L’importanza di essere vintage

divano

Assunta e Miriana, per essere sorelle, non potrebbero presentarsi più diverse, fin dal nome: l’una l’ha ereditato da una nonna siciliana, e, per quanto bruttino, s’è adattata a portarlo, perché la nonna è nonna e lei, in fondo, le voleva un gran bene; l’altra, più fortunata, all’anagrafe s’era beccata un Marianna senza particolari controindicazioni, derivante da una prozia; ma “Marianna” non suonava bene, era chip, o comunque non era cool, e quindi, fin da subito, ha imposto agli amici e ai parenti, con ultimatum non negoziabile, di chiamarla Miriana, o Miry, se si vuole proprio far presto o si sono finiti i 140 caratteri di sms.

Assunta fa l’impiegata e Miry la commessa di boutique molto sciccosa: guadagnano uguale, ma Miry ha una vita molto più in: il sabato va al discopub, dopo un happy hour con gli amici, e sia ben chiaro che i locali che frequenta devono essere quelli hot, non nel senso di riscaldati, ma nel senso che sono pieni di gente giusta che fa cose fiche, beve drink, sa di gossip e infarcisce ogni due secondi le frasi di parole inglesi molto trend, che sono anche, assai spesso, le uniche intellegibili da chi non fa parte del gruppo, dato che tutto il resto della conversazione si svolge a monosillabi incasellati senza alcuna conoscenza della sintassi italiana di base.

Assunta non ama granché le discoteche, se deve uscire lo fa con Pietro, il moroso storico con cui convive da sempre, e preferisce una pizza noiosa in un locale a prezzo fisso.

Fra le due ci sono tre anni di differenza, ma sembra che la distanza sia di ere geologiche: Assunta a trentasei anni si veste con i gonnoni che mia mamma rifiuta di tenere in armadio persino per ricordo dei bei tempi andati, compra le borse al banchetto dei cinesi per sette euro, taglia i capelli una volta ogni due mesi e in maniera che per altri due possa metterli in piega da sola, senza parrucchiere d’obbligo, e quando lancia un’occhiata su ciò che le sta attorno le sue pupille assomigliano a quelle del contadino soddisfatto mentre controlla il bove che rumina placido, chiedendosi però sempre quanto mai gli costa il fieno; Miry di anni ne ha trentatrè, rimira il mondo con occhi a palla come una Carfagna in sedicesimo, cambia taglio e colore ogni dieci giorni, si infila in minigonne da panico e t-shirt corte sull’ombelico che spaventerebbero sedicenni smaliziate e ha sempre qualche nuovo corteggiatore palestratissimo, mariadefilippico e insuvvato da presentare e menare in giro, a mo di trofeo più che di compagno.

Quello che più marca la differenza è l’arredamento delle case in cui le due s’incastonano: Assunta ha un appartamento con Pietro, Miry vive ancora con i suoi, ma non proprio in casa: s’è ricavata una specie di mini per conto suo nella vecchia soffitta, con entrata quasi indipendente: non è proprio come abitare con i genitori, ma forse meglio: nel senso che quando ti serve, vivi da sola e mamma e babbo non hanno agio di metterci il becco, e quando non ti va, vivi con loro, ed è tutto un traffico di pasti cucinati dalla madre che salgono lungo le scale, incrociando ceste di biancheria che vanno giù, verso la lavatrice paterna. Nel suo angoletto Miry ci ha stipato i suoi mobili, scelti con la consulenza di una amica che non è proprio proprio arredatrice, perché in realtà fa la vetrinista part time nella boutiques dove lavora anche Miry, ma vorrebbe tanto diventarlo, arredatrice, perché tutti gli amici suoi, Miry in testa, le dicono che lei ha tanto gusto ed occhio per le ultime tendenze. Il buchetto di Miry è diventato un esperimento di design work in progress: per quanto piccino – quando si entra la porta cozza contro lo sportello del frigo (che poi frigo non è, è solo un coso che serve per tenere in fresco bottiglie di cola dietetica e qualche sparuta foglia di insalata) – sembra il riassunto di una stagione di Nonsolomoda. Cambia anche con la stessa velocità in cui cambiano le inquadrature della rubrica: perché sei mesi il foularone va sopra il divano e il cuscino arabescato per terra, perché siamo in pieno furoreggiare dell’etnoscìc, sei mesi dopo il foularone svanisce, ma in compenso il tavolo si sposta verso il muro, perché è arrivata l’onda fengsciùi o non so quale altra corbelleria orientale.

Ogni volta che Miry mette piede nella casa della sorella, va da sé che trasecola. Assunta ha un appartamento vecchiotto comprato con un mutuo nuovo. Anche se le stanze sembrano distribuite a caso con un tiro di dadi, non ha pensato neanche lontanamente di chiamare un architetto a rimetterle in ordine: ci si è adattata lei e ci si sono adattati anche i suoi mobili, che in larga parte, dato che non voleva spendere troppo, sono vecchi rimasugli di casa sua e di quella di Pietro: un divano un po’ sfondatino, solido e bruttarello come si facevano negli anni ’70, la libreria di quelle che si montano da soli, di un taglio tetragono come solo può venire in mente a dei protestanti norvegesi, un tappeto che è un tappeto, e onestamente su di lui non sapresti dire altro.

Miry questa scelta minimal l’ha sempre trovata aberrante, e criticata ad ogni visita: “Ma è squallida, questa casa fa orrore, non ha un minimo di personalità, non ha un tocco di fashion…” Almeno fino all’altro giorno, quando, dopo essersi vista qualche nuova puntata di Nonsolomoda ed aver conferito con la sua arredatrice si è precipitata a casa della sorella per proporle, dandole in cambio non so che cosa di casa sua, di prendersi il divano, quello mezzo sfondato e bruttarello, che Assunta ha recuperato all’epoca da casa della zia, dopo che Miry lo aveva scartato schifata.

Pare che adesso sia molto cool il “vintage”. E lei non se lo può perdere, no.

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