Anche il buonismo ha i suoi limiti.

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Quando Sabrina entra nella pasticceria, di ritorno dalle vacanze a Miami, è sorridente e abbronzata. Non che sia un novità, lei lo è sempre. Ha denti enormi che ogni tanto biancheggiano in un riso da squalo. Si guarda in giro valutando con rapida occhiata gli avventori: anche questo un suo vezzo per capire se sono alla sua altezza, o quanto lo sono. Sabrina è da sempre convinta che io quasi mai so scegliere i bar e quasi sempre sbaglio le compagnie.

Frequenti una manica di sfigati depressi. Potresti trovare di meglio.” è di solito la sua acuta analisi. Sabrina, infatti, ha l’occhio del sociologo, ma un pragmatismo che Ilvo Diamanti se lo sogna: il mondo per lei si divide in due macrogruppi: i giusti e gli sfigati. Gruppi, peraltro, non ingessati, anzi molto mobili ed in continuo divenire. Scivolare dall’empireo alla gehenna della seconda categoria ci vuole un niente: un vestito sbagliato, un discorso che lascia intravvedere qualche comprensione verso gli altri. Per Sabri la selezione sociale è spietatamente darwiniana: dentro o fuori, in o out: le terre di mezzo vanno lasciate agli Hobbit, che tanto sono nanerottoli bruttarelli, quindi intrinsecamente sfigati pure loro.

Sabrina deve il suo nome ad un vecchio film con Audrey Hepburn, in cui la Audrey impersonava una ragazza inguaribilmente romantica e delicata, soffusa di malinconico tocco chic come solo lei riusciva a cucirsi addosso. Sabri, invece, è alta, bionda, un po’ legnosa nei movimenti; ha dei lineamenti non brutti, ma duri: il naso diritto, gli occhi piccoli, lo sguardo di chi non ha mai tempo da perdere neppure quando si concede di perderne un poco. Si veste bene e per farlo spende molto, perché non porta mai niente che non sia stato firmato da qualche stilista: ma tutto le sta addosso come se fosse una corazza o una divisa. Anche quando sfoggia la sua scollatura da brivido – ha un décolleté notevole, e ci mancherebbe, dato quello che lo ha pagato al suo chirurgo plastico – le tette paiono far parte dell’armatura. Lavora molto, fuma molto, cambia spesso uomini, che sceglie o perché momentaneamente la divertono o perché le possono essere utili: da sana ragazza del Nordest considera, professionalmente parlando, il sesso una delle tante voci di bilancio: quindi, alla fin fine, se non rende qualcosa non serve a nulla.

Non ho mai capito perché lei si consideri mia amica, ma, del resto, non ho mai capito perché io mi consideri amica sua. Sembriamo il giorno e la notte, il sole e la luna.

Alle volte penso di essere per lei una sorta di buona azione per lavarsi la coscienza, l’unico suo tentativo di affetto disinteressato, o la prova che cerca per dimostrare di avere un lato umano e sensibile, che le permette di frequentare me, a mezzo fra la madre badessa e l’educanda mite da redarguire perché troppo innocente ed ingenua nei confronti del mondo. A vedermi perennemente aggrovigliata in matasse di sentimenti, che affermo di non saper districare perché voglio essere buona con tutti, si diverte, si rassicura, è felice di sottolineare che il problema non la tocca, si sente superiore; del resto, a ben vedere, la uso per sentirmi superiore anche io, perché quando le sento fare i suoi discorsi tagliati con l’accetta ed improntati al più insensibile ed abbietto utilitarismo, sotto sotto godo a soffrire perché ciò comprova che possiedo un’anima: la bontà è una forma di vanità mascherata.

Siamo complementari, come le facce sui lati della medaglia; forse, dopo tanti anni, siamo anche fisse come quelle facce: ognuna ha il suo ruolo, e da lì non riusciamo ad uscire. I nostri incontri sono fatti di battute già note su un canovaccio prevedibile. Lei provoca, io mi scandalizzo, lei offre soluzioni semplici, io semino dubbi sulla loro reale praticabilità in un mondo che è così tanto complesso, e quando ci lasciamo entrambe siamo rassicurate di essere nel giusto, perché Sabrina è convinta che io sia solo capace di crear problemi per il gusto di farlo, e io che lei non sia mai in grado di comprenderli fino in fondo, dato che la sua visione della vita ha la profondità di una carta velina.

Tu pretendi troppo dalle persone. Vuoi costruirci sempre qualcosa. Le persone non sono così. La maggioranza, fidati, sono stronze. Si può solo usarle fin tanto che ti servono, e poi arrivederci.”

Però quando riesci a trovarne qualcuno che non lo è, è bellissimo.”

Prima o poi lo sono tutti. Magari non lo sembrano, ma gratta gratta viene fuori, è solo questione di tempo.”

Sei egoista e molto cinica, Sabri. Forse così non soffri, ma neppure riesci mai da essere davvero felice.”

Lei mi guarda, seria, i denti bianchi non squaleggiano più in un sorriso: “Sì, è vero, non sono felice. Ma perché, al mondo c’è qualcuno che mai lo riesce ad essere, in qualsiasi modo ci si comporti, in fin dei conti?”

Il mio ruolo, a questo punto, prevedeva che prorompessi in un “Nooo! Cosa dici!” vibrante di scandalo.

Ma sono ipocrita fino ad un certo punto.

6 Comments

  1. Anche se in questo caso sei parte in causa(prova per un momento a pensare di non essere tu il contrario di Sabrina), secondo te, appunto perchè parliamo di due opposti, pensi che il giusto mezzo tra i due esista? io nella mia esperienza devo ancora trovare un/a opportunista felice e un/una buono che non soffra per la sua sensibilità…

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  2. “Le persone non sono così. La maggioranza, fidati, sono stronze”

    è un modo un po’ stronzo di giustifcare la propria stronzaggine e l’esser parte di una maggioranza.

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