Per anni ci hanno parlato a scuola di Olocausto, dei morti nei lager, del Nazismo. E noi abbiamo ascoltato, diligenti, ma certi che in fondo fosse un brutto incubo del passato e non potesse tornare più. Le nostre famiglie e i nostri genitori ed amici erano tutte persone educate e perbene, e i nazisti qualcosa di lontano e distante, come l’orco delle fiabe o il babau.
Divenuti adulti ed insegnanti abbiamo continuato a far ragionare i ragazzi su quanto fosse assurdo, inumano, criminale aver discriminato, perseguitato ed ucciso milioni di persone sulla base del loro credo religioso o della loro appartenenza ad una comunità, ad una etnia, ad un popolo. Su quanto il concetto di razza, prima ancora che umanamente, fosse scientificamente errato.
E poi viene il punto in cui ti chiedi se sia servito a qualcosa. Perché poi, quando oggi entri nelle classi, ti trovi spesso di fronte a piccoli individui che sono i tuoi alunni, dietro a quali intravvedi però individui adulti, che sono tuoi coetanei e sono i loro genitori, che di tutto questo non capiscono nulla. O meglio, hanno assimilato, forse, talvolta, che sterminare gli ebrei non è stata una buona idea, ma perché gli ebrei, in fondo sono come noi, occidentali e bianchi. Perché quando invece si parla di quelli che occidentali e bianchi non sono, e sono “negri” o sono “arabi”, allora tutto sommato l’idea di lasciarli morire in mare, o di bombardarli, di umiliarli con leggi ingiuste, o di sterminarli senza tendere loro la mano, e rinchiuderli in campi e in ghetti per tenerli lontani, è accettabile, perché sono diversi, sono cattivi, sono altro da noi.
Perché se poi si parla dei gay, allora sono checche e froci, e riempirli di legnate se si mostrano troppo in pubblico è quasi condivisibile, ché insomma se la sono cercata. E le zecche comuniste e buoniste che difendono gli immigrati, eh, ma mandarli tutti ai lavori forzati non sarebbe una cattiva idea.
E a vomitare queste cose mentre ti prendi il caffè al bar, o sei in autobus non sono solo i quattro vecchietti intronati che prendono il grappino nel caffè, ma giovanotti in giacca e cravatta, impiegate, mamme amorevoli che spingono il passeggino, i tuoi conoscenti, i vicini di casa, persino talvolta i colleghi.
E tu ti chiedi se abbia ancora senso andare in classe e parlare di Olocausto e di nazismo, quando sarebbe meglio forse dire ai tuoi alunni e anche ai tuoi conoscenti che se vogliono capire cosa successe davvero in quell’epoca apparentemente così distante non serve che vadano ad Auschwitz, basta che si mettano davanti ad uno specchio e si ascoltino parlare.
(Fonte immagine wikimedia)
La giornata della memoria avrebbe senso se si spiegasse quali furono le conseguenze disastrose del primo dopoguerra, dei diktat di pace di Versailles, delle ideologie razziste del nazismo, dello squallido opportunismo del fascismo italiano che promulgò le leggi razziali nel 1938, del collaborazionismo della Francia di Petain, della rivolta del ghetto di Varsavia, del fenomeno della Resistenza europea e della definitiva sconfitta dei regimi totalitari avvenuta nell’aprile del 1945.
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“Definitiva sconfitta dei regimi totalitari avvenuta nell’aprile del 1945”? Interessante. Mo’ me lo segno.
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È la stessa sensazione sconfortante che ho provato anche io tante volte.
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come spesso capita quello che scrivi è pura verità che sempre vogliamo nascondere per non sentiorci diversi dagli altri.
Gli “altri” – non si capisce bene chi siano ma basta sparare nel mucchio e qualcuno si trova – inquinano la nostra esistenza – mi correggo – inquinano la nostra razza.
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Io passo dal litigare coi fascisti su Facebook a momenti di puro sconforto. Se sento ancora una volta un “e allora le foibe?” mi stacco le orecchie.
Non so se ha senso parlarne ancora, sicuramente non ha senso smettere di parlarne.
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Sono uno studente universitario, non molto distante da quei banchi di classe che molte volte sono stati per noi ragazzi trincea fra Studenti e Insegnanti. È brutto parlare di un “confine” fra questi due mondi, ma esiste e purtroppo è tangibile. La mia personalissima e non richiesta opinione è che in fondo non ha senso parlare del Giorno della Memoria se nel farlo si raccontano gli eventi e le evoluzioni sociali in un modo spoglio: ho visto insegnati “raccontare” la Shoah con lo stesso trasporto e la stessa profondità con i quali spiegavano la rivoluzione industriale. È un atteggiamento logorante.
Per fortuna ho avuto a guidarmi anche insegnati capaci di trasmettere emozioni, persone che hanno iniettato in me l’esigenza di capire che il passato a volte diventa il futuro, se non si cambia.
Ha senso parlarne e discuterne, nonostante intorno a noi regnino ignoranza, negligenza e superficialità ma nella misura in cui non si trasmettono fatti e concetti, bensì spirito critico e sentimenti. Non ha senso assegnare “L’amico ritrovato” di Uhlman se poi esso diventa un mero argomento di analisi prettamente testuale.
Chiedo venia per la prolissità, ma è un argomento che mi sta molto a cuore. Un caro abbraccio,
Munin
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