La crisi dei ricchi

Le vacanze del Maestro, quest’anno, hanno un che di mestizia. Forse è il tempo, che è rimasto come sospeso in una primavera incerta ed imbronciata, nonostante si sia già a metà estate, forse è il clima generale del paese e del mondo, per cui ogni volta che si guarda un giornale abbandonato sul tavolo o si apre la tv arrivano valanghe di cattive notizie; più semplicemente è il vuoto che il Maestro si sente attorno, specchio nascosto di quelle crisi e di quelle brutte notizie che quando vengono annunciate dai tiggì sembrano così distanti e astratte.

Della pletora di ospiti, amici, conoscenti, visitatori e parassiti che gli gravitava attorno da sempre è rimasto solo qualche sparuto drappello. Gli amici politici quest’anno sono in forse se fare le ferie, e se le fanno arrivano con la faccia di chi è pronto a ripartire senza nemmeno disfare la valigia; gli amici imprenditori han deciso che le ferie non le fanno proprio; gli artisti, gli intellettuali, gli scrittori sono in giro a raccattare l’ultima ospitata a festival e convegni, dove ormai farsi invitare spesati è sempre più difficile e le diarie sono di volta in volta più risicate, quindi non si butta via nulla, neanche la Sagra del Libro e della Salsiccia della Valchissacosa, che un tempo schifavano inorriditi per il pubblico da fiera paesana, la scomodità del viaggio, i rimborsi ridicoli e il pernottamento in hotel ben al di sotto dello standard, ma con questi chiari di luna, vabbe’. I parassiti e i nullafacenti, se ci sono, hanno i volti tirati e le orecchie tese di chi sta già pensando dove trovare riparo in caso di maleparate, e sono quindi distratti, nervosi e poco divertenti, come è distratto il cane che usma e cerca di capire chi sarà il suo prossimo padrone.

La stessa casa del Maestro, di solito piena di gente e di caos, è ora un luogo vuoto, con grandi stanze silenziose arredate da mobili feng shoui su cui nessuno più si siede, gazebi in giardino sotto ai quali nessuno sosta, sdraio a bordo piscina su cui nessuno prende i pochi sprazzi di sole.

Una bolla di malcelato nervosismo avvolge ogni cosa: il Maestro, insofferente a tutti, gira per casa in pantofole e vestaglia, spostandosi di qua e di là in cerca di una ispirazione che sfugge, e non vuol vedere nessuno; Teo latita, sempre troppo assorbito da preventivi per il nuovo festival di cui è stato nominato finalmente direttore, ma che rischia di essere abortito per mancanza di fondi, e di gente, e di interesse, e persino dalle cucine del casale si sentono salire mugugni, perché la moglie del Maestro non compra più dalla contadina accanto tutto ciò che comprava un tempo, ed anzi ora si intignisce a controllare i conti e le spese al centesimo, notando così, dopo anni, quanto siano ingiustificatamente care molte forniture di prodotti “tipici” che, ha scoperto informandosi bene, non vengono affatto da cascinali e orti vicini, ma dal supermercato.

«Che ladri! Che ladri! – mormora col tono tragico di una soprano da melodramma – mi hanno ingannato per tanti anni!E’ una cosa intollerabile!» e scuote il capo e sbuffa delusa, ed è uguale uguale a quelli che in tv si indignano per essersi improvvisamente accorti che i politici erano pagati ben al di sopra delle loro reali necessità, e su quello stipendio ci facevano pure la cresta.

Fa tenerezza vederla seduta, in un angolo dello sterminato tavolo seicentesco, con le spalle al focolare immenso, mentre guarda e riguarda fogli e fogli di fatture, li spulcia, fa somme e sottrazioni con la matita e la calcolatrice; la sua espressione stupita, attonita, nel rendersi conto per la prima volta del fiume di denaro che quella casa richiede e fagocita con una velocità da auto di formula uno, e che in precedenza non si era mai soffermata a quantificare o solo anche a prendere in considerazione, perché loro sono “artisti” e, tanto, le entrate del marito sono sempre state tali da potersi permettere lo spreco senza pensieri, dato che i soldi si materializzano sui conti correnti come l’oro dei folletti nella pentola ai piedi dell’arcobaleno.

Non sono certo diventati poveri improvvisamente: il patrimonio di famiglia è tale che potrebbero andare avanti per una decina di generazioni in quello che ai comuni mortali sembrerebbe un lusso sfrenato; ma sono bastati un paio di ingaggi del marito saltati perché la cultura ha subito tagli, e i nuovi contratti proposti meno generosi di quelli precedenti per far precipitare la consorte del Maestro nell’angoscia di poter cadere un giorno in miseria, che per lei vuol dire non avere più la cascina in Toscana, la casa a Venezia, la villa a Ponza, il piéd a terre a Milano, l’appartamento a New York e viaggi e suite presidenziali in ogni altra città dove le venga l’uzzolo di recarsi, e che poi gira con autista e una tribù di variegati accompagnatori, vestiti tutti come hippy e sinceramente convinti di essere gente alla mano, semplice, bohemienne, che prende la vita come va.

Non entra mai nella cucina, perché è rinchiuso come un monaco nello studio, Teo, anche lui circondato di scartoffie, bilanci, conti, e perennemente attaccato al telefono con enti o qualche possibile finanziatore.

Dopo un ventennio passato a fare l’ospite più o meno ufficiale di convegni, meeting, festival, mostre e madonne varie, diventare direttore di uno gli era parso il naturale e scontato prosieguo. Ma si era immaginato una cosa come quelle che aveva sempre frequentato lui, in cui il Direttore osannato appare sì e no all’inaugurazione, per stingere le mani agli ospiti, ringraziare con un discorso commosso gli sponsor, sorridere e brindare, e tutto uno stuolo di segretarie e stagisti e personale si è già occupato a risolvere ogni altra grana precedente. Lo scontro con la dura realtà lo sta devastando: niente segretarie, niente stagisti, a dire il vero manco un telefono o una scrivania, e l’enorme caos di convincere tizio a sganciare pochi euro per garantirsi il buffet, Caio a venire a fare il discorso di inaugurazione anche se non è in grado di offrirgli un adeguato cachet, Sempronia a sostare nei pressi del palco con la sua presenza decorativa, ma a titolo gratuito.

«E’ tutto così… costoso!» dice, sinceramente basito, ora che è dall’altra parte dei rimborsi spese, tocca con mano quanto vengono sull’unghia quei privilegi che ha sempre avuto gratis e considerato dovuti, e si stupisce vieppiù dell’intrinseca piccineria dei fini intellettuali che disquisiscono sui massimi sistemi con nobile grandezza d’animo, ma poi sono bimbi capricciosi e tignosissimi al punto da voler rimborsati anche il fazzolettini e la boccetta d’acqua comprata in treno.

«Ma tu lo fai sempre?» chiede infine, del tutto stupito e innocente, indicando la montagnola di scartoffie e preventivi e fatture da pagare che sta remenando da qualche ora, per trovarci un bandolo o un senso.

«Sì» gli dico sorridendo, senza cattiveria, perché so per esperienza personale quanto possa essere traumatico, le prime volte, trovarsi indifesi davanti alla realtà di un conto da far quadrare quando i soldi non sono mai stati un problema prima, dato che esistevano a prescindere. Così gli rimetto a posto il monticello di fatture, separandogliele per voci da saldare e per urgenza, dividendogli il necessario dall’accessorio e dal decisamente superfluo, gerarchia che lui non ha mai dovuto applicare prima e che quindi gli è ignota.

«Oh, grazie!» sospira, cominciando a guardare come oggetti misteriosi i conti, a decifrare le voci, a cercare di raccapezzarsi nel dedalo di offerte per gli alberghi, nei moduli di rimborso forfettari o specifici, nei bilanci, nei finanziamenti e nelle proposte di sponsorizzazione. E io lo lascio di fronte alle montagnole più piccole, ancora insicuro, ma eccitato come un bimbo che si deve cimentare con una nuova prova, pensando a come riescono ad essere innocenti e sperduti, certi ricchi, davanti al denaro.

5 Comments

  1. @PdC

    Solo una domanda.
    Ma questo Maestro, che pare ti conosca bene e magari qualche volta ha anche letto il tuo blog, mica si incacchia a vedersi dipinto con queste pennellate in pubblico?
    Anche se rimane la foglia di fico dell` anonimato..

    Gigi

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  2. Magari fosse veramente così, come lo descrivi. Sarebbe già qualcosa. In realtà, i conti, li pagano sempre i soliti, mentre a quelli come il Maestro sembra proprio che la vita non presenti mai la fattura: per loro, rimane tutto gratis.

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