A chi serve la famiglia perfetta?


Mirella. Ogni volta che ci parlo, mi chiedo sempre come descriverla. E poi mi fermo ad una frase: Mirella è perfetta. Non nel senso di favolosa, o strepitosa, o appariscente. No, Mirella è perfetta perché, quando la incroci, ti rendi conto che pare fatta apposta per essere così. Non è clamorosamente bella, ma bella quel giusto che pensi: sì, è bella. Non è particolarmente elegante, ma quanto basta per dire che è sempre vestita bene. Ha i capelli in ordine, perché magari non va sempre dal parrucchiere, ma Mirella è una di quelle donne che si sanno mettere in piega bene i capelli anche da sole, e poi, diciamolo, mica ha i capelli che remano contro, come i miei. No, i suoi sono capelli disciplinati, che come li metti, stanno. Mannaggia alla morte, come li vorrei io, che invece li ho anarchici, e per ridurli ad accettare la piega il parrucchiere deve usare il phon antisommossa.

Oltre che il fisico, Mirella s’è costruita anche una vita perfetta. Cioè niente di statosferico, ma normale. Ha conosciuto Giorgio che eravamo all’ultimo anno di liceo, e si sono messi insieme. Stop. Un capodanno, un festa, un bel lento come Dio comanda, ed eccola lì, fatta la vita. Giorgio è uno di quei bravi ragazzi che sono proprio bravi. Quelli che sembrano bravi e poi ti combinano casini che lèvati sono la specialità mia, come quelli che non sono bravi affatto. Giorgio, no, cazzo, è di quelli che non danno sorprese: serio, posato, tranquillo. Ha detto che voleva sposarla quando avevano neanche vent’anni e ha mantenuto poco dopo.

Si sono comprati una casa, col mutuo; i mobili, senza il mutuo, perché glieli hanno regalati papà e mamma; un cane, senza mutuo, perché sono entrambi appassionati d’animali; e due figli. Anche quelli senza mutuo, per quanto con un diluvio di spese in più. L’unico neo a tanta misurata perfezione è che i figli le sono venuti entrambi maschi, e Mirella una femminuccia l’avrebbe voluta proprio. Ma magari è ancora giovane, e il terzo tentativo, chissà.

I bambini, Alessandro e Mirco, son due puttini da mangiarseli. Oddio, puttini: io li chiamo così perché, avendoli visti nascere, è come se non riuscissi a pensarli cresciuti mai. In realtà Alessandro fa la seconda media, e Mirco la terza elementare. Ma poi, biondi belli e ricciolini come sono, sempre puttini saranno, finché non diverranno giovinetti modello Brad Pitt. Certo più svegli anche del Brad Pitt medesimo, perché sono pure intelligenti.

Essendo belli, svegli e sani, non hanno mai dato a mamma e papà un briciolo di preoccupazione. Fino a ieri, quando Mirella mi telefona, con un tono di vaga angoscia nella voce:

Sai, ti volevo chiedere.. non è che magari daresti qualche ripetizione ad Alessandro?”

A Sandrino? Ma è sempre stato bravo in italiano! E poi, dai, ripetizioni in seconda media? E che gli fanno fare? Va male?”

Ma no, sai, è che ha portato a casa la verifica ieri… di storia… ha preso sei e mezzo…”

Taccio, aspettando la brutta notizia.

E l’altra settimana, sul tema, per dire, ha preso sette meno…”

Taccio, sempre aspettando che venga la mazzata.

E in geografia, insomma, l’hanno interrogato e gli hanno dato sei al sette…”

Taccio, stavolta perché proprio non capisco.

Non va male, allora… è sufficiente in tutto…” dico, mentre mentalmente mi vedo davanti i voti degli alunni miei che vanno male, certi orrori di compiti che una non mette un quattro perché le viene lo scrupolo d coscienza che son bambini, e mi confermo che andar male no, è proprio un’altra cosa.

No, ma sai – fa lei – è che i compagni prendono voti migliori. E anche l’insegnante dice che potrebbe impegnarsi un po’ di più… insomma, lui potrebbe avere un otto, un nove. Sai, io lo seguo a casa, e anche Giorgio. Lo aiutiamo a fare i compiti, controlliamo giorno per giorno quello che ha da studiare… è un bambino così intelligente! Insomma, non capisco perché non rende come dovrebbe. E non è che non si impegna, eh. Perché lui si impegna, vuole a tutti i costi farmi contenta, studia. E poi parliamo, parliamo tantissimo, a me racconta tutto, e anche a suo papà. Ci tengo che a casa nostra ci si confronti su tutto, e se c’è qualche problema deve dirlo, e noi siamo lì. Ma non supera questo sei, sei al sette, sette meno. Non vorrei pensassero che non gli stiamo dietro noi. Perché non è vero, tu lo sai. Non capisco, non capisco proprio…”

Ha un tono così triste, così smarrito nella voce, come se per la prima volta in vita sua si trovasse dinnanzi ad un problema irrisolvibile, e non le balenasse neppure l’ombra di una soluzione. Il figlio non ha otto, e a sentirsi in colpa è lei, perché teme che pensino non faccia abbastanza, ha paura di non essere riuscita a creare quella perfetta intesa familiare, che nel suo eden ci sia una nota stonata finora non emersa.

Ripenso alla mia, di infanzia e di adolescenza, e ai miei voti a scuola, alle medie. Andavo benino, sì, ma non splendidamente. Ricordo che un quadrimestre ebbi come valutazione globale sufficiente, e strappato con i denti. I miei un po’ si arrabbiarono, forse, ma non più di tanto. Partivano dal principio che se quello avevo preso, quello meritavo in quel momento, evidentemente, e, comunque, se mi beccavo un voto al di sotto delle aspettative erano anche cavoli miei. Non credo abbiano mai pensato che il giudizio dato a me fosse un giudizio dato alla famiglia, o alla nostra armonia casalinga, né che un voto potesse mai misurare la mia intelligenza, ma solo la mia momentanea preparazione. Un voto era un voto, non il sintomo necessario di problemi in casa, di rimossi freudiani o insolvibili traumi di cui bisogna affrontare la presenza. Se combinavo qualche scemenza, insomma, si preoccupavano, ma non credo si sentissero in colpa, o almeno non così: i problemi seri da affrontare nella vita erano altri, non certo superare un sette meno. Non sentivano l’obbligo di essere genitori perfetti, né pensavano che avere figli “perfetti” fosse necessario per dimostrare al mondo che erano efficienti come genitori. Erano genitori così come veniva, e consci che anche i figli, per quanto tu ti possa impegnare, ti vengono come vengono, poi. Anche le torte alle volte non riescono come le vuoi, per quanto buoni ingredienti tu ti affanni a metterci dentro e controlli passo a passo la cottura.

Ho chiuso il telefono con un senso di tristezza e anche di angoscia, neanche tanto vago. Mirella che si sente un po’ fallita perché il figlio non ha otto, il figlioletto che si sente un po’ fallito, perché la madre non è contenta dei suoi voti e gli domanda, con testardo e preoccupato affetto, il motivo, facendolo sentire ancor più sotto pressione; Giorgio che alla sera deve sorbirsi il controllo dei compiti e poi una specie di seduta di autoanalisi familiare perché i voti di Alessandro non sono quelli che potrebbero; Mirco, il piccolo Mirco, che guarda tutto questo affannarsi e non capisce, perché a lui per prendere sette basta leggere mezza paginetta, e poi la maestra è tanto buona e glielo scrive in fondo al foglio con la penna d’oro. Tutto questo gran spreco di energie, di tempo, tutto questo investimento d’affetto e di premure, tutte queste tensioni sottili ma costantemente in sottofondo, legate non però ad un voto, o alla scuola, ma all’immagine che si vuole dare di sé, che ci si è costruiti e si vuole mantenere a tutti i costi, sennò gli altri, il mondo, chissà cosa possono pensare. Perché i figli perfetti, a ben vedere, non servono alle famiglie, e nemmeno ai genitori. Servono per i vicini di casa.

12 Comments

  1. La Mirella è fuori come i gerani.
    Ha i cadaveri delle 23.000 persone scomparse in Italia negli ultimi 10 anni nel refrigeratore in cantina, è sicuro.

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  2. Sono arrivato alla conclusione che avere figli svegli, che un domani saranno buoni adulti, è una specie di fortuna: o ti capita o no. Mia sorella ed io non potremmo essere più diversi, eppure siamo cresciuti nella stessa famiglia ricevendo la stessa educazione. Per le frequentazioni è lo stesso: gli amici di infanzia, alcuni anche più che fratelli, hanno preso ogni tipo di strada: il muratore, l’imprenditore, lo spacciatore, l’impiegato e il morto per droga. Anni passati insieme a fare le stesse cose e alla fine nessun denominatore comune. Cercare di tirar su bambini perfetti è uno sforzo vano – e peraltro faticosissimo.

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  3. La perfezione rischia in quella situazione di diventare un incubo, è come la ricerca dell’amore perfetto, del lavoro perfetto….Porta solo insoddisfazione ed ansia. Meglio l’imperfezione, più umana, terrena, abbordabile da tutti. Certo che si pensa sempre che i figli possano far meglio a scuola, ma ci si dimentica spesso di quando i figli eravamo noi…

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  4. Grazie per un altro post che come genitore mi rinfranca delle scelte che sto faticosamente tenendo ogni giorno per non soccombere alla politica di mio figlio è meglio degli altri. Sono pienamente d’accordo sul quello che dice entj, avere figli perfetti in questa vita è inutile e per la maggior parte dei casi avere un bravo figlio è più che altro questione di culo. Un pò come l’insegnamento che serve solamente a chi le cose le sa già. Mi accorgo però che questa schizofrenia sta attraversando un pò tutte le classi sociali sicchè mi ritrovo con colleghe di mia moglie che mi presentano il figlio di due anni dicendo “sai a due anni conosce già la differenza fra tiny little e small in inglese!!!”. Non sono solo i figli di chi sta in catena di montaggio 8 ore al giorno ma anche i figli di insegnanti e gente bene che subiscono fin da piccoli questo lavaggio del cervello dell’eccellere. Di fondo come al solito la colpa è di noi genitori, Dio solo sa perchè non riusciamo ad accettare che non potremmo controllare la vita dei nostri figli e che non è una questione di suggerimenti alla Crepez, che fa di noi buoni genitori e dei nostri figli bravi figli. Un saluto a quanti come me cercano tutti i giorni non di avere il figlio perfetto da esibire ma molto più semplicemente di avere un figlio contento della vita che fa.
    zero

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  5. Quello che racconti è un caso di genitori viziati, che possono cioè permettersi il lusso di preoccuparsi — moderatamente o ossessivamente che sia — di una mancata eccellenza, di un’apparenza decorosa ma non impeccabile, di un confronto perdente. Insomma di difetti formali (è la farisaica pulizia dell’”esterno della coppa”?). Sono genitori che evidentemente, buon per loro, non conoscono sofferenze più importanti e difficoltà ben maggiori.
    Premetto che non ho figli, ma ansie simili potrebbero tranquillamente proiettarsi, retroattivamente, sugli stessi genitori (al paragone con quelli altrui, magari più referenziati e titolati), su alcuni amici e persino sul partner; insomma su tutti gli individui a cui siamo legati, che in certi contesti e situazioni potrebbero rischiare di farci “sfigurare”. Quando siamo troppo esibizionisti o competitivi, c’è sempre al fondo una paura che dice qualcosa di noi.

    Altra cosa, forse, è la doverosa responsabilità verso un figlio, la legittima preoccupazione per qualcosa che non va e che potrebbe essere sintomo di un disagio più profondo. Ma in quel caso, di solito, non c’è il buontempo di rassettarsi i capelli…

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  6. Bel post, come sempre. Mi ricorda la barzelletta dell’omino tondo nella casa tonda. La prima cosa quadrata che ha visto lo ha messo in crisi.
    Alcune persone hanno la marcata propensione a non farsi domande; ad alcune di esse capita che anche la vita, per un certo periodo che può coprirla anche tutta, non gliene faccia neanche una.
    A vederli sembra che abbiano capito tutto, e che siamo noi a torturarci con le nostre seghe mentali.
    Fino al momento in cui un dubbio li sfiora. A me, a te, un dubbio in più o in meno non cambia la vita. Per loro può essere esiziale.
    Parafrasando Sartre, chi pensava di essere solido come una pietra vede il dubbio come un’incrinatura che mette a rischio la sua intera esistenza.
    Un sei e mezzo basta per incrinare il monolito e da lì, a domino, può crollare tutto il loro piccolo mondo ordinato.
    Io, per esempio, un dubbio su quel Giorgio…

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  7. mia figlia, terza elementare, ha avuto il pagellino venerdì e me lo ha tenuto nascosto fino a sera perchè c’era un insufficiente in scienze.
    come se, per questo, lei fosse insufficiente.
    non sempre sono le famiglie a creare la necessità della perfezione, talvolta è anche la scuola.
    dal canto mio le ho regalato il primo orologino della sua vita, perchè le voglio bene e voglio che le lo sappia.
    a prescindere.
    complimenti, bellissimo post!

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  8. Galatea, sei il mio idolo.
    Grande, grande, grande.
    Grazie, giro il link a tutti i miei perfetti (e poi che bello, che “perfetto” arrivi al latino, che denota ciò che è finito, ossia morto) amici.

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