Gli amici sono amici. Dunque Diego è un amico, anche se: anche se poi vota a destra, legge il Giornale e soprattutto da qualche tempo – ha cominciato parecchie campagne elettorali fa ed ora è stato finalmente confermato e messo in regola dopo anni di nero – lavora nell’ufficio stampa dell’Onorevole.
L’Onorevole, da noi, non ha bisogno di cognome, il titolo basta e avanza. Il cognome, in effetti, non ce lo mette mai, né sulle delibere, né sugli appalti e neppure lo fa precedere da qualche carica, tipo Ministro. Ma il suo potere sta tutto là: nella completa coscienza da parte di tutti che in zona nostra non si sigla contratto, non si delibera spesa e neppure si muove carega che lui non abbia preventivamente benedetto. Se è vero, come diceva Sciascia, che il potere è sempre altrove, l’onorevole di quell’altrove ha scoperto l’indirizzo, perché i governi e i partiti possono cambiare, ma le sue clientele sono stabili come i menhir di Stonehenge: i secoli passano e loro restano là ferme ad aspettare un suo cenno.
Al contrario dei suoi più caciarosi giovani colleghi cui lascia la ribalta, l’Onorevole ha un ufficio defilato in una calletta dietro S.Marco, che trovano coloro che han ricevuto dal suo staff precise istruzioni, ed campanello senza nome su un portone anonimo, che s’apre solo dietro appuntamento.
Quando c’entro, mi compaiono due stanze ingorgate di carte e di raccoglitori di file, fra cui a stento spunta la testa di Diego.
“Ma lavori qua? -chiedo stupita – Pensavo che Lui si potesse permettere qualcosa di meglio…”
“No, l’ufficio di rappresentanza è di fronte, vedi? C’è un passaggio costruito apposta fra i due piani, attraverso l’altana…Quelle trifore là, con vista sul canale – e mi addita un meraviglioso scorcio di palazzetto veneziano con affaccio diretto sulla Salute – qua teniamo gli archivi.”
Mi vengono i brividi a pensare che dentro quelle cartelle ci stanno, dunque, non dico le prove degli affari sporchi di tutta la Repubblica, ma di mezzo Veneto di sicuro.
Dentro l’ufficio c’è un clima ovattato, la presenza di altri si intuisce, ma non si vede: lo staff dell’Onorevole deve essere come lui: impalpabile, pronto a materializzarsi quando serva, e poi puff, sparire senza lasciar traccia subito dopo. Diego è attorniato dai suoi giocattoli informatici, perché l’Onorevole per i suoi collaboratori non lesina, ed è aggiornatissimo. Un tripudio di higt tech miniaturizzato che consente ai suoi di essere sempre connessi, e probabilmente a lui di tenerli sotto controllo costantemente. L’unico limite imposto è che i suoi non sono essere iscritti a nessun sito social, a nessun network cazzeggiante, né con il proprio nome né sotto pseudonimo: devono essere fantasmi, e di ciò che fanno per lui non deve scappare un fiato, e tanto meno un twit.
Ammiro gli schermi piatti, e le pareti coperte da scaffalature anonime, zeppe di cartelle che contengono chissà cosa, capitolati di appalti, note, lettere, forse accordi segreti. D’improvviso sento un soffio d’aria alle spalle, appena percettibile, come, nei proverbi, dicono succeda se ti passa accanto la Morte. In effetti sembra che sia comparsa lei alle mie spalle, perché Diego sbianca di botto e balbetta: “Oh, Onorevole, che piacere vederla…questa è una mia amica… stavamo uscendo per pranzo…”
Mi volto. L’Onorevole sta di fronte a me, in tutta la sua ectoplasmica evanescenza: capelli bianchi, faccia bianca, vestito grigio con cravatta da travet che pare fatto apposta per non rimanere nella memoria. Emana un odore vago che potrebbe essere flebile dopobarba, o l’incenso rappreso di chi è rimasto troppi anni nella sacrestia di una parrocchia e ormai il puzzo gli si è incarnato sotto pelle. Due occhi slavati mi fissano come se non mi vedessero, eppure qualcosa fa capire che m’hanno già registrata senza scampo in un angolino di cervello: chi sono, che sono amica di Diego, che vado di tanto in tanto con lui a pranzo; come un file che si lascia in memoria perché non si sa mai un domani possa servire.
Tende una mano scarna e pallida, che sfiora la mia come la carezza di una biscia.
“Piacere, signorina…” mormora.
Devo rispondere qualcosa, lo so. Ma che dire? “Piacere” anche io? “Piacere”, di conoscere lui, che da sempre incarna tutto quello che nella politica mi dà fastidio e mi inquieta? Eppure qualcosa bisogna pur dire, perché l’Onorevole mi fissa, negli occhi apparentemente acquosi si legge il riflesso condizionato di chi ti vuol catalogare in base alla tua reazione.
Mi appello a tutte le mie conoscenze di galateo, gli stringo la mano e non dico “piacere” di rimando, ma un vago, inutile e vuoto: “Come sta?”, con la bocca atteggiata ad ipocrita sorriso nella miglior tradizione dell’How do you do? britannico, che non vuol dire nulla, e non richiede risposta.
Lui resta per un attimo perplesso, incerto se considerarmi una che lo sta prendendo per il culo o una fanciulla di ottima educazione internazionale, ma non sono nessuno e la cosa poi non riveste sì grande importanza, quindi ritira la mano dopo la strusciata, e scompare.
Diego rimane a fissarmi, anche lui un po’ perplesso, ma poi decide anche lui che approfondire non vale la pena, l’incidente in ogni caso è chiuso, e l’Onorevole e io non ci incroceremo mai più.
“Andiamo a pranzo?” chiede dunque, fingendo di non essersi accorto di nulla.
Ormai sono così immedesimata nella flemma britannica che mi trattengo a stento dal rispondergli: “Why not?”
È un racconto di fantasia, che non ritrae personaggi reali. E poi in Italia non ne abbiamo mica di politici così.
Ma che stai a dire? Di gente così in Italia non si è mai vista. O sbaglio?
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poi, amuchina?!
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a te è successo di incontrare gente così da adulta. A me a 15 anni. Non mi riprenderò mai più.
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i luoghi del potere mi è pure capitato di frequentarli, qualche volta… eppure personaggi così non ne ho mai visti
evidentemente, con tutti i difetti che hanno quei cosi per cui continuo a votare, sono sempre meglio di quegli altri 😀
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“capelli bianchi, faccia bianca, vestito grigio con cravatta da travet che pare fatto apposta per non rimanere nella memoria. Emana un odore vago che potrebbe essere flebile dopobarba, o l’incenso rappreso di chi è rimasto troppi anni nella sacrestia di una parrocchia”
Stai forse parlando di quel simpatico pennellone di C****E C***A, che mi sembra sia proprio dalle tue parti?
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