L’educatrice

La professoressa Chiarobon è una di quelle iatture che purtroppo ti capitano. Non comprendi perché capitino a te, ma te le ritrovi addosso come una maledizione, e l’unico motivo logico che alla fine riesci a darti è che nelle tue esistenze passate devi aver fatto davvero qualche schifezza immensa. Che non immagini nemmeno cosa possa essere, dato che la punizione è la Chiarobon, ma proprio perché la punizione è la Chiarobon deve essere stata una azione immonda, quindi è meglio non sapere.

Mi perseguita dalle medie. Che non ho fatto in classe con lei, per fortuna, perché ero in un’altra sezione. Ma questo particolare non ha mai fermato la professoressa Chiarobon, che, in quanto professoressa, ha sempre considerato tutti gli esseri umani come suoi alunni, ed essendo gli esseri umani essenzialmente dei peccatori, ha sempre considerato tutti gli alunni come peccatori all’ennesima potenza, che andavano perciò tenuti sotto controllo con tecniche affini a quelle della Stasi.

Me la ricordo girare come una trottola nei corridoi della scuola, al catechismo in parrocchia, nei cortili, nei campetti di calcio o di basket, nei giardini e financo nelle piazzette e negli anfratti sotto casa, inesausta, ad inseguire ragazzini o torchiare i loro amici, onde estorcere informazioni, per far loro interminabili prediche se niente niente sospettava che avessero commesso qualche infrazione al Regolamento. Non al regolamento della scuola, no: a quel regolamento supremo, una specie di noumeno platonico di Regolamento Eterno, che la professoressa Chiarobon aveva ed ha scolpito nella sua testa, manco fossero le Dodici Tavole incise nel granito, e di cui è Unica Custode e Apostola in servizio permanente. Deve essere ubiqua e trina, anzi riuscire proprio a clonarsi e non invecchiare, perché è dappertutto: a scuola te la ritrovi in ogni singolo comitato, commissione, sottocomissione, incontro interclasse; a Spinola in qualsiavoglia associazione, gruppo, consulta che abbia vagamente a che fare con gli adolescenti o i ragazzi, o i giovani in senso lato. La professoressa Chiarobon, insomma, è un po’ come il socialismo scandinavo di una volta: ti segue non dico dalla culla alla tomba, ma dall’asilo all’Università di sicuro. Per la verità, più che seguirti, fisicamente ti pedina.

L’altra sera sono finita con lei in uno dei tanti comitati cui i Presidi inviano come rappresentante della scuola l’ultima arrivata in ruolo, perché tutti gli altri insegnanti sono così furbi dal prepararsi una scusa credibile per evitarli. Questo si occupa dell’educazione alla salute per i giovani, e la professoressa Chiarobon, ancorché ormai da un anno pensionata, ne è naturalmente presidentessa in carica permanente. Dopo aver presentato un progetto per una campagna antifumo che, se dovesse essere fatto in classe come prevedere lei, in pratica costringerebbe gli insegnanti a lasciar perdere quelle inutili bazzecole che sono la grammatica, la lettura e lo scrivere temi per ridurli a ripetere ogni ora come un mantra che il fumo fa male, la professoressa Chiarobon, ohibò, non era ancora soddisfatta.

“Naturalmente – ha chiosato – tutto questo non basta! Parlare a scuola ai nostri alunni non è sufficiente, è ovvio che noi dobbiamo pensare ad una forma di educazione permanente, dobbiamo sentirci coinvolti non solo durante l’orario scolastico, ma anche fuori dalla scuola! E’ ovvio che se per caso il pomeriggio incrociamo in giro uno dei nostri alunni che magari sta fumando una sigaretta in pubblico, è nostro dovere intervenire fattivamente, chiamare subito i genitori per avvertirli di cosa fa il loro figlio!”

Io, che già da una quarantina di minuti stavo soffrendo le pene dell’inferno per evitare di sbottare brutalmente alla sequela di stupidaggini che mi toccava sorbirmi, non ho retto più.

“No, scusa, fammi capire…cioè io sono in giro per i fatti miei che faccio magari la spesa, per puro caso incrocio un mio alunno, vedo che sta fumandosi una cicca in santa pace senza dar fastidio a nessuno e dovrei non solo sentirmi autorizzata a rompergli le balle per strada con un predicozzo, per cui avrebbe tutte le ragioni del mondo a rispondermi di farmi i cazzi miei, ma addirittura dovrei convocare il giorno dopo i suoi genitori per dire loro quello che per caso mi è capitato di vedere?”

La professoressa Chiarobon si è voltata elargendomi uno sguardo che è difficile da descrivere, e, se non lo si è visto, anche solo da immaginare. Un misto di alterigia sprezzante verso la giovin collega, unita alla feroce riprovazione di chi si sa tenutario dei più alti valori, il tutto condito con il rancore di chi pensa: “Lo sapevo io che questa la dovevo stroncare quando era piccola, perché si capiva già da allora che avrebbe preso una brutta piega!”.

“Certo che è nostro dovere convocare i genitori e dirglielo! Io mi sento moralmente tenuta a segnalare ai genitori quello che i ragazzi fanno durante il giorno, anche se non sono a scuola, perché io non sono un’insegnante, sono un’educatrice!”

L’ho guardata. E giuro, mi è scappata prima che potessi frenarmi:

“Ah, perché, si chiamano educatrici, adesso?”

Ovviamente è un racconto di fantasia che non descrive situazioni o personaggi reali. Ma figuriamoci se esistono professori così frustrati da ritenersi in diritto di tormentare gli alunni con le loro paranoie moraliste…

6 Comments

  1. la prossima volta, previo registratore, poni la questione della masturbazione (magari alla presenza dell’immancabile esperto, cioè il prete locale), quindi sbobina e pubblica. quella sì che sarebbe roba forte

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  2. Ma guarda che combinazione! A me, la professoressa Chiarobon, m’ha sorpreso di notte nella tenda d’una mia coetanea, quando avevo dodicianni [non so se si possa scrivere così, ma non ho voglia di controllare – ndc] ed è corsa subito a fare la delatrice al prete, ottenendo la mia espulsione “magna cum onta” dal campeggio, previa assise del comitato parrocchiale al gran completo, in sede inquirente e giudicante, non senza però prima averlo previamente riferito a mio padre (bigottissimo, buonanima) che, quando son tornato a casa, m’ha riempito ben bene di cinghiate. Quanto la amo!

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