anelli fa meno fatica.
Comunque, siamo in mare. Quello vero. Blu di un blu che pare ci abbiano rovesciato dentro il colorante. Di quel blu che sa di sale e ti dice: ti stai lasciando tutto alle spalle e davanti hai solo l’infinito. Di quel blu che ti prende allo stomaco, perché sai che non è una semplice vacanza, ma proprio un diverso modo di vita. Quando, dopo un’ora e mezza di nave, l’Isola appare, con i suoi spuntoni neri di roccia lavica eruttati dal ventre della terra e rimasti lì, a presidio dell’acqua, i cespugli testardi aggrappati ai sassi, le case dagli intonaci scrostati come se le crepe fossero esse stesse pittura, lo senti che sei arrivato in un Altrove che ha un tempo tutto suo, arcaico e lontano come lo sbattere della risacca sugli scogli o il suono del vento che plana sulle onde. E il paese delle meraviglie di Alice, in confronto, ti pare un posto anche un po’ banalotto, eh.
Delizioso racconto, bel mare, molto sudore per una buona causa!
Mi fermo solo sull’episodio del treno bloccato dai manifestanti… ecco, forse così si può capire cosa significa vivere a Roma, città in cui TUTTI vengono a manifestare e ciò costituisce ormai un evento “metereologico”, non controllabile, non prevedibile, sempre imprecabile!
buone vacanze, carissima :))
"Mi piace""Mi piace"
una vacanza nelle pontine è come una benedizione 🙂 buon mare!
"Mi piace""Mi piace"
Prova, se non l’hai già fatto, il forno/pasticceria piccino picciò sulla stradina bassa lungo il molo…yum yum!;)
"Mi piace""Mi piace"
Fighissimo il tuo blog!!! firmato Imma
"Mi piace""Mi piace"
leggere questo racconto mi ha fatto iniziare veramente bene la settimana (di lavoro). buona Isola! 🙂
"Mi piace""Mi piace"
buone vacanze, cara!
OT: a proposito di storia:
io sono appena rientrata da como, dove un tizio, saputo che ho questa passione, ha iniziato a illustrarmi la sua personalissima conoscenza dell’illuminismo e dei babilonesi (!).
solo dopo qualche frase che non mi tornava, ho capito che non parlava degli illuministi ma degli illuminati del libro di dan brown.
quando gliel’ho fatto notare, ha tranquillamente ammesso di non sapere la differenza. e pensa che pensava di abbordarmi! 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Ma come fai a scrivere cosi bene anche dalla spiaggia? è pieno di distrazioni. 😉
"Mi piace""Mi piace"