I dibattiti interessanti, spesso, nascono dai particolari, ed è giusto: se il Diavolo sta nei dettagli, è proprio sul piccolo dettaglio trascurabile che ciò che non si vuol dire si rivela. Lo sapeva bene il vecchio Sigmund, che i lapsus, e non gli occhi, sono lo specchio dell’anima.
Il mio post L’educazione televisiva ha avuto una valanga di commenti (tutti civili, per altro: grazie, fa piacere sapere di avere lettori intelligenti ed educati in questo blog).
Me l’aspettavo. In Italia la televisione è come il calcio, uno sport nazionale, e non a caso il massimo dell’italianità conclamata si raggiunge quando si guarda con gli amici una partita in tv.
I commentatori si sono divisi, grosso modo, in due partiti: chi condivideva l’assunto di base del mio articolo, e cioè l’osservazione – osservazione spicciola, priva di risvolti pesantemente moralistici, almeno da parte mia – che la mia generazione è venuta su davanti alla tv commerciale, e perciò ha assorbito inconsciamente una serie di modelli culturali che ora continua a mettere in pratica, spesso senza neppure accorgersene; e chi invece sosteneva che, se noi trenta/quarantenni ci siamo lasciati abbindolare dai modelli proposti dalla tv di allora (validi anche oggi, e anche un po’ peggiorati nel frattempo) non possiamo incolparlo ad altri, ma solo a noi stessi.
È divertente vedere come, partendo da un tema se vogliamo molto marginale – che si potrebbe riassumere in: “Se considero mitiche le tette di Tinì Cansino è per mio gusto personale o per colpa della società?” – si possono osservare riformarsi due correnti ideologiche che permeano il nostro mondo e lo dividono, e che potremmo a grandi linee definire sì, e a buon diritto,“di sinistra” e “ di destra”: è tendenzialmente di sinistra porre l’accento sul fatto che il “gusto” personale si forma attraverso la pressione sociale del gruppo, e che tale pressione è spesso così pervasiva da impedire all’individuo di sottrarvisi, quindi costringendolo a “scelte” che solo in apparenza, appunto, libere o addirittura tout court “scelte” sono; è tendenzialmente di destra, invece, ridurre tutto alla scelta dell’individuo, e quindi addossargli la esclusiva colpa (o accreditargli il merito) della sua riuscita sociale e/o umana.
Personalmente non condivido in toto nessuna di queste due impostazioni: tenacemente individualista, sono affezionata al concetto di responsabilità personale: vedere in ogni decisione dell’individuo soltanto un riflesso di ciò che la società gli impone è cosa che giudico umiliante: affranca dalla colpa, ma toglie anche ogni merito, ed io sono vanitosamente portata a considerare i miei successi come, almeno in gran parte, miei. Sono però ben conscia che il sistema di valori cui l’individuo fa necessariamente riferimento nell’atto in cui deve prendere una decisione per la sua vita non cade dal cielo, ma è il prodotto storico della società e della cultura in cui l’individuo è immerso: le azioni del singolo, in realtà, non sono astrattamente “buone” o “cattive” in sé, ma sono reputate “accettabili” o “non accettabili” dal gruppo umano in cui si è inseriti: per questo capita che l’omicidio, condannabile sempre se commesso dal singolo, non lo sia altrettanto se avvallato dallo Stato, per cui il boia della Contea o il soldato non sono considerati uomini dal comportamento riprovevole anche se ammazzano loro simili; che alle donne del gruppo sia consentito o non consentito un certo margine di liberà sociale e sessuale, e così via. Il collante della società e del gruppo umano è il bisogno di approvazione: il membro del gruppo che viola le regole in vigore sa che verrà emarginato dal resto di coloro che ne fanno parte: se ha una personalità abbastanza forte sopravviverà a questo isolamento, e potrà, tramite il proselitismo, ad esempio, addirittura ribaltare la situazione a costringere il gruppo ad adottare il suo stile di vita; altrimenti la selezione darwiniana farà il suo corso, e l’individuo emarginato sparirà dal contesto sociale, andando ad infoltire il gruppo dei visionari martiri e dei rivoluzionari falliti.
Pur avendo una certa simpatia per la visione individualista, sono anche conscia che essa si basa su una aporia iniziale, ovvero l’idea che l’individuo possegga in partenza un carattere così forte e determinato (ed informato sulle possibili scelte alternative da compiere) da poter decidere scientemente di sopravvivere alle pressioni sociali del gruppo, laddove egli ritenga che i valori del gruppo lo spingano a compiere azioni riprovevoli o anche solo inutili e sciocche. È una aporia che ci trasciniamo dietro fin dall’evo antico: se già gli Stoici dicevano convinti che il destino dell’uomo è il suo carattere, non era poi ben chiaro però come e perché questo carattere si fosse formato nel singolo, anzi proprio così e proprio in quel singolo particolare. Gli Stoici, e tutti i loro seguaci più moderni, hanno cercato di giustificare ciò con il determinismo, che oggi, di settimana in settimana, pare ricevere nuove conferme dall’individuazione di geni che, nell’opinione comune, diventano responsabili di ogni comportamento o inclinazione, dalla omosessualità alla tendenza alla scappatella coniugale.
Risolvere così l’aporia implicita è però darsi la zappa sui piedi da soli: o l’individuo in grado di opporsi alle regole della società nasce con una predisposizione genetica a farlo, e pertanto non si può parlare di vera e propria scelta da parte sua (fanbrodo anche il merito, quindi, e porte spalancate alle derive superomistiche di razze e individui superiori da selezionare in laboratorio), o l’individuo sviluppa la tendenza alla ribellione verso le regole perché la società a quel punto lo forgia a questo scopo, facendogli capire che è pronta ad approvare e seguire le sua ribellione: anche in questo caso il suo personale merito è quindi molto relativo – sarebbe circoscrivibile ad una forma di “intuizione” istintiva o addirittura di “illuminazione”mistica- e quindi siamo daccapo. In realtà, se le si va ad analizzare nel profondo, sia l’individualismo spinto sia l’idea della società che plasma sono due ideologie che, alla fin fine, non lasciano ai singoli grandi possibilità di scelta: se la società ci plasma in tutto e per tutto, non vi è spazio di manovra per una reale volontà individuale indipendente, e noi siamo esclusivamente ciò che le circostanze di noi fanno; se però si crede nella capacità del singolo di affrancarsi dagli influssi della società e di costruire le cose per sua esclusiva volontà o merito, indipendentemente dalle condizioni di partenza (il che vuol dire che se fallisci, sono cazzi tuoi, nella migliore tradizione liberista), si deve ammettere l’esistenza di individui di serie A, in grado di pensare autonomamente e di imporsi sigli altri per una qualche forma di intrinseca e non controllabile inclinazione, ed altri di serie B, douloi physei come direbbe Aristotele, cioè per natura pecoroni.
La via per tentare di uscire dall’impasse – sottolineo, tentare di uscirne, non risolverlo – è ragionare sui modelli culturali: la società propone all’individuo una serie di modelli culturali, alcuni minoritari altri largamente diffusi; garantendo all’individuo l’accesso alla conoscenza di questi diversi modelli, quindi dandogli la possibilità di entrare in contatto con loro indipendentemente dalle sue condizioni di origine, gli si offre la possibilità della scelta individuale. E ovvio che, perché ciò si realizzi, l’individuo deve essere in grado di capire che ogni modello culturale proposto è appunto solo questo, un modello fra i tanti possibili. É quindi necessario che l’individuo sia stato preventivamente istruito dalla società stessa che esistono una serie di modelli alternativi in concorrenza, e che è suo compito scegliere quello che ritiene più valido.
In realtà, in questo caso, siamo ancora in pieno impasse: una società di questo tipo, cioè democratica, è anch’essa fondata sul bisogno di approvazione e su un circuito chiuso: forgia individui che sono convinti di essere approvati come uomini di successo solo se scelgono consapevolmente quale fra i modelli proposti ritengano migliore. L’aporia non è risolta, solo abilmente mascherata: la possibilità per loro di scegliere fra vari modelli è data loro, ma questa scelta è consentita solo all’interno della impalcatura democratica della società, da cui non possono uscire se vogliono rimanere membri a tutti gli effetti del gruppo. Anche la democrazia è un paradosso, fondato su un assunto che non è, alla fin fine, democratico: ma non abbiamo saputo per ora trovare di meglio, e il meno peggio, in questo caso, è sempre più accattivante del peggio e basta.
Se mi è lecito:
sotto un titolo accattivante stavolta è arrivata davvero una badilata.
Con immutata stima
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Qualcuno diceva: “mi ritengo abbastanza civile da poter essere anarchico” . Tutto ruota infatti sul rispetto che si ha nei confronti dell’individuo.
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No, è richiesto qualcosa di più del “rispetto”, gians. Per dare all’individuo la possibilità di scegliere fra i modelli alternativi devo fin da piccolo fornirgli gli strumenti culturali della scelta, le informazioni che gli permettano di formarsi come individuo: garantire, insomma, a tutti la possibilità di partire alla pari. Non posso scegliere che mi piace la cioccolata se non ho mai avuto la possibilità di assaggiarla, o neppure so che la cioccolata esiste. L’individualismo è valido se io ho l’idea di un individuo già formato, con gusti e idee precise. Il problema è che gli individui, invece, sono dei lavori in itinere. E non solo quelli giovani, un po’ tutti. 🙂
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Concordo sulla badilata, e sento anche puzza di antropologia, di quell’antropologia tanto vituperata (in realtà ad essere sotto tiro fu l’antrolpologa).
La questione è rilevante, anzi, è quella che potremmo dafinire “la questione”.
Io rifiuto l’ipotesi deterministica e ritengo che sia il nostro libero arbitrio a orientare le scelte che il caso ci pone davanti.
Mi chiedo quale mai potrebbe essere non già il senso di un’esistenza, sempre incerto, ma anche la semplice sua ricerca, in un mondo in cui tutto è determinato, deciso, scritto.
Una certa teologia sostiene che il tempo esiste solo per noi mortali, mentre per Dio passato, presente e futuro sono tutti ugualmente attuali e noti, comprese tutte le scelte che noi crediamo di dover ancora fare.
Anche in questo caso che senso dare alla ricerca del bene in un mondo in cui tutto il bene e tutto il male coesistono una volta per tutte nell’eternità?
Questa volta mi sento di destra.
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Premetto che concordo su quanto dici, a patto che gli strumenti culturali siano per primi scissi da qualsiasi credo religioso o ideologico, o viceversa, e sarebbe opportuno, venissero forniti tutti e in eguale misura. Utopia? 🙂
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Siamo d’accordissimo sugli strumenti culturali scissi da qualsiasi religione… da qualsiasi ideologia anche, tranne, a questo punto, da quella democratica.. altrimenti i modelli culturali non sarebbero messi tutti sullo stesso piano. Era il paradosso all’origine del post: anche la democrazia è una forma di ideologia, in fondo. 🙂
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Discorso interessante ma pericoloso.
L’ unico modo di garantire che la società formi l’ individuo in un certo modo è l’ educazione extrafamiliare coatta, come in certi esperimenti del patto di Varsavia.E chi la praticherebbe poi questa educazione laica e non ideologica?
Preferisco accettare gli uomini per come sono: influenzati da migliaia di influssi (inclusi quelli religiosi o ideologici) ma sostanzialmente in grado di badare a se stessi.Magari non benissimo ma meglio di quanto sappian fare dei terzi.
Non ti sto accusando di aver proposto nulla di simile, solo mi sembra lo sbocco “naturale” di un discorso così impostato.
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1357 parole sono state necessarie per scrivere questo bel post, o meglio, questo bel saggio.
Per la verità, nonostante il raffinato e forbito uso del linguaggio, ad una prima lettura non ci avevo capito molto.
Solo “ che “ è tendenzialmente di sinistra porre l’accento sul fatto che il “gusto” personale si forma attraverso la pressione sociale del gruppo, e che tale pressione è spesso così pervasiva da impedire all’individuo di sottrarvisi, quindi costringendolo a “scelte” che solo in apparenza, appunto, libere o addirittura tout court “scelte” sono (49 parole); è tendenzialmente di destra, invece, ridurre tutto alla scelta dell’individuo, e quindi addossargli la esclusiva colpa (o accreditargli il merito) della sua riuscita sociale e/o umana (26 parole)” .
Assodato che chi è di destra tende a “ridurre tutto (sic!, poverini, sono un po’ limitati nello spirito)”, mi chiedevo cosa succedesse a chi non è di destra né di sinistra, ma mi sembrava marginale.
Ho anche imparato una parola nuova: Aporia, termine che, dal greco ἀπορία (passaggio impraticabile, strada senza uscita), nella filosofia del tempo indicava l’impossibilità di dare una risposta precisa ad un problema, poiché ci si trovava di fronte a due soluzioni che per quanto opposte sembravano entrambe apparentemente valide. Te ne ringrazio.
Ma continuavo a non capire.
Poi, con la risposta a Gians , la folgorazione: l’individuo non può scegliere se gli piace la cioccolata se non ha mai avuto la possibilità di assaggiarla, o neppure sa che la cioccolata esiste. La società dovrebbe dargli la possibilità di conoscere la cioccolata ma la società è formata da individui che non conoscono la cioccolata. Un vero dilemma! E pensare che esistono altre società dove la cioccolata la conoscono bene. E forse anche in questa società c’è chi la conosce ma vuol tenerla tutta per sé e ci fa vedere solo le tette della Cansini.
Eh sì, sono questi i temi fondamentali del nostro tempo! Come si fa a non scriverne in modo così puntuale? Mica come quelli che scrivono post con titoli piú lunghi del contenuto, tanto per vedersi in vetrina, e credono che il blog sia un posto dove conti soltanto il il look, come in discoteca. O, come quelle che sentono la necessità di vestirsi sexy come una soubrette del Bagaglino per sedurre un uomo.
Ma tanto abbiamo la scusa buona: è sempre colpa del solito Berlusconi.
Per la carità, sul proprio blog ognuno può scrivere come vuole e cosa vuole, però da povero vecchietto mi vien da pensare:
TAKE IT EASY, GALATEA!
Altrimenti tu “ ragazza fantastica…i carina, simpatica, quando vuoi persino sexy, e poi alla mano, intelligente, spiritosa, piena di senso dell’umorismo, affidabile, dolce, per giunta neanche particolarmente rompipalle sulle cose su cui voi donne rompete sempre” (dal tuo post ”Psicologia Maschile”) passerai molto tempo ancora per capire perché gli uomini non ti filano.
Viva le ZIZZE !!
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