Ce ne vuole di carattere per diventare regina di Roma, soprattutto se sei un’etrusca, e moglie di un mezzosangue che pure i tuoi trattano con altezzoso disprezzo. Ma Tanaquil, o Tanaquilla, non era certo una donna a cui fosse facile mettere i piedi in testa, o anche solo dire cosa dovesse fare.
Fin da ragazza sta un palmo avanti a tutti, se ne frega della convenzioni sociali e bada al sodo. Per questo lei, etrusca e nobile di Tarquinia, lascia al palo pretendenti titolati e con il pedigree da perfetti aristocratici, e decide di sposare un mezzo sangue, figlio di un greco, che non ha quarti di nobiltà ma si intuisce che è più sveglio di tutti gli altri messi assieme.
E siccome a Tarquinia capisce che per loro non c’è posto a meno che non si rassegnino a fare tappezzeria, lo fa spostare armi e bagagli in quello che allora era il Far West dei pionieri nell’Ottocento: Roma.
Lì, in quella terra grezza e perciò plasmabile da uomini e donne d’ingegno, Tanaquilla porta suo marito Tarquinio fino alla carica di re. Del resto lei, da nobile etrusca, sa leggere nei segni il volere degli dei, e più prosaicamente sa piegare gli uomini ai suoi voleri.
Anche per la successione è lei a decidere: e sceglie pure qui uno venuto su dal niente, Servio Tullio, nato da una serva di casa. Se Roma è femmina, Tanaquilla lo è di più. Fa, disfa, inventa, media quando serve, pragmatica e anticonvenzionale come lo sarà la città che l’ha accolta e che lei trasformerà in una piccola potenza con grandi ambizioni.
Lo spirito di Roma resterà il suo, di questa donna che non si arrende mai, è disposta a rischiare per cercare il nuovo e il meglio, e ha la mente duttile e aperta, perché per conquistare il mondo devi essere pronta ad abbracciarlo senza stupidi pregiudizi e confini mentali.