
Non faccio mai volentieri il cambio autunnale, perché non amo separarmi dall’estate. L’estate è come la giovinezza, quel periodo in cui può succedere di tutto, e anche se non succede nulla, solo il fatto che poteva accadere è bello di per sé. È la stagione delle giornate lunghe e delle possibilità senza fine, quella in cui si può sempre dire che il domani è un altro giorno e ci sarà il sole, dei vestiti leggeri che metti e togli senza pensarci, e butti via, dei cambi continui e della libertà di cambiare.
L’autunno è quella cosa fredda e buia che arriva all’improvviso e non se ne va, se non per trasformarsi in inverno, che è ancora più brutto, e freddo, e non finisce mai. È la stagione delle notti che iniziano a metà pomeriggio, dei maglioni che non sono mai troppo spessi, della noia nelle stanze del lavoro, e del grigio che permea tutto e rende tutto pesante, come l’umidità.
Non faccio mai volentieri il cambio degli armadi autunnale, perché ho troppa roba da tirare fuori e da rimettere nei cassetti, allo stesso posto dove stava l’anno prima. Sono fatta così io, che le cose non so mai buttarle, mi ci rassegno solo quando ormai sono sfatte, esauste, sfinite. Altrimenti restano là, riprendono il loro posto, mi piace guardarle anche quando non le indosso più, perché ad ognuna è legato un ricordo, un’impressione. Ci fregano, le cose, perché non sono mai solo oggetti. Non riusciamo a separarcene perché non sono pezzi di guardaroba, ma pezzi di noi. Rimaniamo un po’ nelle cose, nei maglioni con il nostro odore, nei pantaloni con quella gobba che viene sul ginocchio e li sforma un po’, nelle tasche che piano piano si abbassano per quante volte ci abbiamo ficcato dentro le mani.
Ci sono i vestiti che metti per sentirti bella e quelli che metti per sentirti brutta, i giorni che sei giù e vuoi che non ti guardi nessuno; quelli fatti per sedurre e quelli per passare inosservata, anonimi come la stazioni e i tram per cui li indossi; le scarpe che vengono coccolate nelle loro scatole di lusso, e quelle che sono abbandonate nel fondo delle scarpiere, e riesumi di corsa per le piogge improvvise, i freddi intensi. E in ciascuna di queste cose, scarpe, sciarpe, maglioni, vestiti di jersey o di seta, hai lasciato tracce di te, sospiri, batticuori, sbadigli di noia, fremiti di eccitazione. Per questo il cambio degli armadi è sempre qualcosa di più che un cambio di vestiti: è riprendere in mano un album di ricordi che balzano fuori dalle scatole e dalle cassapanche, a tradimento, prima che tu ti possa difendere. È una fare i conti per chiederti se sei ancora come quando li indossavi, o se invece è cambiato qualcosa, o perché no, e tu rimani sempre la stessa; e certi vestiti e certi maglioni sono macigni, di cui ti dovresti liberare, e allo stesso tempo non vuoi, perché li senti come se fossero un tuo braccio o una tua mano, ci sei vissuta dentro, ti ci sei seppellita, sono un bozzolo in cui ti sei rinchiusa.
Non mi piace il cambio degli armadi, perché è una operazione che fa troppo pensare, è un bilancio della vita fatto in corso d’opera, mentre la vita scorre via. Bisognerebbe avere il coraggio di buttare via tutto, ricominciare daccapo ogni stagione, senza portarsi dietro nulla se non quelle due gocce di Chanel che indossava Marylin la notte. Leggere, impalpabili, perché anche d’inverno, alle volte, bisognerebbe avere il coraggio di correre incontro alla vita perfettamente nudi.
L’avevo detto io che mi stavi diventando malinconica… 😉
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vedi la fortuna di essere molto grande e poco alla moda, io ho pochissimi vestiti, e non sono un granchè , qualche volta compro in germania o negli stati uniti dei jeansoni giganteschi, in compenso ha tantissime tshirt dei gruppi rock o anche no
così in autunno non faccio il cambio dell’armadio, ma applico la teoria della cipolla, tanti strati e comode felpe
buon autunno cara Galatea e annusiamo il vento del cambiamento, chissà che non si cambi l’armadio del paese… sarebbe bello eh?
ciao da Nicoletta la libraia
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ti capisco, nemmeno io so liberarmi delle cose vegghie e a volte all’improvviso mi redo conto, questa giacca ce l’ho da vent’anni. Respingo proontamente il pensiero. In fondo non è poi così sformata…
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forse non è giusto proiettare sul passato i problemi del presente
però è vero che gli oggetti ci riservano sensazioni potenti, quando riemergono; tempo fa in un cassetto del mio laboratorio ho ritrovato una pipa ricurva in legno, risalente all’epoca in cui ero appassionato di filosofia della scienza; andai sostenere un esame da un giovane professore, divenuto poi famoso e morto pochi giorni fa; per festeggiare l’esame superato mi comprai quella pipa, e per qualche tempo, mi davo delle arie da profondo studioso, con quella ciminera sempre appresso; ero molto cretino e vanitoso anche allora, insomma un perfetto intellettuale, anche se, più avanti smisi di fumare ogni tipo di fumo e cacciai pipa e attrezzi di contorno in un cassetto, e nel cassetto ci finì anche la filosofia della scienza; in fondo mi fa fatto piacere, però, quel legno ricurvo, perchè la gioventù è molto, molto più ricca di quella cosa che non la scrivo, ma penso si capisca
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due gocce di profumo, un sorriso e via! hai proprio ragione!!
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Nel mio fatiscente armadio vivono strani oggetti che non vengono indossati da anni ma sono lì a ricordarmi anni passati ed eventi. Lo fanno ogni volta che mi capita di sfiorarli prendendo una camicia pulita, ogni volta che il loro odore mi raggiunge, quando incoscentemente li prendo fra le mani.
Si nascondono oggetti strani negli armadi e alle volte t’icrinano l’anima come ricordi improvvisi. Ops, sto andando sul patetico! Potevi anche avvertirmi… e vedi non provocare più con questi post malinconici 🙂
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E’ da un po’ che non passavo di qui…mi mancava leggerti, e non deludi mai, gran bel pezzo, sento proprio le tue stesse cose!
salutonissimi! 😉
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grande.concordo con tutto.solo…sono allergica allo Chanel
n. 5….
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