Licenziamole tutte

Nella vicenda della azienda milanese che ha deciso di licenziare solo le operaie donne non so cosa sia più triste. Se la motivazione dell’azienda, che sostiene sia meglio licenziare le donne perché tanto loro così possono stare a casa con i figli e il loro è “solo” il secondo stipendio, o la scelta dei colleghi maschi delle licenziande, che allo sciopero indetto per protesta non si sono fatti vedere, come se la cosa non li riguardasse.

Chissà come saranno felici, però, quegli operai crumiri, quando ad essere licenziate da altre aziende con la medesima motivazione saranno magari le loro mogli, e il “secondo stipendio” a casa non lo porteranno più.

7 Comments

  1. come artigiano, posso dire che molti miei amici, gente fra i 45 e i 60, anche se hanno un’attività in piedi, in pratica sono mantenuti dalla moglie che ha un impiego, più fortunati quelli la cui moglie è statale, ma anche nel privato ce ne sono;
    questo per spiegare che molti uomini over quaranta, oggi come oggi, lavorano più che altro per decoro, per far vedere ai figli che la mattina vanno a lavorare, ma, in realtà, spesso, al massimo ci vanno in pari, soldi a casa quasi niente, ed è la moglie che mantiene la famiglia;
    quindi, il dato reale è che le famiglie dove è la donna il perno economico sono molte di più di quel che sembra, sicchè questa idea di licenziare i lavoratori di sesso femminile è davvero stupida e lontana dal reale

    "Mi piace"

  2. La notizia, così come presentata, mi sembra abbastanza improbabile.
    L’azienda ha più di 15 dipendenti, quindi non può procedere a licenziamenti diretti se non aprendo una procedura di mobilità. L’iter è abbastanza lungo (ci sono passato e quindi so bene di cosa parlo). La procedura prevede una serie di precondizioni che vanno assolutamente rispettate, pena l’illegittimità e decadenza della procedura medesima.
    In particolare non è possibile indicare nella procedura nomi e cognomi dei licenziandi (tanto meno il sesso), ma solamente i profili di inquadramento e le mansioni degli addetti.
    E’ ovvio che se detti profili sono però sovrapponibili, nell’azienda specifica, solamente a dipendenti di sesso femminile il risultato è di fatto il medesimo. Dubito abbiano prodotto un qualsivoglia documento sul quale abbiano effettivamente scritto quanto riportato in articolo, perché questo costituirebbe un più che evidente profilo di illegittimità. Al massimo lo avranno detto “a voce” in un primo colloquio con la RSU presso la sede dell’Api.
    Detto questo, uno dei criteri che normalmente vengono adottati in questi casi da alcune imprese consiste anche nel selezionare i dipendenti in modo tale da minimizzare l’impatto “sociale” della procedura. Quindi dovendo scegliere tra un dipendente uomo, unico percettore di reddito familiare ed una donna che percepisca un secondo stipendio familiare, si tende ad optare per la seconda opzione (triste, ma è così). Infine, data l’età media delle donne nel caso specifico (30-40 anni) è abbastanza probabile che siano stati considerati i cosiddetti “rischi aggiuntivi” (maternità). Grazie al nostro brillante ordinamento del lavoro, che di fatto scarica sulle aziende coinvolte, invece che sulla fiscalità generale, una consistente parte degli oneri economici derivanti dai periodi di maternità, le donne, in ambito lavorativo, sono in questa situazione e come Paese, di fatto, stiamo inesorabilmente invecchiando.

    "Mi piace"

  3. Che pretendi, che sccioperino per far licenziare i maschi?
    La decisione dell’ azienda è demenziale ed illegale (il che la rende ancora più idiota), ma quando un’azienda è messa così male da licenziare in massa è normale che i superstiti se ne stiano a chiappe strette.Triste, ma umano.

    "Mi piace"

  4. Ah… poi grazie alle modifiche introdotte nella Finanziaria 2010, il ricorso allo “staff leasing” (contratti di somministrazione di lavoro) è stato reso più “appetibile” per le aziende.
    Sia per contratti di somministrazione a tempo determinato, sia per quelli a tempo indeterminato. Per le mansioni di tipo produttivo, ad esempio, è ora possibile ricorrere a contratti di somministrazione a tempo indeterminato in presenza di accordo sindacale aziendale. In precedenza ne serviva invece uno di livello territoriale. Il precedente governo Prodi, inoltre, aveva del tutto eliminato la possibilità di ricorso dei contratti di somministrazione a tempo indeterminato. L’attuale governo l’ha invece reintrodotto e reso ancor più appetibile rispetto all’originario decreto 276 del settembre 2003 e successive modifiche.
    Attualmente i contratti di somministrazione di tipo temporaneo sono stipulabili per una durata massima complessiva di tre anni (12 mesi + max. 4 proroghe di 6 mesi ciascuna).
    Poiché alla fin fine il costo del lavoro è equivalente, non poche aziende hanno anche iniziato a ridurre il “rischio da lavoro dipendente” con procedure di mobilità più o meno “pilotate”.

    "Mi piace"

  5. A 20 anni non mi assumevano perché potevo restare incinta…a 40 non mi assumono perché potrei restare incinta (??), diobono, attendo la menopausa con trepidazione, chissà se per allora mi fanno amministratore delegato.

    "Mi piace"

I commenti sono chiusi.