Chi legge il mio blog lo sa: tutto sono fuorché una viaggiatrice entusiasta. Diciamo che i viaggi sono delle esperienze che farei fare volentieri agli altri. A me piacciono i posti, ma odio la trafila per arrivarci. Mi dà l’angoscia il dover comprare il biglietto, andare alla stazione, all’aeroporto. Prendere il taxi, il bus, trascinare il trolley per marciapiedi tutti uguali in luoghi diversi. Mi dà l’ansia uscire dal mio guscio, che è fatto di comode abitudini che mi sono costruita negli anni. Amo vedere cose nuove, ma mi scoccia spostarmi.
Per cui la sofferenza massima è la valigia. Perché la valigia è il guscio delle tue abitudini, che cerchi di portare con te. I tuoi vestiti, i trucchi, le medicine che non si sa mai, le altre cento piccole cose che non userai, ma che vuoi avere attorno come una coperta di Linus. La valigia è un inganno, perché non riuscirai mai a metterci tutto, e di certo non ci metti mai quello che vuoi davvero, è solo un cumulo di placebo per quella malattia tremenda che è l’insicurezza. La valigia è il passo ineluttabile verso il distacco, perché quando la fai è proprio segno che devi partire, e per chi come me non vorrebbe partire mai, e allo stesso tempo vorrebbe partire sempre, è il confine fra il sogno è la realtà, anzi il momento in cui io sogno deve fare i conti con il reale. E quello è un momento sempre brutto.
Io odio partire, odio i distacchi, odio l’idea che le cose finiscano e ricomincino altrove in modi diversi, e in posti che non sono qui. E amo che invece cambino, finiscano e ricomincino sempre, altrove, con altri che non siamo noi o non siamo più noi, o forse siamo un noi che ancora deve arrivare. E ogni volta che parto questo cumulo di contraddizioni mi si schianta addosso, e io cerco di arginarle preparando una valigia ordinata in cui metto tutte le cose che ho precedentemente scritto in una lista, per non dimenticarne nessuna. Ogni volta porto troppo, ogni volta non porto quello che davvero mi servirà, ogni volta mi maledico per la mia incapacità di viaggiare e per quella di restare ferma. E ogni volta mi dico che prima o poi supererò quest’ansia con il tempo, la maturità o persino la scrittura. Ma poi c’è di nuovo la valigia, e io resto a guardarla come una nemica.
E bisognerebbe trovare una fine a questo post, o forse una morale. Ma la morale non c’è. C’è solo la valigia, aperta, che mi aspetta.
Ti capisco troppo.
Sì, anche per me è una tortura.
Mi dico sempre che per il prossimo viaggio, farò le cose fatte bene: non mi ridurrò a prepararla la notte prima della partenza. Che poi di solito è sempre prestissimo e quindi non dormo nulla.
Partire stanca per me è una prassi.
Soprattutto per i viaggi di lavoro, dove mi sento sempre chiedere come mai quella faccia stravolta..
Ma come faccio a dire che dopo 30 anni di vai e vieni ho sempre paura che questa valigia mi fagociti.
Anni fa invitavo un’amica ad aiutarmi. Poi smisi: mi metteva ansia. Continuava a dirmi quanto fosse bello partire e quindi avere la possibilità di fare la valigia…ok proprio non c’eravamo…
Sono la burla della famiglia. In compenso non dimentico mai nulla.
A parte di respirare…
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valigia aperta, viaggio in prossimità
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