Vento d’avventure

Io quando ero piccola pensavo che avventura derivasse da vento. Un vento che arriva improvviso, ti scombina la vita e ti porta via. A me il vento ha sempre fatto un po’ paura, forse perché ho sempre pesato poco, forse perché sono nata a Trieste, e allora lì il vento era una cosa che ti poteva davvero portar via, e a me spaventava tantissimo.
Per questo non amavo tanto il vento e le avventure, perché a me questa cosa che ti prendono e ti portano via e ti sbattono in mezzo ad un mondo non tuo mi ha sempre dato l’angoscia: io, d’animo, sono una stanziale.
Ma poi, col tempo, non so, le avventure ho imparato ad amarle un po’, almeno a non odiarle tanto, perché quando arriva qualcosa che ti sconvolge la vita e ti porta fuori dal tuo solito tran tran, è allora che conosci davvero come sei, e anche come sono quelli che ti stanno attorno, ché quando si è tutti tranquilli e sicuri nel proprio guscio è più facile mentirsi e nascondere quello che si è, perché la tranquillità è come l’ovatta, attutisce le cose brutte che ci rumegano dentro, ma anche quelle belle, un po’.
Allora, col tempo, ogni tanto una avventura me la concedo, mi ci abbandono, come una bimba che vede una farfalla e decide di correrle dietro, senza sapere dove la porterà. E non sono sempre belle, perché poi trovi sempre quelle che paiono farfalle e sono bacarozzi, e invece che in prati fioriti finisci in qualche discarica fuori città. Ma ho imparato anche questo: che le avventure, anche quelle finite male, sono sempre esplorazioni, e se il risultato è così così, magari il viaggio valeva la pena.
Così mi ci butto con entusiasmo, quando mi capitano, le avventure: certo, l’entusiasmo sempre un po’ titubante che ho io, perché io ho l’entusiasmo timido, come tutto il resto di me. Però mi ci butto, e quando non mi capitano per un po’ di tempo ne sento la mancanza.
Perché si cambia, nella vita. Oppure perché mi han spiegato che il vento non c’entra niente, e allora son più tranquilla. Che le avventure le reggo, ma il vento quello no.