Bella da far fermare i treni

Un vecchio monologo di Lella Costa diceva: «Per riposarmi da tutte le volte che, con gli uomini, ho dovuto essere simpatica, spiritosa, intelligente, intrigante, allegra vorrei essere bella, bella, bella, bella basta:bella da far fermare i treni».

Be’, io non mi sono mai considerata proprio bella, non, almeno, bella da poter far fermare i treni. Fino a ieri mattina, almeno.

Arrivo alla stazione di Marzellago con la mia macchinetta. Sono le sei e tre quarti, pioviggina, il cielo è plumbeo e la luce è appena appena accennata, ma c’è. Il passaggio a livello sta calando: il din don della sbarra che scende copre ogni altro rumore, ed io corro, trafelata, verso i binari: c’è un treno all’ora, se perdo quello, non ho altre possibilità. Con un fiatone da enfisema in atto, riesco ad arrampicarmi sul vagone: il treno è una littorina di quelle che vanno a gasolio, e meno male: quando arrivano quelli nuovi, pur se fighissimi, si piantano al primo accenno di gelo sui binari. Mi siedo soddisfatta: Paolo e Gianni, i miei due abituali compagni di viaggio, mi hanno pure tenuto il posto. Uno è un architetto che lavora a Bassano, l’altro impiegato in un’azienda spersa in uno dei paesini dove la linea fa sosta. Non faccio tempo a togliere la sciarpa, che Paolo, dopo aver guardato fuori dalla finestra, mi dice, preoccupato: «Ma non è la tua la macchina azzurra? Guarda che hai dimenticato i fari accesi…»

Cazzo, penso, i fari! Faccio un rapido conto: rientro alle cinque del pomeriggio da scuola, ed ora che torno a Marzellago sono le sei. Troppo tempo per lasciarli accesi, mi gioco la batteria. E trovare qualcuno disposto, alle sei di sera, a venirmi a recuperare alla stazione, solinga in mezzo alla campagna, per cui non passa un solo mezzo pubblico, è impresa disperata. Devo per forza scendere e spegnerli.

Scendo dal vagone, guardo con occhio da cerbiattina il controllore: «La prego, la prego, ho dimenticato una cosa in macchina, può aspettare?»

La risposta non è del tutto rassicurante: una specie di grugnitino che non si capisce bene se sia un sì o un no, o un forse. Decido di prenderlo per un sì e corro, corro, corro, volo sui gradini delle scale, attraverso in un amen il sottopasso, il parcheggio, apro la portiera, spegno i fari, ricorro, corro, corro per il parcheggio, divoro le scale e mentre sono sull’ultimo gradino noto che il treno è ancora fermo, il controllore è con un piede sul predellino e mi dice: «Su, via, svelta, che non posso aspettare di più.»

Raccolgo il poco fiato che ancora ho in corpo per ansimare un «Grazie!» e crollo subito dopo seduta sul seggiolino che Paolo e Gianni hanno continuato a tenermi.

«Caspita, non pensavo proprio che ce la facessi!» dice Gianni.

«Il controllore mi ha aspettato, è stato gentilissimo …» singulto.

Lui ridacchia: «Sì, vabbè, perché sei una bella ragazza. Glielo avessi chiesto io, col cavolo che teneva il treno fermo perché avevo dimenticato qualcosa in macchina!»

Paolo ridacchia, annuendo: «Già. Pure se fosse stata stata una racchia a chiederglielo, figurati se bloccava tutto. Considerati responsabile oggi per il ritardo di un minuto sulla linea.»

Be’, tutto sommato, una botta di autostima: non sarò bella da far fermare i treni. Però da farli almeno rallentare, sì.

3 Comments

  1. Io qualche anno fa arrivai alla stazione (stazione centrale di Pisa!) mentre il treno stava già partendo, così mi metto a correre velocissimo, più veloce del treno, e salto e urlo come un matto, così il capotreno mi vede E LO FERMA!!!
    Ho raggiunto lo scompartimento dei miei amici, ho chiesto scusa se ho fatto fermare il treno e mi sono seduto, cercando di respirare in modo decente, mentre loro, che mi avevano visto dal finestrino, erano allibiti.
    E tutto questo per andare a scuola, roba da matti ^^

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