Animula vagula blandula, poesia di un settembre ingrugnato

Animula vagulablandulahospes comesque corporis quae nunc abibis in loca pallidula, rigida, nudula, nec, ut soles, dabis iocos.

Dicono che l’abbia scritta l’imperatore Adriano, questa poesia, ma forse è solo un pettegolezzo.

Dicono che non sia nemmeno una gran poesia, e forse è vero. Assomiglia tanto a certi versi di Imagine di Lennon, che non sai se sono semplici ed eleganti o solo ingenui, e il fatto che li abbia scritti Lennon nobiliti ciò che scritto da un altro forse avrebbe fatto sorridere i più.

Ma c’è una grazia sommessa e anche sofferta in questi versiciattoli qui, che resta nei secoli. Una di quelle malinconie sottili che prendono le civiltà nel momento cui cui percepiscono, seppur vagamente, le fragilità che le porteranno alla decadenza, ma invece di spaventarsi, le accettano con quel fatalismo che è proprio di chi ha ormai molto vissuto. C’è la tenerezza di chi sa rassegnarsi a scomparire, sapendo che ciò che è triste non sempre è una tragedia.

E allora ve la regalo, per questo settembre diventato autunno troppo presto e troppo in fretta, e rabbrividisce nel vento appena scaldato da un pallido ed incerto sole. Si può svanire così, senza fare di tutto un dramma.

5 Comments

  1. Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis quae nunc abibis in loca pallidula, rigida, nudula, nec, ut soles, dabis iocos.

    Piccola anima volubile e seducente, compagna e ospite del corpo, che ora ti aggiri per questi luoghi pallida, fredda, nuda e non scherzi più, come sei solita fare.

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