Roma

Io con Roma ho una storia d’amore, di quelle che non finiscono mai, di quelle che non ti spieghi nemmeno perché e per come, le vivi e basta e no n ce n’è. 

È un fatto di pelle e di cuore, non ha nulla di logico, è che quando arrivò a Termini non faccio manco tempo a mettere il piede giù dal treno che già ho l’accento romano e la voglia di maritozzo con la panna. È una città in cui non ho mai abitato ma ci sento l’aria di casa, e ogni volta che torno mi abbraccia con quell’affetto un po’ distratto che dedicano ai figli le madri mediterranee, capaci di amare i ragazzini altrui e dimenticarsi dei propri. 

Di Roma mi piacciono i monumenti, ma soprattutto mi piacciono i Romani. Sono un magma di individui da studiare con calma, osservare con attenzione. Sono popolo da così tanti secoli che funzionano come un’orchestra e non come una massa. Sono variopinti e vari come solo possono essere le folle di una capitale di qualche impero. I Romani sono fratelli nell’anima dei Parigini, dei Londinesi, dei Newyorkesi. Solo chi abita in un posto che ha governato il mondo ha quella grazia smagata e anche un po’ cafona, sa vivere nel mezzo del caos di razze e di lingue diverse, capisce il flusso della storia e anche le svolte e le tragedie improvvise, non si compone di fronte al futuro nè di fronte al passato. 

Roma è il bambino cinese che lappa con convinzione un gelatone affogato di panna montata in una gelateria storica del centro, con i tavolini ancora inizio secolo e alle pareti le antiche pubblicità che reclamizzano il “telegelato” da farsi consegnare ovunque in Europa, e quando la sorellina tenta di rubargli la panna risponde lesto: “Ma che voi, ahò?”.

Roma sono i pretini con la tonaca, giovani giovani, che camminano indaffarati, e hanno negli occhi la sicurezza di chi si muove in casa propria, mentre nel resto del mondo è ospite. Sono le suore che cantano nel coro di Santa Cecilia, in una chiesa silenziosa e vuota al tramonto, le intravvedi appena sedute dietro all’altare, e sembra che la musica provenga da un altrove lontano, o da una inquadratura di un set di Sorrentino.

Roma è il giovane tamarro tatuato dentro una vecchia Smart, che appoggiato al volante, le mani sul cranio rasato, mentre ascolta la morosa che lo cazzia ha un’espressione così sconsolata che pare un personaggio di Verdone. Roma è il tassista anziano che quando ti cade la monetina prima di consegnargliela dice: “Vabbe’ signori’ ma nun se stia ad angustià! Era n’euro? Tanto è qua dentro, prima o poi lo ritrovo! ”

Roma, io non lo so cos’è Roma, non lo capisco mai. Ma intuisco perché dal secoli tutti, imperatori, barbari, turisti, orde di ogni genere ed origine hanno voluto venire qui e desiderato restarci, quasi rispondesse ed una qualche domanda segreta che l’animo umano si pone continuamente e a cui non risponde mai. E forse la risposta non è altro che questa. È Roma. 

5 Comments

  1. Che Bella descrizione! 😁
    Io perdo ore a fissare gli abitanti -e non solo – di questa città: non se ne ha mai abbastanza, è un concentrato di vita e strano disordine.

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  2. Non capisco.
    Una città inefficiente e repulsiva e dei cittadini maleducati e presuntuosi, e lo dico da romano che abita a Roma da sessant’anni.
    Come si può amarli?
    Forse, e dico forse, se si abita a più di 400 chilometri di distanza
    Ma del resto, quante vittime amano il loro carnefice?

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  3. Se adoro i ritratti femminili archeostoricicontemporaneizzati, del genere Didone ( per caso hai scritto anche qualcosa su Arianna che mi sono persa ?) certo è che questa “nota ” su Roma mi fa piangere di gioia. Si, sono molto romana nel senso che non esistendo più i romani di 7 generazioni, sono romani tutti quelli che transfughi da qualche parte del mondo ne hanno percepito la grandezza e si sono acclimatati. Scorre nelle mie vene sangue materno Barberini (Il Papa omonimo non era romano ma senese) e quello di Baciocchi marito corso di Paolina Bonaparte, mentre il lato paterno ha portato in eredità quello armeno bizantino di Belisario. Tutto questo per dire che hai colto l’essenza della romanità che quell’aggettivo di Eterna spiega e non spiega. Roma per magnetismo, per vibrazioni telluriche, per qualche cavolo di motivo accoglie ed stupisce il mondo ed eternamente rinasce sulle sue rovine, costruendoci sopra rispettandole in parte e in parte no, creando uno spaventoso puzzle di tempi storici che si accavallano per cui come fai a spiegare ad un francese (non ad un giapponese che sarebbe piu ovvio ), il famoso adagio poco elegante ma sincero, :”Aho , sai che tò da di, che quanno voi stavate sull’albero a coje er vischio noi eravamo già froci. ” E la gaytudine vista come segno di estrema civiltà per un buzzurrone de Trastevere è un concetto chiarissimo fin dai tempi dei tempi.
    Cosi per esempio un americano ricco e industrializzato di Detroit che accompagnavo in visita tentando di spiegare che il Colosseo e il Quirinale erano divisi da 1800 anni, quello disse:! che figura tutti sti sassi rotti al centro della città su quel prato, credo alludesse al Foro Romano, riaggiustateli no?. Eppoi lo vedi tutto questo traffico noi avremmo già fatto una autostrada sul Tevere sai come la città ne avrebbe giovato!!!!”
    Voi, risposi, a noi romani ce piace sta’ scomodi.
    Gabriella Belisario che ringrazia Galatea

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