Il Marchese. Ovvero le vendicative magioni avite del Qualcheshire

lorenzetti

Il Marchese, tanto per cominciare, è un marchese vero. Con tanto di antenati ingrugnati che pendono dai muri di casa. Brutti gli antenati, orribili le antenate, e naturalmente brutto anche lui, ché il Dna è cosa democratica, dunque non fa eccezioni per le famiglie nobili. Siccome viviamo in tempi plebei senza rispetto alcuno per le antiche tradizioni, il Marchese, per vivere, non può fare il marchese. Cioè, non può fare il marchese e basta, giacché le case ed i muri delle case che fan da sostegno ai ritratti dei nobili ancorché orripilanti antenati, in quest’età miseranda, han la deplorevole tendenza a creparsi e cadere; perciò, per tenerli in piedi, il Marchese è dovuto scendere a patti con la modernità e trovarsi una professione. Quindi il Marchese, nella vita, fa lo psicanalista.

In quanto Marchese e vicino di proprietà, avrebbe già assai probabilmente tutti i titoli per far parte della piccola corte del Maestro; ma in quanto psicanalista ne ha ancor di più. Come psicoanalista junghiano indagante gli archetipi dell’inconscio, infatti, è assolutamente necessario alla Moglie del Maestro, che, dotata di un inconscio assai ingombrato di archetipi in baruffa fra loro, senza il suo consulto non riuscirebbe a sopportare il marito, ed al Maestro medesimo, che senza di lui sarebbe costretto a sciropparsi gli archetipi della moglie, quando già tanto ha da fare a tenere a bada i fantasmi freudiani dell’inconscio suo. Ma pur essendo psicanalista e assai esperto di archetipi, il Marchese resta poi sempre nobile in origine, e pertanto nella corte del Maestro ha scelto, come suo amico di riferimento, Teo: il sangue non è acqua, specie se è blu.

Nella casa del Maestro regna quella che il Maestro chiama una “ospitale anarchia”, cioè, detta in soldoni, ognuno fa come cazzo gli pare. Il Maestro, la soprano bulgara coniugata con americano, la pittrice francese e la scultrice polacca sono di dormita lunga, quindi prima delle undici di mattina non s’affacciano a far colazione; l’onorevole sarebbe stato portato pure lui al pisolo, ma importanti affari governativi lo hanno costretto a tornare a Roma, partendo ad orario antelucano, il bonzo, pur se sveglio all’alba, è però impegnato a biascicare mantra solitari, mentre il giornalista inglese ed il suo efebo risultano dispersi in guerra, che per una volta, con gran sollievo del giornalista, non è una di quelle nel Golfo Persico; la Moglie del Maestro, Teo ed io siamo invece mattinieri, ed alle sette ci ritroviamo a far colazione davanti ad una tavola che rigurgita di ogni ben di Dio, perché la vicina-contadina arriva alle sei e mezzo e porta latte fresco e dolci fatti in casa. Il problema è che, finita la colazione, nel Qualcheshire non c’è molto da fare fino all’ora di pranzo, se non aspettare il pranzo medesimo.

Vieni, andiamo, ti presento il Marchese!” dice Teo.

Be’, è sempre un modo per passare il tempo.

La casa avita del Marchese sta in punta alla collina, e per arrivarci si passa un viale di cipressi in duplice filar che paiono piantati dal Carducci. Il Marchese, che Teo ha preavvertito con squillo di cellulare, ci aspetta sull’uscio. Essendo Marchese, quando Teo mi presenta si profonde in un baciamano con inchino. Manca la battuta di tacchi, ma il Marchese è marchese, mica il Conte Max.

Il giro di casa è d’obbligo, soprattutto visto che la casa è un piccolo castello, dotato, assicura il Marchese, pure di un fantasma, una antenata morta prematuramente perché così tonta da farsi scoprire dal marito mentre si dedicava all’educazione di un bel giovane paggio in maniera un po’ troppo solerte e generosa. Racconta ridendo, il Marchese, che a carnevale lui e la Marchesa si divertono assai a travestirsi da questa coppia di antenati, mentre Teo impersona il giovane paggio, e, nel bel mezzo della festa, con gli ospiti convitati doverosamente all’oscuro dello scherzo, si mettono a mimare l’antica scena in cui il marito furente scopre la moglie, sguaina la spada e la sgozza di netto, avventandosi poi sul paggio Teo, per ammazzarlo con un altro fendente.

Uh, ti ricordi l’anno scorso, credevo che la principessa **** ci restasse secca per la paura!” ridono.

Certo, Teo ride non tanto di gusto. L’età per fare il paggio sta venendo meno, ma più che gli anni è un problema di lignaggio che lo angustia.

In fondo- puntualizza – io il paggio a te non lo dovrei fare: le notizie dei miei antenati risalgono dei Bizantini: siamo arrivati qui con Belisario durante le guerre gotiche, e le abbiamo combattute tutte, ai suoi ordini! I tuoi, a quanto se ne sa, non risalgono più indietro del Rinascimento, ed erano in origine dei semplici banchieri…”

Il Marchese, che pure lo ama come un figlio, della sottolineatura rimane un po’ piccato. Ecchediamine, non è carino rimarcargli che ha solo cinquecent’anni di storia alle spalle, come fosse un qualsiasi parvenu. Così, per chiarire che la sua nobiltà sarà più recente, ma mica la si può trattare come una scartina, mi porta al piano di sopra, dove un balcone si apre sulla campagna e sulla distesa di colli gialli e bruni, che arriva fino ad un rudere di torre.

Ecco, la vede, mia cara? Quella è la torre che segna i confini della proprietà. Di lì in poi, sotto c’è l’antico feudo dei Conti ****, che sono sempre stati nostri concorrenti e nemici. ‘Un le dico le battaglie, su quel confine! Un tempo il feudo nostro arrivava ben più in là, ma poi quelli ci han rosicato un pezzo di campagna. Finché noi non s’è costruita la torre, e loro una più sotto, a segnare il confine, e s’è rimasti a guardarsi in cagnesco aspettando che uno dei due facesse una nuova mossa. Nel Settecento, mi pare.” dice aggrottando le sopracciglia, come uno che tenti di ricordare con precisione una lite avvenuta all’ultima assemblea condominiale.

E nessuno l’ha più fatta, poi, mossa?” chiedo.

Be’ per ora no. Ma la torre ‘è una decina d’anni che ha cominciato a smottare, e ‘un ci si po’ fare nulla, anche secondo la Soprintendenza. Quindi io aspetto. Quando la crolla e la va a schiantarsi su quella loro di sotto, sarà lei ad invadere il terreno che ci han rubato, e così vendico gli antenati senza mòvere un dito, mia cara!”

Sorride, angelico. Teo, in silenzio, annuisce, con il piglio grave di chi, per aristocratico comune sentire, comprende e solidarizza.

Essendo una plebea con poco uso di mondo non riesco a capire se è uno scherzo, come la sceneggiata del finto sventramento a carnevale, o i due fanno sul serio davvero davvero. Ma in fondo a questo serve avere una tradizione familiare di antico lignaggio alle spalle: che si possono aspettare tre secoli per vendicarsi di uno sgarbo del vicino di casa.

E’ un racconto di fantasia. Non esiste nessuna torre.

19 Comments

  1. Ma nel Qualcheshire si parla toscano? 😉
    In questo caso, come vedi cara Gala, investire sul “mattone” ripaga sempre!
    Ciao Ross

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  2. @->Lucindescai: Eh, cara Ross, il problema è sempre quello: con quanto ho da parte, posso investire sì nel mattone. Ma in uno solo… 😦

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  3. Peraltro, come noto, il Qualcheshire è un vasto territorio comprendente tra gli altri il Ganzoshire (di grande effetto visivo), il Poggioshire (prevalentemente collinoso) ed il Zunzushire (ahimè parecchio caotico, purtroppo).

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  4. «Ma chi diavolo sono costoro, io li conosco, li conosco tutti, la casa, gli ospiti bizzarri e tutto il baraccone»

    Sì, li conosco. La factory di Andy Wharol e la villa senese dello scultore di “io ballo da sola”. Ehm.

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  5. Non è che non mi garbi, sig.ra Galatea: è che fa pena. Ma quando avrà voglia di raccogliere ‘ste cronachette, leggendo le quali si è tentati di ricordarLe il Leopardi di “veggo terra”, dia retta, cambi il titolo. Non glielo suggerirò io, ci può arrivare da sola, e le sue sciocchezzuole sono scritte benino. Dia retta, cambi il titolo.
    Piuttosto dovremo un po’ parlare dell’assoluta inutilità dei suoi studi classici, a parte qualche bozzetto dove, tra Dostoevskij e ‘ Tolstoij, cerca di consolarsi delle ingrate fatiche del suo impegno quotidiano.
    Le posso anticipare che, fra gli autori da Lei assolutamente non capiti, e che anzi le appesantiscono la delicata capoccia, ci sono (è accertato) Platone, Tucidide e i tre tragici.
    Può scegliere tra il disabilitarmi (scriverò di là, in tal caso) o tra una ripassata che per un po’ se la ricorda.

    p.s.
    In realtà, sig.ra Galatea, non me ne può fregar di meno, del titolo. Può pure scrivere dal Qualcovunque.

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  6. Gentile red cac, scriva dove Le pare, e quello che Le pare: ciò che fa della Sua vita e del Suo tempo non sono affari miei.
    Sono ben conscia di non poter competere con Lei per cultura e formazione: il mio povero cervellino non puè arrivare alle vette da cui Lei ogni tanto, come il Padre Zeus, discende, per saettare giudizi su noi poveri mortali. E’ inoltre noto a tutti che Lei è l’unico al mondo a comprendere appieno i grandi della letteratura, da Platone a Tucidide, ivi compresi i tragici, tutti, anche gli altri noti solo dai frammenti, non solo i tre che conoscon tutti da frettolose letture del Bignami.
    Quasi mi sento lusigata da questo suo annuncio che mi minaccia una”ripassata che non mi scorderò per un po’”. Non so se son degna di tanto onore e considerazione.
    Solo il termine da Lei usato, “ripassata”, un po’ mi preoccupa: a voler essere maliziose, ci si potrebbe scorgere un lapsus a sfondo erotico che avrebbe fatto la felicità di Freud.
    Attento, caro red cac: a furia di fornire badanti al suo signor Train, mi sa che è rimasto troppo a lungo Lei, da solo.

    PS. Il Qualcheshire è ironica citazione del “Chiantishire”, orribile anglismo che viene usato persino nei siti della Regione Toscana. Forse l’ironia era così sottile che persino ad una mente acuta come la Sua è sfuggita, ahimè.

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  7. @red. cac.
    Quando inizia la sua ripassata su Platone, Tucidide e i tre tragici (con lei fanno quattro) metta cortesemente un disclaimer iniziale.
    Ché io passo oltre volentieri.

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  8. Veh, stia all’occhio, perché il padre Zeus non sempre saettava: talvolta filtrava mutato in polvere d’oro.
    Quanto alla mia “solitudine”, ha colto nel segno; ma non tenti di dissuadermi dalla mia opera a favore del sig. Train, sulla quale la vedo informata.

    p.s.
    In effetti l’ironia era talmente sottile che io non l’avevo colta, si figuri, vengo dalla provincia: ma adesso che sono stato messo al corrente, posso dirle che fa proprio cader le palle. Dia retta, passi al qualcovunque: la metafora sarà meno sottile, meno localistica, più universale.

    Ah, sig. frap: per Lei metterò la croce di Sant’Andrea. Ma La prego, se può, di nascosto, senza averne l’aria, mi legga, diobonino!

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  9. Mi scusi, mi perdoni, ma vorrei rassicurarla, sig.ra: quel ripassata, altro che lapsus, quella è una sublimazione vera e propria.

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  10. @red.cac.
    Mi terrò assai lontano dalla sua rossa croce, caro cac.
    Che sulle palle è (ha) già bello che de-ragliato.

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  11. @->red cac: grazie per il Suo cortese avvertimento, provvederò a tenermi lontana da ogni infiltrazione dovesse colare dal soffitto: non vorrei ritrovarmi, come Semele, incinta di un piccolo ubriacone, che, assomigliasse il padre, sarebbe per giunta abbastanza pedante: uno di quei bimbi, insomma, che rimpiangi di non aver strozzato nella culla.

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  12. Σημελη? Chi era costui/costei? Essì: Adamo, O, maschile; Eva, A, femminile; Abele, E, non si sa.

    In primis, sig. Frap, metà della sua precisazione è superflua: a ciò servono le croci di Sant’Andrea. In secundis, non mi scomodi Sant’Ilario, dato che fa rima con binario. In tertiis et postremis, non mi faccia il Cacciari a tempo perso.

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  13. @red.cac.
    Devo dire che il Suo avatar in grechina purpurea mi sembra appropriato.
    Ché se minaccia sfracelli dialettici in Eta e Iota, ma poi tergiversa soltanto, in effetti appare poco più che decorativo.

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  14. Senti, diletto frap, ti tolgo la croce di Sant’Andrea e fa’ quel che ti pare. La storia è finita. Gli sfracelli (o badilate) son mestiere di chi guida il codazzo. Da questa parte aspettati, tutt’al più, un fastidioso controcanto sommesso.

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  15. @Gala
    La ripassata virtual-freudiana è mutata in controcanto sommesso.
    Ohibò, e che è successo?
    Oh Gala te tu (come dicono nel Qualcheshire) mi spaventi e intimidisci i gentili ospiti con metafore e citazioni troppo up.

    Poi non ti lamentare se pure l’acchiappo virtuale ti diventa complicato, eh. 😉

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  16. @->Frap: Ti sei perso qualche battuta nei commenti di 7 su 10. Chiarisco, però: on avevo mai pensato neppure lontanamente di “acchiappare” red cac.
    Sia ben chiaro, perché non ne son degna… 😉

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