Pasquale è un amico e un amico di un amico, che ho conosciuto tramite uno strano giro che passa dalla vita reale e arriva al web. Al contrario di me, Pasquale è un intellettuale di mestiere, cioè uno di quelli che scrivono saggi e libri, e non cazzeggiano solamente, come la sottoscritta, sui blog. In realtà ha poi aperto un blog lui pure, anche se poi lo ha tosto trasformato in un sito-rivista: su una rivista, ancorché in sito, gli intellettuali seri si trovano più a loro agio.
Quando s’impunta su un argomento, Pasquale lo fa con serietà estrema, e sempre con la stessa serietà partecipa alle web polemiche, commentando di tanto in tanto sul mio blogghino. Oggi, in epigrafe al mio post su Beckham decisamente fatuo e forse non meritevole di sì tanta attenzione, Pasquale ha aggiunto notarella polemica e serissima, che qui riporto:
Perché mentire ai bambini? David Beckham esiste. E, a proposito di menzogne, perché mentire agli adulti, dicendo loro (anche tu lo hai fatto, acutissima amica mia) che la crisi dei partiti sarà risolta costruendo un partito migliore (provvisto di una rinnovata organizzazione, di una coerente ideologia, di una sana moralità, eccetera)? Oggi, sul sito-rivista http://www.fulminiesaette.it, svelo questa menzogna. Puoi commentare, Mariangela / galatea, mi interessa. Pasquale / fulmini
Ora, quando mi dicono che mento, di mio tendo un pochino ad incazzarmi, perché, lo ammetto, ho un carattere alquanto tignoso; se poi mi dicono che ho mentito attribuendomi qualcosa che, sinceramente, non mi pare d’aver mai detto nella forma in cui mi viene attribuita, tendo ad intignirmi ancor più: noi donne siam fatte così, saranno, temo, i famosi ormoni. Sono andata dunque a leggermi la sua dotta disamina su Fulmini, da lui tanto opportunamente linkata (Pasquale, il link si mette così, sennò li mandi in home e poi devono girare per trovarla!), e avrei anche commentato: ma ad un testo così profondo e così pregno far le bucce in un commento è riduttivo: e allora, non da intellettuale, ma da semplice blogger, ho deciso di rispondere a Pasquale con apposito post. Chissà che stavolta, hai visto mai, riesca a spiegarmi.
Il post di Pasquale, tanto per cominciare, non è un post, ma la pubblicazione dell’introduzione ad di lui saggio (Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci) datato al 1980, e che Pasquale ripropone paro paro, a dimostrazione che nel lontano ’80 sia lui che Gramsci avevano già visto giusto, e i partiti e il resto del mondo no. Che diceva Pasquale nei felici anni dell’edonismo reganiano? Che i partiti, i partiti tradizionali, stavano in crisi, ma in una crisi brutta brutta, da cui non sanno ancor oggi come uscire. Lui non lo dice così, ovviamente, ma molto meglio, come io non so fare nemmeno oggi, e tampoco l’avrei saputo fare negli anni ’80, dato che ero all’epoca bimba e poi una adolescente, a dire il vero nemmeno tanto precoce. Pur se piccina e, confesso, non propriamente tormentata da siffatta domanda, che i partiti stessero maluccio in quel decennio lo sospettavo, e in base ad un dato empirico molto semplice, squisitamente personale: non mi è mai passato per la capa di iscrivermici. Della mia adolescenza ricordo molte cose, ma la politica, lo ammetto, è una memoria assente. Le ideologie le studiavamo a scuola, nelle apposite ore di filosofia, ma senza alcuna partecipazione diretta; se a quindici anni mi avessero chiesto di che partito sei, non avrei saputo rispondere, come gran parte dei miei compagni di classe; a sedici forse sì, ma mi sarei limitata forse a dire: “A Sinistra, moderata… ecco, con Craxi magari no…”. Non era una scelta ideologica, però: è che trovavo le piramidi di un irrimediabile cattivo gusto.
Concordo dunque con Pasquale, quando pone l’inizio della crisi in quel decennio. Un po’ meno quando parte ad analizzarne cause e derivazioni.
Il primo motivo di questo scollamento evidente fra partiti e società sarebbe rintracciabile, a suo dire, in un
processo di scomposizione dei rapporti tradizionali dei gruppi dirigenti con le basi militanti sotto l’impatto delle nuove tecniche di comunicazione, la cui azione molecolare intensiva media in modo nuovo i rapporti dirigenti-diretti, rafforzando la comunicazione discendente delle decisioni e informazioni e indebolendo la comunicazione ascendente dalla base ai vertici. Le ‘masse’ sono organizzate come pubblico più che come soggetti attivi, le moltitudini sono disaggregate molecolarmente e ricomposte in modo che ogni ‘uomo-massa’ diviene pubblico ascoltatore di tutti i discorsi, e pubblico di ogni partito è ogni ‘uomo-massa’.
Ora, lo confesso, io sarò anche troppo pessimista sul passato e troppo ottimista sul presente, ma, se devo essere sincera, non credo affatto che la tecnologia e lo sviluppo di nuove forme di comunicazione di massa siano in realtà la causa del fenomeno che porta i gruppi dirigenti di un partito a limitarsi a comunicare alle base le proprie decisioni e rende difficile, sempre più difficile, per la base, invece, far arrivare i suoi messaggi alla nomenclatura. Se guardiamo alla Atene classica, che era una democrazia ma dove non c’erano né Canale5 né Facebook, i rapporti massa/élite dirigenziale e politica non erano molto diversi da quelli odierni: in qualsiasi assemblea, convocata in una agorà virtuale o realissima, pur se tutti hanno facoltà di parlare, non tutti hanno lo stesso peso; il rapporto fra il gruppo dirigente di un partito con i suoi iscritti ed i suoi elettori è sempre falsato e mai paritario. L’idea stessa che la “massa” degli iscritti o dei cittadini comuni abbia mai un ruolo veramente o pienamente propositivo è più che altro un atto di fede in un principio mai veramente dimostrato. In qualsiasi sistema la decisione vera viene presa sempre da una èlite, che rappresenta, quando va bene, la massa e ne coglie l’umore, ma che molto spesso coglie un umore della massa che lei stessa, in quanto èlite responsabile della gestione e della creazione del consenso, ha contribuito a formare o a secondare con operazioni di propaganda. Il singolo o il gruppo propone, la massa appoggia o respinge; qualsiasi altra visione è, a mio avviso, macchiata da una certa ingenuità di fondo. Pasquale ha alle spalle Gramsci, e io mi scappello, ma per quanto mi riguarda, se devo dire la mia impressione sul ruolo politico delle moltitudini, preferisco rifarmi ad un verso di Giorgio Gaber: la massa fa massa. Le nuove tecnologie di comunicazione, dalla tv ai network sociali, cambiano le modalità di approccio e la scala con cui i gruppi dirigenziali si rapportano con il pubblico, ma non la sostanza: per influenzare il voto di un singolo che deve sommarsi a quello di altri centinaia di singoli io posso usare il passaparola porta a porta oppure Facebook, il cartellone autostradale o il sito web, ma il metodo non cambia se non quel tanto che consiste nell’usare un medium diverso e più progredito.
La dicotomia massa/gruppo dirigente, per quanto mi riguarda, non è quindi un tradimento della democrazia, ma l’essenza costitutiva del sistema: la democrazia, infatti, non è un sistema in cui il popolo gestisce materialmente il potere, ma quello in cui il popolo controlla i meccanismi di selezione della classe dirigente che lo governa. Tutte le democrazie, persino quelle dirette e non rappresentative di marca classica – la famosa democrazia radicale di età periclea, ma anche la nuova democrazia diretta digitale che tanto piace ai nostri giovani webmaster italici – si basano su questo assunto, ammesso implicitamente o in maniera inconscia: la macchina dello Stato non può essere gestita che da un gruppo circoscritto di persone, non da un tutto indistinto. Nel processo selettivo delle classi dirigenti, i partiti rappresentano un filtro necessario: siano essi organizzati come grandi partiti di massa o come piccoli club il loro ruolo è proporre agli elettori una scrematura di persone, preventivamente selezionate fra le aderenti ad una certa ideologia e portatrici di competenze specifiche, che dovranno diventare l’èlite dirigenziale. La crisi attuale dei partiti non sta dunque, a mio avviso, nella incapacità di questi di gestire il loro rapporto con la massa, ma nell’aver abdicato al loro ruolo precipuo, che è quello di compiere una scrematura attraverso meccanismi trasparenti e controllabili in ogni passaggio. Gestire una democrazia senza partiti a mio avviso non solo è impossibile, ma pure pericoloso da proporre: togli il filtro, e non resta che da una parte la massa e dall’altra il primo dittatore che sale sul rostro e si presenta come un inviato di Dio. La massa, senza la struttura partito, è un grosso peso che resta inerte sul terreno: per volare ha bisogno di qualcuno che lo lanci.
Ora, dato che non se ne può fare a meno se non scivolando dentro una dittatura, è evidente che l’unico modo per salvare la democrazia sia, caro Pasquale, una riforma morale e ideologica dei partiti stessi, cioè fondandone di nuovi o riformando quelli che troviamo già in giro. Altre soluzioni non mi vengono in mente, ma, se ben leggo il tuo scritto, altre soluzioni non vengono in mente neanche a te, e non te ne sono venute neppure se ci pensi e ripensi dagli anni ’80, dato che concludi il tuo scritto dicendo:Tutto ciò porta al centro dell’attenzione teorica i processi di formazione, sviluppo, crisi del partito e della struttura della politica moderna, e muove alla delineazione di nuovi soggetti e di nuove forme dell’azione trasformativa. Allora, Pasquale, spiegami una cosa: dove avrei mentito?
Non chiedermi, amica, un cosa ne penso. Già! pende sul mio capo una gravissima minaccia. Io sono sostanzialmente d’accordo con te quasi su tutto ma non lo affermo per non essere riaccusato di polemismo. Su quel quasi mi potrei soffermare un attimo sul mio blog, nei prossimi giorni, senza volermi fare propaganda. In realtà non hai capito che il gioco è proprio questo: l’amico Pasquale-fulmini è costantemente impegnato in opera di promozione e l’operazione è riuscita benissimo. Inoltre non ho letto i libri giusti e non mi so esprimere sulle analisi di Gramsci relative all’incidenza nella politica dei media (giornali, radio, televisione, rete, cellulari, siti, blog, Facebook, etc.). Scusami perciò se me ne sto in un angolo defilato anche perché sai che io le cose mi piace provare a farle e non a teorizzarle. Tuo affezionatissimo
Mario (semplice, modesto, ignorante blogsitter)
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banalmente, mi verrebbe da dire che quando avremo un sistema di partiti vero (in cui si attua realmente un meccanismo di selezione/controllo e non un perpetuarsi delle classi dirigenti con meccanismi di cooptazione massonico-mafiosa), allora potremo ragionare sulla crisi dei partiti. La crisi c’era quando Pasquale scriveva negli anni ottanta, ora non ci sono i partiti nel senso in cui li poteva intendere un Gramsci. Che questo avvenga quando in teoria ci sarebbero strumenti di partecipazione più allargati rispetto al novecento mi fa pensare che non dipenda solo da contingenze organizzative. Però, Galatea, anch’io non intravedo altre possibilità..
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@ Galatea / Mariangela
Di ritorno da una lunga passeggiata con mia figlia Sofia (un nome che è un programma), trovo questo tuo appassionato post-commento, del quale ti ringrazio, e cerco di rispondere a caldo.
Dunque… Sì, hai mentito, e continui a mentire (vorrei meglio dire a “errare”, per dirla con Socrate, cioè “per ignoranza della verità”), per esempio quando affermi, a conclusione del tuo post-commento, che “l’unico modo per salvare la democrazia sia una riforma morale e ideologica dei partiti stessi, cioè fondandone di nuovi o riformando quelli che troviamo già in giro”.
Cerco di precisare e chiarire il mio pensiero (attuale, sono sempre pronto a cambiarlo di fronte ad argomenti consistenti):
1) il post che ho pubblicato oggi su http://www.fulminiesaette.it è la trascrizione dei ‘Prolegomeni’ a “Politica e partiti nella critica di Gramsci” (e non di “Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci”);
2) non sono il solo autore del post, l’ho scritto (e dichiarato sempre, anche nel post in questione) con Luis Razeto;
3) essere ‘intellettuale’ e ‘blogger’, in senso lato, è la stessa cosa – vedi definizione allargata di ‘intellettuale’ di Gramsci – richiamata a più riprese nel sito-rivista, specialmente nella rubrica ‘Gramsci’;
4) non ho scritto che nel 1980 io e Gramsci avevamo “già visto giusto, e i partiti e il resto del mondo no” – anche altri avevano visto giusto, lo so bene, ma concedimi di non farne qui l’elenco ragionato – in seguito farò soltanto un nome ma eccellente;
5) non ho scritto che i partiti politici “stavano in una crisi brutta brutta”, bensì che i partiti stavano (e stanno) in una “crisi organica” – vedi concetto di ‘crisi organica” in Gramsci – richiamato a più riprese nel sito-rivista, specialmente nella rubrica ‘Gramsci’;
5) non ho trasformato il mio iniziale blog in un sito-rivista perche’ sono un “intellettuale serio” e “gli intellettuali seri si trovano più a loro agio” in un sito-rivista piuttosto che in un blog. Perché l’ho fatto, allora? Perché i partiti politici stanno morendo, da decenni, e stanno nascendo, da anni, nuove forme di associazione-organizzazione, basate su rapporti ideologici-intellettuali-morali, e non più ideologici-militari-burocratici – come i partiti politici, appunto – associazioni-organizzazioni che Gramsci aveva prefigutaro teoricamente e che chiamava, nei ‘Quaderni’ “riviste di nuovo tipo”, (fra le altre) i siti-rivista, appunto;
6) tu scrivi: “Se guardiamo alla Atene classica, che era una democrazia ma dove non c’erano né Canale5 né Facebook, i rapporti massa/élite dirigenziale e politica non erano molto diversi da quelli odierni… In qualsiasi sistema la decisione vera viene presa sempre da una élite…”, e pensando e scrivendo così commetti un doppio errore teorico:
a] ‘storiografico’ – non bisogna comparare genericamente il presente al passato, una situazione storico-politica (Stato come blocco organico di classi) ed una razionalità teorico-scientifica (scienza della politica) proprie del mondo moderno a una situazione storico-politica (Stato come blocco meccanico di classi) e una razionalità teorico-scientifica (filosofia della politica) proprie del mondo antico,
b] ‘sociologico’ – la teoria delle élites (elaborata da Mosca e Pareto e Michels) è sovrastorica e non coglie la specificità di fenomeni storicamentee geograficamente determinati {Immanuel Wallerstein ha elaborato, negli anni Settanta del Novecento, una sociologia storica che ha in parte superato il limite sovrastorico della ‘sociologia’, noi (Razeto ed io) abbiamo lavorato ad una ‘scienza della storia e della politica’ che tenesse insieme sociologia e scienza della storia, e sociologia e scienza della politica};
7) non ho scritto che bisogna “gestire una democrazia senza partiti”, ma che bisogna riformare la rappresentanza politica, passando gradualmente (non a stacco, ma in dissolvenza incrociata) da forme di rappresentanza nelle quali i rapporti tra scienza e politica, dirigenti e diretti, teoria e pratica sono contraddittorie a forme di rappresentanza che siano organiche.
Questo riguardo alla menzogna ideologica. Quanto alla verità scientifica sono consapevole che si afferma prima o poi. Purtroppo, di solito, non attraverso la discussione, ma la morte: “Una nuova verità scientifica suole farsi strada non in quanto i suoi avversari vengono persuasi e si dichiarano convinti, ma piuttosto perché gli avversari muoiono a poco a poco e la nuova generazione fin dal principio cresce convinta della verità. (Max Planck, [i]Ricordi personali del tempo antico.[/i])
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Caro Pasquale,
di ritorno da una passeggiata con un comune amico, il quale non ha un nome che è un programma e pertanto tanto vale che non lo diciamo neppure, replico a caldo al tuo commento:
1) se uno mi dice che mento – o socraticamente erro per ignoranza, il che non è poi molto diverso – gradirei anche che indicasse quali sono le mie bugie; ma, a mio avviso, tu non lo fai: ti limiti a dire che ho sbagliato a credere che i partiti si possano o si debbano riformare; essendo sinceramente convinta di questa, che è una opinione e come tale io la divulgo, al massimo mi si può accusare di essere scema, non di essere bugiarda;
2)Personalmente non so se essere “intellettuale” sia cosa uguale all’essere blogger, anche perché non me ne importa granché di essere ritenuta una intellettuale: i contorni, gramsciani o meno, della categoria mi sono sempre sembrati piuttosto vaghi. Io sono una che scrive sul suo blog e parla in qualità di blogger, il che non mi obbliga ad essermi letta tutti i libri che certamente hai letto tu, e neppure, lo confesso, tutti i post disseminati nelle varie categorie del tuo blog. Oddio, qualcuno libro l’ho letto anche, magari, ma non stiamo a farne una questione di quantità: se tu mi citi ogni piè sospinto qualche filosofo che ti supporta, io dico, bene, buon per te: io scrivo solo le idee che ho recepito e macinato. Son cazzate? Può essere, ma ognuno, alle proprie cazzate, è affezionato spesso più che a quelle altrui.
3)Se uno mi scrive che i partiti stanno in una crisi organica, io, che magari traduco con linguaggio da serva, ne deduco che stanno in una crisi brutta brutta; una crisi organica, chissà perché, mi fa venire in mente qualcosa di grave assai, sennò si dovrebbe parlare di crisi “passeggera”, o “congiunturale”; ma per carità, con le parole, di certo, sei più abile di me, e quindi m’inchino alla tua superiore sapienza.
4)Che i partiti debbano necessariamente essere forme di aggregazione ideologica-militare-burocratica è una tua interpretazione; lo sono stati fino ad adesso, forse, ma questo non vuol dire che lo debbano restare per sempre. Quanto invece all’idea che il partito possa essere sostituito da riviste o siti rivista, be’ su questo ho molte perplessità. Detto fra noi, mi sembrerebbe una scelta ancora più elitaria e settaria: che facciamo, piccoli gruppetti che si ritrovano in redazione, o su un blog, a chattare ed immaginare il futuro? La versione colta e on line, insomma, di un club della briscola? E poi, scusa, spiegami una cosa: chiamali siti rivista, chiamali club dell’uncinetto, questi nuovi “cosi” farebbero il lavoro dei partiti, ovvero selezionare idee e persone per portarle avanti. Non saranno militarizzati, useranno i pixel al posto del vecchio ciclostile, ma cosa cambia? Per pensare una rivoluzione ci si può trovare su un blog o al caffè: poi ci si divide in Montagnardi e Girondini, credimi, anche se nella versione moderna ognuno avrà un proprio sito molto cool.
5)Ogni analisi (politica, sociale, filosofica o scientifica) presuppone generalizzazioni: mutatis mutandis, la situazione dell’Atene classica può essere paragonata a quella odierna, specie per quanto riguarda la rete del web. In tal senso era da intendere la mia analogia. La distinzione che tu fai fra una scienza della politica e una situazione storico politica è evidente; ma nel momento in cui tu tenti la via di una scienza della politica, devi per forza cercare esempi che trascendano il momento storico contingente da cui estrarre regole valide al di là del tempo. Quindi anche tu, nel momento in cui, trascendendo trascendendo, usi analisi gramsciane applicandole ad un contesto temporale diverso da quello per il quale furono create fai lo stesso tipo di generalizzazione che contesti a me. Come la mettiamo?
6)Tu scrivi : “non ho scritto che bisogna “gestire una democrazia senza partiti”, ma che bisogna riformare la rappresentanza politica, passando gradualmente (non a stacco, ma in dissolvenza incrociata) da forme di rappresentanza nelle quali i rapporti tra scienza e politica, dirigenti e diretti, teoria e pratica sono contraddittorie a forme di rappresentanza che siano organiche.” Cioè, in pratica?
7)Quanto alle menzogne ideologiche e alle verità scientifiche, caro Pasquale: avrà ragione Max Plank, ma io, a questo punto, non so perché, faccio potenti scongiuri…
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Credo che Reagan c’entrasse un gran poco con l’ edonismo italiano anni ’80: sono del ’69, e negli anni di piombo ricordo gli amichetti (figli di) comunisti e democristiani che si scazzottavano per ragioni politiche, o raccontare barzellette su Moro a pochi giorni dall’ uccisione.
A parte quattro fanatici i miei coetanei hanno sviluppato una repulsione istintiva per la politica, e gli avvenimenti successivi l’ han solo rafforzata.
Detto questo, credo che tu e Pasquale abbiate un’ idea diversa di partito: la tua, più generica, include quelli leggeri come il PDL, mentre nella sua ci stanno giusto il PCI di Togliatti o il PNF di Mussolini, in cui il controllo delle elite sulla massa era portato all’ estremo.Grazie a dio (o Quetzacoatl, se preferisci) questi ultimi sono finiti nell’ immondezzaio della storia, almeno per ora,e non ne sentirò certo la mancanza.
La vera crisi che politica che viviamo è quella dell’ elite corrente che cerca di stare in piedi senza rappresentare adeguatamente gli interessi dei cittadini.Ci serve una nuova elite con dei nuovi partiti, ma non è il concetto di partito ad essere in crisi, quanto i partiti che abbiamo ora.
Purtroppo il ricambio dei primi anni ’90 non ha dato grandi risultati.
@Pasquale
Sul tuo sito ho fatto un giro giusto oggi per leggere l’ articolo in oggetto.
Forse il tuo linguaggio e le tue citazioni sono adatte al contesto di una rivista sociologica, ma su un blog come questo aiuterebbe molto scrivere in Italiano corrente senza troppi rimandi a tizio e caio.
Una frase però sento di commentarla:
>>la scienza non subisce più il primato della politica e rivendica piena autonomia
Scusa, ma questa non ha nessun senso.
La scienza non c’entra un fico con la politica e la rivendicazione è un concetto politico.
D’accordo, si può far politica in nome di qualunque cosa, dalla scienza alla religione a alle figurine panini, ma resta politica.
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Una nota su Planck:
non sono sicuro, ma credo si riferisse alla sua polemica con Einstein sul non determinismo nella fisica quantistica, ed andrebbe letta più o meno:
“Troppi non digeriscono la mia teoria perchè il vecchio Albert ha preso un granchio ed insiste a ripetere che Dio non gioca a dadi.Vedrete che morto lui se ne faranno una ragione, visto che i risultati sperimentali sono con me.”
Ci ha preso, ovviamente, ma non pensava a nulla di sanguinario, solo alla normale evoluzione delle idee tra gli uomini.Triste che funzioni così persino in Fisica.
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Cara Mariangela,
tu sei una polemista di razza. La discussione è un’altra cosa. Ti avevo offerto un pezzo di scienza politica sulla questione della crisi dei partiti e sei scivolata nel “ah, vuoi la guerra? adesso ti faccio vedere io! beccati questa, e questa!” E mi hai fatto il verso.
Sei troppo interessata a esibirti davanti alla tua corte. L’agorà era ed è un’altra cosa.
Auguri. Di buone feste. E anche di buon anno. Dispari.
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… io lo so perché in Italia vince Berlusconi. Perché spara una marea di cazzate, si contraddice, racconta barzellette, si incazza, fa l’occhiolino, cita i figli, stringe mani, dà pacche sulle spalle, si indigna, canta, balla, insomma è sostanzialmente incapace di governare ma fa benissimo il pagliaccio e trasforma la politica in spettacolo di bassa lega.
Tanto bassa che lo capiscono tutti, anche chi non casca nei suoi tranelli, anche chi non lo vota, anche chi non lo sopporta come me che quando lo vedo mi si torce lo stomaco.
Invece la sinistra non la capisco. Non la capivo neanche quando frequentavo la sezione. Non dico che si debba imitare il modello Berlusca, ma non credo che ridurremo la distanza tra massa e classe politica a suon di citazioni dotte e lingue morte.
Con tutto il rispetto per le finezze, i colpi di fioretto, la polemica, la retorica.
Buon Natale a tutti 🙂
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@ Marino
Non vorrei esagerare (Galatea è stata generosa con me, leggendo a scrivendo) ma devo due parole a Marino:
Qui non si suonano citazioni dotte e lingue morte. Qui si cerca di sentire-comprendere-capire la struttura e il divenire del mondo grande e terribile. Per fare la qual cosa, se non si chiacchiera perdutamente ai tavolini di un bar di provincia, bisogna usare concetti, teorie, scienze economiche-politiche-storiche e linguaggi scientifici adeguati.
Può darsi che Galatea ed io (certo per responsabilità mia e del carattere che mi ritrovo) lo abbiamo fatto imperfettamente. Ma ci abbiamo provato. Provaci anche tu Marino. Dicci, di grazia, come occorre affrontare il problema della crisi dei partiti politici. Galatea ed io ti ascolteremo volentieri fianco a fianco, e lei mi darà le gomitate sorridendo, ne sono sicuro.
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Marino, sempre Marino. Sei il solito ignorantone. Così non mi trovo da solo. Il tuo commento mi giunge chiaro e netto. Ma qui si parla di “scienza della politica”. Dovresti essere almeno tranquillizzato nello scoprire che David Beckham esiste? Non hai anche tu l’impressione che qualcuno, con tutto il rispetto, abbia fatto cadere l’alberello e si siano frantumate le palle? E quando ci troveremo in quel bar di provincia non ci scommettere su chi cadranno le gomitate della nostra amica.
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Non faccio il gastronomo politico e quindi ricette non ne ho se non di usare quel briciolo di intelligenza che mi è rimasta sperando che chi interloquisce con me (acc… ho usato una parola difficile) abbia l’umiltà di mettersi al mio livello per farmi entrare nella zucca anche concetti alti che potrebbero servirmi per crescere.
La forma non mi dispiace e ogni tanto mi ci diverto pure, ma resto convinto del fatto che la “massa” di cui facciamo parte tutti, alti bassi larghi stretti, colga molto più agevolmente le poche sfumature della sostanza, senza bisogno assoluto di sapere chi ha detto questo e chi ha detto quello.
Anni fa da queste parti c’era un comandante dei vigili che in fondo alla sua agenda aveva trascritto un elenco di parole e frasi in latino da citare nei momenti che riteneva opportuni. A volte le buttava lì a casaccio e comunque non si capiva mai cosa volesse intendere.
Ecco tutta ‘sta prosopopea (prosopopea non è difficile dai!) forse un po’ serve anche a non farsi capire o peggio, a non voler dire.
(Mario > io mica sono convinto che David Beckham esista!)
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@->Pasquale: Francamente, Pasquale, non ho ben capito: abbi pazienza, ho i miei limiti. Che cosa sia la tua “scienza politica” mi sfugge, e mi sfuggono, soprattutto quali siano le soluzioni che tu proproni. L’agorà, hai ragione, era un’altra cosa, perché per fare gli editti bisognava anche chiarire cosa si volesse fare, e come. Se me lo spieghi, in pratica, forse riesco finalmente a seguirti nel ragionamento. Quanto all’esibirmi per il “mio pubblico” sì, magari hai ragione; capita, quando un pubblico lo si ha.
Quanto a Marino, non ti preoccupare, Pasquale: lo conosco da una vita, e lo so perfettamente in grado di seguire le sfumature di lessico e di significato, nonché i ghirigori verbali di chiunque: è uomo intelligente, uno dei migliori blogger che conosco, e scrive benissimo. Per cui, Pasquale, facciamo così: tu spieghi a noi in un linguaggio comprensibile cosa proponi, e io e Marino ci sediamo davanti a te, dandoci sorridendo gomitate….
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“Ti avevo offerto un pezzo di scienza politica sulla questione della crisi dei partiti e sei scivolata nel “ah, vuoi la guerra? adesso ti faccio vedere io! beccati questa, e questa!” E mi hai fatto il verso.”
Galatea, tu sei troppo gentile, uno così si manda a … quel paese.
Ma chi si crede di essere?
Da IGNORANTE quale sicuramente sono sentenzio:
Pippe, pippe mentali, pigne nel cervello e qualche problema relazionale.
Saluti e baci e buone feste a tutti anche “allintellettuale” (tutto attaccato).
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@ Mariangela
Ti ringrazio della pazienza e, nonostante la tua corte sia progressivamente sguaiata, dopo averti ricordato che una serie di posts e saggi a partire da Gramsci li puoi trovare nel sito-rivista http://www.fulminiesaette.it, rubrica ‘Gramsci’ (uno di questi rifonda i concetti marxiani di ‘struttura’ e ‘superstruttura’, ed è seguito da uno scambio di lettere con Louis Althusser), trascrivo qui di seguito l’incipit dei ‘Prolegomeni’ di ‘Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci’ (De Donato 1978). Buona lettura. E fammi sapere cosa ne pensi: io sono effettivamente interessato al tuo pensiero, che trovo critico e spiritoso. Forse troppo polemico. Ma riconosco che il mio “sarcasmo appassionato” può, in certi casi, istigare alla reattività difensiva.
*
Prolegomeni
Le scienze storiche e politiche si trovano oggi nella necessità di comprendere, spiegare e dare risposte ad un insieme di fenomeni e di problemi che investono gli Stati contemporanei, la cui complessità e novità sono tali da evidenziare le carenze degli strumenti conoscitivi di cui dispongono le culture più avanzate. L’insieme di questi fenomeni e di questi problemi è solitamente compreso sotto il termine generico di ‘crisi’, ma le teorie finora elaborate sulle crisi economiche e politiche non sembrano sufficienti a dare ragione della novità e complessità che caratterizzano la crisi attuale e ad indicare adeguate politiche per affrontarla; ciò rivela che essa coinvolge le scienze storiche e politiche medesime.
Possiamo intravedere la natura complessa e nuova di questa problematica attraverso una preliminare considerazione di alcuni tra i sintomi più evidenti dell’attuale situazione critica: nel mondo capitalista un processo di rottura degli equilibri del mercato internazionale, proprio nel momento in cui l’annodarsi dei problemi (disoccupazione, inflazione e stagnazione in quanto fenomeni non puramente congiunturali ma piuttosto tendenziali, conseguenze e parti del modo in cui le forze produttive si sono sviluppate) esige soluzioni internazionali, che tuttavia sono contraddette dagli interessi e dalle ragioni politiche degli Stati nazionali. Ancora: la contestazione – attiva e passiva – del sistema istituzionale, sempre più estesa e profonda, che pone in questione la separazione tra dirigenti e diretti e spinge questi ultimi a mettere in discussione la legittimità della rappresentanza nelle sue attuali forme. Infine: la caduta di capacità delle ideologie dominanti nel suscitare il consenso indispensabile ad assicurare l’integrazione sociale e ad evitare i sempre più vasti fenomeni di decomposizione morale nella convivenza civile. Nel mondo socialista, a sua volta, la difficoltà dei rapporti tra i diversi Stati (l’acuta conflittualità tra l’Unione Sovietica e la Cina popolare, l’occupazione della Cecoslovacchia ad opera delle forze militari del Patto di Varsavia come modo di garantire un certo sistema di rapporti intersocialisti) proprio nel momento in cui la competizione tra i sistemi capitalista e socialista, e l’interna necessità di uno sviluppo socialista basato su una pianificazione coinvolgente i diversi Stati, abbisognano di un internazionalismo che pervenga ad un livello qualitativamente superiore. Ancora: la divergenza tra un insieme di trasformazioni rivoluzionarie nella struttura sociale e di notevoli successi nella crescita economica da una parte, e le cristallizzazioni burocratiche nelle sovrastrutture politiche e culturali dall’altra; tra la pianificazione accentrata e tecnica e la necessità di partecipazione e controllo di massa nei processi decisionali. Infine: la persistenza del ricorso a pratiche amministrative nei confronti della intellighentsia dissenziente.
Senza ancora proporre un’interpretazione di questi fenomeni e problemi, possiamo intanto cogliere in essi due caratteristiche definitorie della crisi attuale. Il suo investire l’insieme degli Stati, e il suo coinvolgere unitariamente economia, politica e cultura. Il mondo contemporaneo cioè attraversa una fase di crisi organica generalizzata – una fase della vita collettiva caratterizzata da un processo di scissione fra la ‘struttura’ e la ‘sovrastruttura’ -, che ha contenuti e adotta forme diverse negli Stati capitalisti e socialisti, manifestandosi tuttavia in ambo i sistemi come fenomeni interrelati. È una fase in cui le varie formazioni economico-politiche sono di fronte alla necessità di compiere scelte radicali, tali da riorientarne il complessivo sviluppo futuro. La persistenza della crisi è connessa alle insufficienze teorico-scientifiche nella comprensione e nella risposta a quest’ultima e il suo superamento è legato alla costruzione di una nuova scienza della storia e della politica, capace di avviare il passaggio ad una nuova epoca politica.
Capire questo rapporto tra crisi e scienze implica esaminare la crisi organica attuale come risultato di un processo storico le cui origini rimontano a quell’altra epoca storica di crisi internazionale, che segnò l’inizio dell’attuale assetto mondiale. Decisivi furono gli anni 1929-32. Gli anni, nel mondo capitalista, in cui l’acutizzarsi dello squilibrio economico-finanziario è la premessa di una riorganizzazione istituzionale del ciclo di accumulazione marcata principalmente dall’intervento sistematico dello Stato come fattore regolatore necessario. L’odierna crisi manifesta il logoramento di quel progetto di sviluppo economico, di ristrutturazione dello Stato e di ricomposizione dei rapporti tra economia e politica. Nel mondo socialista, in quel tempo rappresentata soltanto dall’URSS, sono gli anni della grande ‘svolta’ caratterizzata dalla politica di industrializzazione accelerata e di collettivizzazione dell’agricoltura, che ebbe come corollario il fenomeno che conosciamo come ‘stalinismo’. La crisi che oggi percorre il mondo socialista esprime a sua volta il logoramento di quel ‘modello’ di sviluppo economico, di organizzazione dello Stato e dei rapporti tra dirigenti e diretti.
Ora, l’analisi di quella crisi e l’elaborazione delle risposte ad essa furono condotte da determinate scienze sociali le quali, pur conservando distinte strutture concettuali – di derivazione marxista nel mondo socialista, di derivazione sociologica nel mondo capitalista – , avevano in comune un complesso di fondamenti teorici e di connotazioni metodologiche che ci permettono di assumerle sotto la denominazione generale di sociologie. Il logoramento di quelle analisi e di quelle risposte alla crisi segna oggi la crisi di quelle strutture conoscitive, ed evidenzia la necessità della costruzione di una nuova scienza che comprenda, spieghi e dia risposte alla crisi organica attuale. Questo è il nostro programma di lavoro.
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Cara amica
una sola considerazione: io solitamente passo per questo spazio, e lo sai che lo faccio spesso, per la gioia di leggere te.
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ok ok… alzino una mano tutti gli sguaiati che sanno (senza usare google) cosa significa “prolegomeni”.
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Io, Marino. Però c’è un però, sono stato omaggiato del libro e il vocabolo l’ho ricercato allora con lo Zannichelli.
Finalmente questo blog sta ritrovando il suo spirito ironico.
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Prolegomeno: brutta malattia che colpisce gli intellettuali e gli aspiranti tali nell’atto di scrivere un libro; invece di scriverlo, si fermano all’introduzione e continuano a limare quella. In cui introducono, introducono, introducono parole senza mai portare il lettore a nessuna conclusione. La malattia ha una sua fase orale, il premessismo, che induce il soggetto infetto a iniziare qualsiasi discorso con “Devo fare una premessa” e andar avanti a parlare di cose che non c’entrano un caspita per le successive due ore. Una volta contratta è difficilmente curabile. 😀
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poi non lamentatevi se i numi si scocciano e mandano un po’ di terremoto
😉
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Ma allora, con tutti gli incipit che ho scritto, sono un premessista anch’io!!! :(( …
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Parlandosi di corte e cortigiani, io che la corte a galatea la faccio da molto, intendo farmi presente, a scanso di errori nel conteggio 🙂
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@->marino: no, tu sei un incipitista… al massimo stai attento alla sindrome da incipit interruptus… 😀
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Abbi pazienza Pasquale, ma un post così lungo che inizia con un delirio su Gramsci e la sovrastrutture marziane (non sapevo nemmeno che i fascisti l’avessero portato con loso su Marte) per passare ai prolegomeni al massimo me lo farei leggere su una nave Vogon.
E se non ci avessi fatto caso, sia Gramsci che Marx sono sulla strada dell’ oblio di cui parlava Planck.
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Prolegomeno lo dici a tuo fratello.
C’è grossa crisi ( cit.Quelo-Corrado Guzzanti).
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@ Mariangela
Se mi fai conoscere la tua e-mail privata ti spedisco privatamente (e personalmente) il testo completo di ‘Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci’, De Donato 1978. So che ti sei incuriosita e non vedi l’ora di leggerlo. (Forse si può trovare in qualche libreria di libri usati, ma non saprei dirti quale. Comunque, siccome l’ho recentemente trascritto – nella prospettiva dell’Edizione Critica – non ho problemi a fartene avere copia.)
Di seguito, se vorrai, ti farò avere anche ‘Politica e partiti nella critica di Gramsci’ (privatamente e personalmente).
Se non te la senti, per gli impegni di lavoro, di lettura, di scrittura, che hai a leggere né l’uno né l’altro, puoi sempre leggere ‘Sulla ricostruzione gramsciana dei concetti di struttura e superstruttura’: lo trovi nella rubrica ‘Gramsci’ del sito-rivista http://www.fulminiesaette.it
E’ un saggio di 12 pagine, pubblicato da “Rassegna Italiana di Sociologia’, 1977, n. 3 – nel quale critico storicamente e teoricamente la coppia concettuale marxiana struttura-superstruttura, fondamentale per tutto il marxismo e più in generale per tutte le scienze sociali contemporanee, e propongo – a partire da Gramsci – una nuova coppia concettuale, capace di risolvere in modo superiore il cruciale problema teorico-scientifico che si potrebbe tradurre nella domanda: “come nasce il movimento storico?”
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Probabilmente nessuno è interessato al mio pensiero, ed è giusto così, ci mancherebbe.
Rilevo solamente che riportare come attuale un’introduzione del 1978, nella quale si parla di conflittualità tra URSS e Cina all’interno di un sistema socialista ove abbisognerebbe ” più internazionalismo”, risulta quantomeno strambo , dato che oggi Russia e Cina confliggono in quanto paesi produttori e mercanti, non in quanto paesi socialisti.
Infatti siamo nel 2008.
State bene; inchino e baciamano alla padrona di casa.
Ghino La Ganga
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Il sempre acuto Ghino mi ha preceduto nell’osservazione che si tratta di argomenti “datati”, e su fatti che sono cambiati enormemente da allora.
Posso solo aggiungere che dalla mia infima posizione mi sembra di osservare che nemmeno il prode Pasquale riesca poi a capirci molto, anche se nasconde l’ignoranza sotto un diluvio di parole. Tecnica molto usata da chi privilegia la forma sul contenuto, specialmente se il contenuto tende a sfuggirgli come un’anguilla.
Quando mi capita di leggere alcuni degli autodefiniti “intellettuali”, mi viene da ringraziare l’esistenza di Confindustria, perchè proporrà una politica di rapina, ma almeno ha la giustificazione di voler difendere i propri grassi interessi, ed è tutto sommato anche facile capire come opporsi a quella politica.
Quando invece si discquisisce sulla scienza della politica in certi modi, puoi solo cercare freneticamente intorno per cercare di capire da dove ed in che modo cercheranno di fotterti…..
Me è sicuramente la mia ignoranza che mi fa provare queste sensazioni di insicurezza e pericolo quando vengono usate, a me sembra inutilmente ed impropriamente dato il contesto, tante parole e tanti concetti intricati….
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Ora che sono certo che si è trattato di uno scherzo, non può essere diversamente, non può esistere una così titanica lotta tra sordi, qualcuno che voglia ignorare la semplice ed elementare parola che si nasconde dietro una tracimazione di paroline che vogliono nascondere pazienza e gentilezza, ora, dicevo, posso giocare anch’io: il primo titolo te lo posso allungare in un paio di minuti. Scusami ma ho scordato la mail e l’interlocutore continua a non capire che deve linkare il post e non la home. Avevo osservato quanto sottolinea Ghino ma anche in questo caso credevo facessimo a chi la spara più grossa.
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Caro Pasquale,
come giustamente immagini, fremo dalla voglia di leggere i tuoi scritti e la tua opera omnia. Purtroppo in questo momento sono un po’ ingorgata di libri: per esempio, confesso che da qualche anno cerco di digerire Impero di Toni Negri, che quanto a scienza della politica e a stile certo è molto affine ai tuoi scritti, ma, a causa dei miei limiti di comprendonio e alle mie carenze intellettuali, arrivata a pagina 110 mi abbiocco, e non varco mai la soglia della pagina 111. Abbi pazienza, per me qualsiasi cosa più complicata di un romanzo harmony richiede sforzi tremendi di concentrazione: a stento seguo le trame di Harry Potter . Facciamo così: quando esco dal tunnel di Negri, ti faccio un fischio, e così mi puoi inviare i tuoi saggi. Dovessi anche metterci un decennio a riceverli, non mi preoccupo, tanto i tuoi scritti, come mi dimostri tu, sono sempre attuali. Sono convita che, per allora, avrai fatto a tempo ad approntarne addirittura l’edizione critica. Ecco, quella non me la vorrei proprio perdere, ve’.
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@ Mariangela
Bene. Tu e la tua corte avete offerto una bella rappresentazione di ciò che Luis Razeto definisce gli “intellettuali frivoli”, i quali si lamentano di quanto male vada il mondo ma poi, quando si offre loro la possibilità concreta di interpretarlo-trasformarlo costruendo concretamente “il sogno di una cosa” (Marx) , lasciano perdere – hanno ben altro da fare.
Io preferisco definirli “intellettuali puramente disfattisti”: “Non è puro disfattismo trovare che tutto va male e non indicare criticamente una via d’uscita da questo male? Un ‘intellettuale’ ha un modo d’impostare e risolvere il problema: lavorando concretamente a creare quelle opere scientifiche di cui piange amaramente l’assenza, e non limitarsi a esigere che altri (chi?) lavori.” (Gramsci)
Ripeto (sono fatto della stessa materia di cui è fatto il Piccolo Principe di Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry):
Se non te la senti, per gli impegni di lavoro, di lettura, di scrittura, a leggere né ‘Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci’ né ‘Politica e partiti nella critica di Gramsci’, puoi sempre leggere ‘Sulla ricostruzione gramsciana dei concetti di struttura e superstruttura’: lo trovi nella rubrica ‘Gramsci’ del sito-rivista http://www.fulminiesaette.it
E’ un saggio di 12 pagine, pubblicato da “Rassegna Italiana di Sociologia’, 1977, n. 3 – nel quale critico storicamente e teoricamente la coppia concettuale marxiana struttura-superstruttura, fondamentale per tutto il marxismo e più in generale per tutte le scienze sociali contemporanee, e propongo – a partire da Gramsci – una nuova coppia concettuale, capace di risolvere in modo superiore il cruciale problema teorico-scientifico che si potrebbe tradurre nella domanda: “come nasce il movimento storico?”
Il resto sono chiacchiere.
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No, mi sono detto, non rispondere alle provocazioni. Oggi è la vigilia di Natale e questo è il blog di Galatea. Bisogna sapersi contenere in casa d’altri.
Ma disfattista non me lo faccio dire caro Pasquale. Frivolo forse sì, a volte lo ritengo necessario e persino vitale e non nell’accezione superficiale del termine ma in quella sana della frivolezza che satireggia, punzecchia e, lo ammetto, può dar fastidio.
Disfattista è colui il quale disfa, smonta, provoca per il gusto fine a se stesso di provocare ed è inteso sempre in senso negativo e ostile. Disfattista è un pessimista cronico la cui pigrizia intellettuale porta a cedere all’opportunismo. Disfattista è un involucro vuoto che puzza di livore, rimpianti e rancori.
Caro Pasquale, come mi insegni, le parole hanno un peso.
Non mi conosci e nemmeno lontanamente puoi sapere ciò chi io faccio o non faccio per cercare di migliorare il mondo. Non è certo colpa tua ma quando e se mai lo saprai potrai decidere di affibbiarmi il titolo che più ti parrà adatto.
Fino a quel giorno lasciati avvolgere dal dubbio e fatti qualche domanda oltre che dispensare la tua un po’ spocchiosa, inarrivabile saggezza e conoscenza.
Buon Natale.
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Cazzarola, a me la qualifica di “intellettuale frivolo” non l’aveva mai tributata nessuno.
Grazie, Pasquale.
Ah,dimenticavo: quando hai finito con Gramsci,dai un’occhiata anche all’Atlante Geografico,così magari ci fai criticamente capire dove son finiti i carri armati sovietici che occupavano la Cecoslovacchia nel 1968.
Va a finire che dopo la scissione in due stati del 1993 son rimasti la metà a Praga, e l’altra metà a Bratislava; hai visto mai.
Auguri,stai bene.
Ghino La Ganga
Ps,per Mikecas e Mario: oh,non è che ci stiamo trovando un po’ troppo sulle stesse posizioni,Vioaltri e me?
Mi spaventate…ma ditemi bene dove siete, Voi e i Vostri carri T-34: a Praga o a Bratislava?
Perchè,pur volando alto a bordo del mio Bell UH-1, da quaggiù a Keh Shan faccio fatica a vederVi….
😀
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In effetti, Pasquale, mi pare che tu abbia un po’ esagerato e che ora tu sia anche pesantemente offensivo.
Finché ti sei limitato ad offendere me, passi, ma ora che attacchi anche altri amici, non te lo posso permettere.
Sei entrato nel mio blog imponendo una discussione che non c’entrava nulla, alla ricerca di una visibilità che non riesci ad ottenere sul web di tuo. Ho cercato di essere cortese, ma non è servito a nulla; allora smetto, così magari ci chiariamo una volta per tutte.
Ci hai trattato come una massa di imbecilli perché non siamo in grado di decrittare un testo datato e fuori tempo – testo, che, peraltro, nessuno di noi aveva minimamente sollecitato te a postare qui – e che, lasciatelo dire, è in larga parte incomprensibile; nella parte in cui non lo è, richiede per essere capito un notevole sforzo di esegesi, assolutamente ingiustificato, peraltro, quando poi si va ad analizzare la banalità dei concetti che tu ammanti di tanta retorica.
Non basta chiamare una cosa “scienza della politica” perché questa abbia una sua valenza, e si può anche aver studiato per anni un problema senza averci capito un beneamato: ne sei la dimostrazione. Non proponi, mio caro, una soluzione che sia una a fine della tua analisi, se non l’idea che i siti-rivista come il tuo potrebbero essere una alternativa ai partiti. Ti ho spiegato che, a mio avviso, sono una alternativa ridicola; se, per giunta ci aggiungi che dovrebbero essere lasciati da gestire a persone come te (per inciso, non sai nemmeno mettere un link alla pagina giusta!), vaghe e spocchiose, credo che anche come semplici riviste siano destinate al fallimento a prescindere.
Hai platealmente dimostrato nei tuoi interventi di essere incapace di sostenere una discussione critica e costruttiva, perché alle obiezioni di merito non rispondi, se non ripetendo i tuoi mantra e accusando gli altri di non essere all’altezza di capirli; sei inoltre tragicamente privo del minimo senso dell’umorismo e di quel tanto di leggerezza nell’argomentare che – preparati: tiro fuori una citazione colta – Calvino amava tanto e considerava doverosa per chi scrive. Per giunta, messo all’angolo, quando ti accorgi che qui nessuno ti dà ragione – e un motivo ci sarà, no? – risolvi la cosa offendendo e dicendo che non siamo all’altezza di capire l’enorme portata dei tuoi sublimi ragionamenti. Benissimo, inutile dare le perle ai porci: torna nella tua rivista-sito/aspirante partito politico o che cazz’è. Quando avrai rivoluzionato il mondo con il fulgore delle tue idee noi, qui, dal nostro infimo, ti batteremo le mani.
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@->Ghino: Scusa, ma la prossima volta mi passi a prendere con l’aereo? 😉
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@->Marino: quando non vi è abitudine è proprio sulle parole semplici che si incespica. Già di quel iniziale “mentire” vi è un uso improprio e improvvido. Tranne non si sottenda che quel che sappiamo è solo di non sapere e che prima di parlare dovremmo informarci presso la Verità informandoci della verità.
@->Ghino: a volte ci si incontra. A volte è il, chiamiamolo, caso che fa incontrare. Io sto fermo nelle mie posizioni ma non è che sia poi così sordo. Sto a due passi dalla padrona di casa e i carri… non ricordo più dove li ho parcheggiati. Comunista sì ma già allora stavo dall’altra parte, dalla parte della bocca del cannone perché in certa sinistra la crisi della politica ha qualche anno in più di quelli finora enunciati. E ricorda ch’è sempre chi non sa che insegna, e colui che non fa ha tutto il tempo per insegnarti cosa e come fare.
@lla padrona di casa: informati. Leggi com’è finita per Louis Althusser per provare a parlarci. Il resto te lo dico magari a voce. L’ospite potrà sempre dire che “almeno qui non viene censurato”. E non ti preoccupare ne dare riguardi per me, se deve essere che scomunica sia. Come dico spesso: chi è colpa del suo mal pianga sul cesso. E dillo che ci hai guadagnato in contatti anche tu. 🙂
PER CHI HA UN ATTIMO DA PERDERE: ve lo do io il link giusto che spiega se c’è da spiegare perché le cose o si sanno o si mentono. Anche noi quel giorno, io e Gala, siamo andati per vedere come nasce un aborto.
BUONE FESTE A TUTTI
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@Galatea
Non so gli altri, ma personalmente ‘sto cianciare di corte ed “intellettuali frivoli” più che offendermi mi diverte.
Son convinto che Pasquale voglia soprattutto promuovere le sue idee (trentennali) su un’ uomo morto una settantina d’anni fa. E farlo in un thread che ormai avrà si e no una ventina di lettori ( in buona parte dichiaratamente disinteressati alla cosa ) blandendoli a suon di insulti mi pare estremamente buffo.
@Mario
incredibile, anni di studio di scienza politica per definire democratiche le “primarie per Veltroni”
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@ Marcello
E’ vero, Gramsci è morto 71 anni fa. E Marx è morto 125 anni fa. Toni Negri è vivo e vegeto. Non parliamo di Fausto Bertinotti. La teoria della relatività è nata addirittura 103 anni fa. E allora?
Vuoi sapere cosa pensava Gramsci di se stesso? Di essere un epigono. E allora? “Perché gli Epigoni dovrebbero essere inferiori ai progenitori? Nella tragedia greca, gli ‘Epigoni’ realmente portano a compimento l’impresa che i ‘Sette a Tebe’ non erano riusciti a compiere. Il concetto di degenerazione è invece legato ai Diàdochi, i successori di Alessandro.” Quaderno 8 – 1931-32.
Come? Vuoi sapere chi erano secondo Gramsci i Sette a Tebe del marxismo?
Marx, Engels, Lenin, Trotsky, Bucharin, Rosa Luxemburg e… Weber.
Come? Vuoi sapere chi sono i Diadochi contemporanei? Guardati intorno, e dentro.
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Be’, i diadochi erano pure simpatici. In fondo, storicamente parlando, il nuovo mondo ellenistico l’hanno fondato loro, più che Alessandro. A me fare la diadoca mica mi dispiacerebbe. Fra le discendenti dei diadochi, poi, si trovano un sacco di regine colte e toste, come Berenice o come Cleopatra. Sì, i diadochi van benissimo. Meglio di certi epigoni, che, a ben guardare, si limitano a distruggere una città per risollevare l’orgoglio dei babbi morti come idioti…
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io non credo che ci sia bisogno di tanti giri di parole per arrivare al fatto che purtroppo il Brunetta ha pure ragione: ci sono troppi fannulloni in Italia…..
ma non stanno dove pensa lui…..
😉
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@ mikekas
Proponi un tema molto interessante: è utile la filosofia?
E, in questo nostro caso: è utile porsi (e provare a risolvere) il fondamentale problema teorico-scientifico che Gramsci, pensando a Gennariello, traduceva nella domanda: ‘come nasce il movimento storico?
(E’di questo che tratta ‘Sulla ricostruzione gramsciana dei concetti di struttura e superstruttura’: lo trovi nella rubrica ‘Gramsci’ del sito-rivista.
E’ un saggio di 12 pagine, pubblicato da “Rassegna Italiana di Sociologia’, 1977, n. 3 – nel quale metto radicalmente in discussione la coppia concettuale marxiana struttura-superstruttura, fondamentale per tutto il marxismo e più in generale per tutte le scienze sociali contemporanee, e propongo – a partire dal Gramsci dei ‘Quaderni’ – una nuova coppia concettuale, teoricamente superiore.)
Io penso di sì e ancora di sì.
E’ utile la filosofia, ed è utile il superamento teorico del ‘materialismo storico’, alla base del quale stava e sta la coppia concettuale ‘struttura’ – ‘superstruttura’.
La filosofia serve (ogni giorno, a tutti, non una volta per tutte a qualcuno) per passare ‘dal mondo del pressappoco all’universo della precisione’ (Alexandre Koiré).
Superare la base teorica ultima, fondamentale, costituente, del materialismo storico serve poi a continuare (diciamolo grossolanamente) la critica del capitalismo, e farlo in forma più realistica (la ‘filosofia della praxis’ di Gramsci è più realistica del ‘materialismo storico’ di Marx), più… storico-critica, più… scientifica:
“Nell’impostazione dei problemi storico-critici, non bisogna concepire la discussione scientifica come un processo giudiziario, in cui c’è un imputato e c’è un procuratore che, per obbligo d’ufficio, deve dimostrare che l’imputato è colpevole e degno di essere tolto dalla circolazione. Nella discussione scientifica, poiché si suppone che l’interesse sia la ricerca della verità e il progresso della scienza…” (Gramsci, Quaderni)
Ma tu, mikecas, sei interessato alla ricerca della verità ed al progresso della scienza ed al superamento del capitalismo? Ricordati che “Solo chi vuole il fine vuole i mezzi idonei a raggiungerlo.” (Gramsci – sì, Gramsci, questo nostro fratello maggiore tanto noto quanto sconosciuto).
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Pasquale, sei al limite dello spam, ormai….
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Preciso che credo la parola spam non presente nel vocabolario del nostro interlocutore, che il citato, da lui, Gennariello, è una persona simbolica che richiama quando sostiene di parlare in modo “comprensibile” ai tutti cioè ai non addetti che detto qui suona un po’ come agli handicappati.
Per me scrivo qui la parola FINE
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Peraltro, se Pasquale continua a citarmi Gramsci, e comincerò a concordare con Ghino La Ganga e manderò a quel paese anche io il povero Gramsci, con tutti i Quaderni. Baaastaaaa!
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Cara Galatea,
ti ringrazio della squisita ospitalità.
Pasquale
Punto.
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(…) TOTÒ – Che è? … Scusate se sono poche… Ma settecentomila lire, punto e virgola, noi ci fanno specie che quest’anno, una parola, questanno c’è stato una grande moria delle vacche,
PEPPINO – … una grande …
TOTÒ – Come voi ben sapete. Punto!
PEPPINO – Punto.
TOTÒ – Due punti!
PEPPINO – … due punti…
TOTÒ – Ma sì… fai vedere che abbondiamo… abbundandis in abbundandum. (…)
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