Il rapper che ha fatto il classico

Il rapper è di quelli che si presentano cattivi cattivi, con lo sguardo obliquo come se dovesse abbassare l’occhio per tenere sotto controllo la fondina della pistola, i cappelli in piedi a mo’ di cresta, la catena al collo e l’avambraccio muscoloso che sembra un catalogo di tatuaggi.

Sebbene sia Italiano, anzi meneghino, ha pensato bene di chiamarsi una cosa tipo Gansta Rob, perché se dovesse firmarsi come si firma all’anagrafe, e cioè, putacaso, Roberto Maria Castagnazzi, col cavolo che troverebbe fan che si comprano i suoi dischi.

Siccome è un rapper, e per di più cattivo, scrive canzoni che parlano dei quartieri della periferia di Milano, dove scorre a fiumi la cocaina, che però si chiama bamba, e di giovani disoccupati che pippano la cocaina, e soprattutto di ragazzi ai margini come era lui prima di fare successo come rapper cattivo, e che quando non pippano cocaina vanno allo stadio per menarsi e fare risse e poi escono e pippano ancora di più cocaina. Che siccome lui è rapper, e cattivo, ma ormai di successo, spiega però che lui no, non pippa più la cocaina, e a dir la verità non va manco più allo stadio, perché sennò adesso gli chiedono l’autografo, quei ragazzi di periferia che descrive nei suoi pezzi, e, fa capire, rompono anche un po’ i coglioni a lui che vorrebbe vedersi la partita in santa pace; per cui allo stadio in curva non ci va più, esattamente come non pippa più cocaina; al che a te sorge il sospetto che pippare cocaina e andare allo stadio in curva sia davvero da sfigati, perché quelli che sono rapper cattivi, di successo ma non scemi stanno a casa come te a vedersi la partita su Sky, sorseggiando un analcolico.

La conduttrice del programma, però, che è una di quelle signore molto bon ton uscite dalle migliori scuole, che invitano nel loro programma i ribelli per provare a se stesse che sono borghesi, ma di mentalità progressista, è un po’ delusa, perché – ecchecavolo!- il rapper cattivo lei lo ha invitato perché è cattivo, appunto, e quindi si aspetta che dica qualcosa di cattivissimo; e invece il rapper cattivo, con tutte le sue catene al collo, capelli in piedi e avambracci tatuati, porca miseria, inizia un pianto greco sui giovani di oggi, che pippano cocaina senza coscienza di classe, perché lui sì pippava cocaina quando stava come loro, ma aveva anche altri interessi, come i libri e il cinema, mentre questi pippano cocaina e poi stanno solo tutto il giorno a cazzeggiare su Facebook, dice il rapper cattivo, con l’intonazione di chi è passato dallo status di pippatore a quello vecchia zia.

Al che la conduttrice, sempre più delusa, prova a chiedergli di descrivere come era questa sua benedetta giovinezza perduta nella periferia milanese sottoproletaria, fra ragazzi disoccupati che non trovavano lavoro, nemmeno il più umile, dopo essere stati cacciati via a calci, si immagina, da tutte le scuole del Regno. E il rapper cattivo cattivo, con le catene al collo e i capelli in piedi per il gel e gli avambracci che sono un catalogo su pelle dei tatuaggi più in voga, la guarda un po’ perplesso, poi dice: “Ah be’, sì, in effetti, anche io prima di fare il primo disco di successo un po’ sono stato in piazza con degli amici senza lavoro. Però io da ragazzo studiavo, ho fatto il liceo classico, comunque!”

E il cerchio si chiude.

 

 

 

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