
A Capemaster, che mi ha fatto riflettere sui bozzoli in cui ci chiudiamo da soli
La ragazza siede nell’autobus, in uno dei sedili d’angolo. È una ragazza minuta, abbronzata, dai tratti leggeri. Sta sulla sedia, ferma, con un che di impuntato e schivo, come se temesse di disturbare qualcuno a star lì, ma al tempo stesso volesse sottolineare che ne ha il diritto, e ci provino a spostarla. Tutto in lei rivela l’amore per l’ordine, l’inclinazione alla pulizia, il bisogno di sapersi attorniata da cose nette ed il più possibile limpide. Le mani piccine, in grembo, trattengono la borsa, ed il vestito è semplice, ma non sciatto. È una ragazza a cui piacciono i particolari, li cura per sentirsene rinfrancata, li tiene sotto controllo: forse non con ossessiva maniacalità, ma pur sempre con determinazione: il caos non la spaventa, ma un po’ di ansia gliela dà; e l’ansia, lei, non la ama.
Nel groviglio di umanità dell’autobus, lei è come estranea a lontana: guarda fuori dal finestrino un paesaggio che sa a memoria, e, comunque, avrebbe pochi spunti di originalità. Guarda senza vedere nulla, in realtà, perché spesso guardare fuori, sui mezzi di trasporto, è solo un modo per non dover incrociare gli occhi di chi si siede accanto. Attorno a lei la gente si muove, si sbraccia, si aggrappa alle maniglie di ferro per non cadere, parla, brontola, racconta; ma lei è distante, chiusa in un bozzolo di bambagia che la protegge da ciò che le gravita intorno, un piccolo bozzolo trasparente che le cuciono addosso le cuffiette del suo lettore mp3. La musica la distacca dal mondo, azzera il rumore di fondo della vita: le ciacole delle comari, gli strilli dei bambini, il cicaleccio dei turisti, i suoni gutturali in lingue che non conosce e di cui intuisce solo la provenienza lontana: è lì, ma non è lì, la ragazza, e può osservare il resto dell’autobus come un pesce guarda il mondo attraverso il filtro del vetro che delimita il suo acquario: figure che si muovono, ma senza suoni.
Non ha paura della vita, forse, la ragazza, ma ama vederla scorrere senza esserne troppo coinvolta, senza che il chiasso e il vivere la tocchino fino in fondo: è fatta così, la ragazza.
La ragazza sono io.
Non riesco bene a capire se la consideri una cosa più o meno positiva per te stessa o lo prendi come un semplice dato di fatto (curiosità mia); per quanto mi riguarda,mi sono accorto che da quando ho l’iPod semplicemente tutti quei momenti che prima passavo pensando ai fatti miei adesso li passo ascoltando musica che prima non avrei ascoltato (e personalmente lo ritengo un arricchimento); in alternativa,basta metter su il proprio gruppo preferito (ascoltato quelle 2000 volte per cui delle canzoni conosci anche il numero di colpi di cassa che ci sono) e tornare a pensare ai fatti propri.
messa così pare proprio brutta però…:P
ciao ciao
Konx.
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LA VITA IN FONDO E’ RUMORE
(ogni riferimento e’ diretto all’argomento del post e non alla tua persona. Cerco, in modo ironico di “smontare” l’oggetto del tuo post)
In questo tuo essere volutamente assente, hai ricordato di obliterare il biglietto? A no, dimenticavo, aggiungere un gesto al quotidiano auto-distaccamento-ipnotico, ti renderebbere partecipe alla vita dell’autobus, quindi presente a te stessa. Tu sei un tipo da abbonamento mensile.
Ma come consiglio pero’ ti suggerirei il tram. Lui va tranquillo nei suoi binari. Il passeggero non si distrae nemmeno qualora ci fosse un po’ di traffico a rendere intermittente il procedere dello spostamento.
E se malaguratamente trovi i posti a sedere occupati, cosa fai? Sara’ un dramma concentrarti a pensare in quale minuto portugio buttar fuori lo sguardo. L’alternativa resterebbe fissare la vista su una di quelle tabelle appiccicate alle pareti dell’autobus, quasi fosse una luce proveniente dal buio.
E se finiscono le pile del lettore? Oddio, panico assoluto. Ti toccherebbe ascoltare il rumore normale del mondo che ti circonda, che sciagura. E se un tipo ti rivolge la parola? No, dimentico, al nord queste cose non succedono, siete poco cominicativi.
Sorrisi,
Angel
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Ho letto questo post fino in fondo.
E così anche oggi ho commesso la mia buona azione.
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@->Konx: non è negativa nè positiva, è un dato di fatto. La musica è bellissima come sottofondo, ma qualche volta ha l’impressione che la si usi anche come schermo, o come alibi per non farsi trascinare nel mondo.
@->angel: Nell’ordine: ovviamente ho l’abbonamento; qui il tram non c’è; se non trovo posto, sto in piedi, ma sempre con la musica nelle orecchie; sì, leggo i cartelli, specie le traduzioni nelle altre lingue: quelle in francese ed inglese sono spesso piene di svarioni esilaranti; le pile del lettore non finiscono mai perchè sono una ragazza prudente ed organizzata, e quindi controllo di aver messo l’aggeggino sotto carica al mattino; no, qui è raro che ti rivolgano la parola, al nord siamo freddi, freddi, freddi e penzammo sulo a faticà… 🙂
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l’ultima frase non occorreva. s’era capito benissimo 🙂
rm
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🙂
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Ma il rumore di fondo della vita è proprio quello che ascoltiamo, quello che ci mettiamo nelle orecchie per non dover sentire il rumore primario della vita, quello che i nostri simili si dicono, raccontando, spettegolando, usando parole per tutto quanto meriti di essere raccontato, anche se le parole – preziose – non dovrebbero essere sprecate per tanta sciocchezza. Più che isolarsi, quindi, a volte le cuffie ti ridanno proprio quel rumore di fondo che è subissato dalle inutili chiacchiere altrui.
Dipende cosa è interno, e cosa esterno, da questo punto di vista.
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L’isolamento saltuario dal mondo non significa necessariamente fuga o resa di fronte alle responsabilità. Spesso invece ha la salutare funzione di farci vedere le cose con occhio più distaccato ed obiettivo. Ci offre una visione “romanzesca” della vita, intendendo il termine nella sua più nobile accezione, che rimanda a quella dimensione di indagine della realtà che privilegia l’ironia e grazie alla quale i grandi narratori hanno saputo sviscerare nuovi ed inespressi significati del vivere (in proposito: “L’arte del romanzo” – Milan Kundera). E’ questo che mi pare tu faccia, infatti guarda che stupendo articolo sei riuscita a tirare fuori solamente con un viaggio sull’autobus, ascoltando musica 🙂
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Mentre leggevo ti immaginavo.
Poi ho avuto la conferma.
Scrivi sempre benissimo.
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Ma che onore.
Un post dedicato dalla Divina!!!
Un bacino sull’iPod.
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Io di solito non ho bisogno dell’MP3 per isolarmi. Anzi, nonostante me ne abbiano regalati un paio, non li uso mai. Alscolto la musica quando faccio lavori pallosi (tipo visionare 260 domande di iscrizione a un concorso di master, come ora), oppure in auto, oppure quando voglio ascoltare davvero.
Fin da piccolo mi isolo dal resto del mondo senza bisogno di aiuti tecnologici. Mia mamma mi doveva urlare nell’orecchio per chiamarmi a tavola, perché se stavo leggendo non c’era altro modo di comunicare con me. Sono strano? sono matto? beh, siamo tutti un po’ matti…
Quanto ad osservare il resto del mondo senza esserne coinvolto: è un’esperienza magnifica, e periodicamente devo fare così anch’io, è quasi un’esigenza mia primaria, perché solo osservando bene e a fondo si “capisce”, solo così si riesce ad entrare in qualcosa senza la necessità di giudicare. La migliore si fa all’estero, specialmente in paesi nei quali non capisci la lingua dei nativi.
Grazie per il post, carissima!
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E allora?
Mi scusi, Ninfa: che c’è di male a distaccarsi un po’ dal mondo, ed osservarlo?
Crede che l’ansia e il timore del caos siano fatti così rari in un essere umano?
Io,semmai,diffido di chi vive d’ansia e di caos,di chi ha sempre bisogno di immergersi in ogni cosa, di buttarsi su qualunque nuova esperienza, di dover per forza conoscere tutto e tutti: come se la vita fosse una gara, e non si potesse dire d’averla vissuta se non occupando ogni minuto a far cose, per poter dire di esser lì,appunto, a viverla.
Spesso, con l’unico risultato di rompere i coglioni agli altri, e non farli campare .
Non so perchè, ma il Suo scritto mi ricorda l’estremo opposto del Suo essere.
Ossia una banda di deficienti che vidi su un canale del satellite sky intenti a buttarsi da palazzi sempre più alti, con paracadute e tute alate; fino a che, buttatisi da un aereo per volare in un canyon sfiorando un ponte in metallo, daje che te ridaje, nell’avvicinarsi il più possibile al manufatto d’acciaio per poter dire “d’aver vissuto il momento”, un par di loro non si son sfracellati,morendo sul colpo .
Dopo questo incidentino,il resto della banda s’è messo a riflettere di vita e spiritualità, asserendo d’aver solo allora ben compreso il bene dell’esistenza : sicchè son passati all’estremo opposto, ossia a vestire da pirla, fare gli alternativi anti-consumisti, nonchè a predicare di quella new-age molto profonda che pare caratterizzare pure la Sua amica Patrizia, quella che le arriverei un calcio in culo a prima vista, se mi capitasse a tiro .
Perciò, cara Sua Signoria La Ninfa, sia serena e si ritenga fortunata ad avere un bozzolo nel quale riposarsi ogni tanto senza rovinar la vita agli altri .
Eppoi, dalle sue osservazioni in tram ci scappano dei bei raccontini, stile Raymond Queneau in “Esercizi di Stile”, per intenderci: c’è sempre qualche imbecille col collo troppo lungo che litiga per un posto, e più tardi discute di bottoni da spostare sul cappotto davanti alla Gare St.Nazaire.
Inchino e baciamano.
😀
Ghino La Ganga
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Io lo faccio coi libri, sono della vecchia scuola.
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Non ti pare che “ragazza” sia un termine un po’ forte? :p
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Qualche giorno fa, mentre come al solito rientravo a casa a passo spedito, mi è capitato di percorrere lo stesso marciapiede lungo il quale, con passo quasi altrettanto svelto e solo appena più dondolate, una fanciulla ed il suo iPod – lontani da tutto e da tutti – incedevano beatamente.
E’ stato bello seguire quel passo e tradurre quell’incedere sicuro in un pensiero positivo.
La distanza si riduceva e, l’aria fresca della sera, la danza muta di quel passo, il pensiero positivo si rafforzava.
L’affianco, la supero.
La fanciulla, non avvertita della mia presenza (come avrebbe potuto?… orecchie alla musica, mente “alle cose della vita”), forse interrotta nei suoi pensieri dalla figura che l’affianca e supera, ha uno scatto che sa di spavento.
La poesia di quell’incedere è morta lì… e con lei il mio pensiero positivo.
Se mentre danzi ti spaventa un’ombra, tieni orecchie e occhi aperti, stupida!
😉
un saluto
Andrea
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Bè anch’io mi inflo le cuffiete dell’ipod per benino, ma non guardo fuori dal finestrino: io guardo dentro l’autobus, la metro, il tram, il treno… guardo gli altri, col mio sottofondo musicale… e ne esce più o meno la stessa sensazione di pesce dietro l’oblò. brutta cosa l’ansia…
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@->rumoremarino: sì, lo so, ormai matura signora renderebbe di più… 😦
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Galatea, l’importante è che non ti appellino “sciura”.
Bel post. Perché non scrivi un libro?
Scuola, alunni, colleghe/i, Nord Est, ironia, uomini, fabbriche, Carola, politica, il tutto raccontato da… te appunto.
Il materiale non manca di certo.
Ciao!
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Mi associo a Lies e prenoto una copia.
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Rivedo me stessa, ma sono antica, avevo il walkman. Aggiungo che il bello per me era, oltre il parziale estraniarmi, il guardare la gente nell’autobus. Lunghi percorsi mi permettevano di godermi l’osservazione minuta di facce, mani, corpi, gesti, tic, vestiti, insomma una vera guardona morbosità esclusa. Mi facevo il mio film e la colonna sonora ce la mettevo io! Ora che prendo la macchina per andare a lavoro, è una cosa che mi manca.
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