Romani e Barbari. O forse no

Barbari. Che poi a chiamarli “Barbari” si fa presto, e nella mente si stampa una immagine ben precisa. Gente rivestita di brache e pellicce, con in testa un elmo cornuto, sulla faccia i baffi folti e i capelli lunghi, trattenuti in trecce unte di burro rancido. Gente che puzza come i cavalli con cui dividono la vita, perché, nelle capanne di sterpi dove abitano, i cavalli stanno dentro assieme alle mogli e ai figli e sono trattati uguali. Forse un po’ meglio, perché i cavalli non si vendono, mentre le mogli e i figli per fame sì. Gente che vive negli sconfinati margini dell’impero, in posti che sfumano nel nulla; fra selve oscure di notte e di giorno, dove c’è soltanto freddo, miseria, desolazione, e ogni tanto un villaggio di poche capanne, in cui loro, i Barbari, grugniscono nelle loro lingue incomprensibili qualcosa che a stento e solo a loro può sembrare una parola.

Nel nostro immaginario, che dipende spesso dalle illustrazioni del sussidiario delle elementari, l’iconografia del Barbaro è quella, mentre il Romano è tutto diverso. È un bel signore sbarbato e fiero, con i capelli corti acconciati sul capo in ordine meticoloso, che indossa una toga lavata di fresco. Profuma di bucato, il Romano, lo senti persino se guardi solo la figura: del resto eran tipi che andavano in Senato alla mattina e alle Terme il pomeriggio, i Romani, e ad ogni passo avevano una pletora di schiavi che gli facevano cadere il mantello come si deve, perché non si strascicasse sul selciato. Il Romano, per noi, nell’immaginario, è Giulio Cesare, è Augusto, tizi che nascono nel quadrilatero più chic dei sette colli e discendono in linea retta dagli dei, e mica da dei qualunque, dai più belli e fighi dell’Olimpo, Venere e Marte. Mentre il Barbaro, il Barbaro, chi è? È un Attila che arriva dalle steppe dormendo in sella al suo cavallo, fra le cui cosce tiene la carne a frollare, e si tagliuzza le guance quando è ancora un bimbo per evitare di doversi fare la barba quando è adulto.

Solo che poi, se ti prende l’uzzolo di andarle a leggere davvero, le biografie di questi Barbari, qualche moto di sorpresa ce l’hai. Scopri infatti che, al di là di quello che t’han fatto vendere disegnato sul sussidiario delle elementari, quei Barbari lì tanto Barbari poi non erano, o almeno non lo erano così tanto, e forse non erano così diversi da quelli che siamo abituati a considerare romani.

Prendiamo Alarico, re dei Visigoti. Difficile immaginare qualcuno più Barbaro di lui, così Barbaro da essere noto per il Sacco di Roma. Eppure Alarico, prima di prendere l’Urbe e lasciarla tre giorni in balia delle sue truppe, con Roma aveva convissuto, più o meno tempestosamente, per una quindicina d’anni, alternando i periodi in cui lavorava come mercenario al soldo dell’impero a quelli in cui tentava colpi di mano con la sua piccola armata di fedelissimi. Alarico non è uno che vuole distruggere l’impero, casomai ha una gran voglia di scalarne le gerarchie. Lancia attacchi, fa razzie, ricatta, fintantoché il governatore romano della provincia in cui si trova, o l’imperatore stesso, non gli concedono il titolo di magister militum di quella data provincia e territorio. Quando prende Atene si insedia in una villa nei sobboghi, probabilmente menando una vita simile a quella dei precedenti proprietari romani cui l’ha espropriata: è rozzo, ma non è incivile.

Le sue bande di mercenari hanno condiviso con l’esercito regolare romano qualche battaglia e forse fatto con i legionari parte dell’addestramento militare. Parla latino, forse non così tanto da scrivere poemi, ma certo da dettare da solo e senza bisogno di interprete le lettere per comunicare ai Romani le sue condizioni. È un tipo di scarsa pazienza, Alarico. Ma non è nemmeno colpa sua, in fondo. Vede che i Romani che stanno all’apice del potere a Roma non sono poi così diversi da lui per origine. Il generalissimo che lo sconfiggerà più volte, Stilicone, così ben ammanicato a corte che ha sposato la figlia dell’imperatore Teodosio, è un barbaro, come lui. Certo, di seconda generazione, e un po’ più ripulito: uno che sa parlare latino bene perché ha fatto le scuole nell’Urbe, e veste solo con la toga. Ma di stirpe romano né più né meno di lui. E poco romani, secondo i criteri che pensiamo noi moderni, sono metà degli imperatori saliti al soglio in quegli anni. Arcadio, figlio di Teodosio, e imperatore d’Oriente in carica, è sposato a Elia Eudossia, a sua volta figlia del generale Bauto, un Franco. Alarico non capisce perché, se un Franco può diventare suocero dell’imperatore, e un altro barbaro ne può diventare il genero, lui non ne possa diventare almeno cognato. Non gli riesce perché la morte lo coglie prima, sotto forma di una malattia improvvisa che lo ghermisce a Cosenza. Ma il fratello Ataulfo, succedutogli, corona il sogno: l’imperatore Onorio, anche se obtorto collo, è costretto a dargli in moglie la sorella Galla Placidia.

Alarico era certo meno raffinato di quegli immigrati di seconda generazione che nella corte imperiale ormai pullulavano come generali e consiglieri. Pensa a Roma come un osso da spolpare, cui ciucciare soldi e prebende, con le buone o con le cattive. Ma non la vuole abbattere, e distruggere men che meno. A suo modo, un modo rozzo e vago, vuole farne parte. Sogna un titolo da patrizio, una moglie romana di sangue reale, o almeno la sogna per il fratello minore, per avere discendenti che possano entrare a corte come parenti dell’imperatore in carica, mentre lo zio si gode la pensione da alto papavero e le laute prebende delle regioni di cui è riuscito a farsi nominare governatore. È un parassita, forse, ma come tutti i parassiti non ha alcuna convenienza che il suo ospite crepi. Se non fosse che l’impero è ormai al collasso per tanti altri motivi, Alarico e la sua discendenza nel giro di una generazione o due sarebbero stati probabilmente riassorbiti, avrebbero finito col sentirsi anche loro Romani al pari di tutti gli altri. Così come perfettamente romano si sarebbe sentito il figlioletto nato da Galla Placidia e Ataulfo, morto ancora infante poco prima che una congiura di cortigiani ammazzasse Ataulfo stesso a tradimento. Si chiamava Teodosio, il piccolo, come il nonno materno. Contando gli ascendenti materni e paterni, avrebbe avuto almeno metà di sangue barbaro nelle vene.

17 Comments

  1. e quindi? scusa ma stavolta non capisco il senso del post – oltretutto, quello che dici è non-corretto. certo che DOPO che alcuni barbari hanno vissuto per anni nell’impero, o magari ne sono figli (barbari di seconda generazione, come dici tu), non sono così diversi dai romani “originali”. e allora? la differenza coi “barbari” stava nella loro vita FUORI e PRIMA dell’impero – per capirci, nel periodo in cui a Roma si costruivano terme ed acquedotti che usiamo ancora oggi, e Berlino se la contendevano orsi contro cinghiali. c’erano poi “barbari” e “barbari”: i Parti, ai confini orientali dell’impero, erano anch’essi stranieri, ma non per questo definiti rozzi o bestiali – gli unni e i goti invece erano sia l’uno che l’altro, non a caso invadono Roma per le sue ricchezze e le sue belle strade, invece di costruirsene di proprie a casa loro.
    se stai cercando di fare un parallelo con la situazione degli attuali immigrati, bé, allora forse l’esempio andava portato in un altro modo, anche perchè così non mi sembra che calzi un granché.
    clà

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  2. Una bella pagina di Storia (con la esse maiuscola). E ho imparato particolari che non conoscevo. Ma se é metafora, allora tutto è Caduta dell’Impero. Del Male, però. E all’orizzonte non c’é neppure uno straccio di Indiana Jones!

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  3. Rimango sorpreso dall’esternazione di Claudio. Per i Romani, come già per i Greci, tutto ciò che non era romano, era barbaro; e ciò, a prescindere che si trattasse di Unni (notoriamente temuti per la loro natura assai selvaggia), o di Parti (probabilmente assai più raffinati degli stessi Romani) ovvero di Goti (non così “barbari” come una certa storiografia del ventennio, celebrativa d’una supposta superiorità della romanità sugli altri popoli, ci ha abituati a pensare).
    Molto interessante, in merito alla continuazione “di fatto” della romanità nei successivi regni barbarici, dopo la caduta dell’impero d’occidente e almeno sino al dilagare dell’Islam (vero punto di svolta rispetto al Medioevo), è l’ormai classico “Maometto e Carlomagno” di Pirenne.

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  4. @Claudio
    mi permetto di rispondere alla tua osservazione:

    stai cercando di fare un parallelo con la situazione degli attuali immigrati

    se c’è una similitudine non è tra gli antichi barbari e i gli attuali immigrati. Se rileggi ci arrivi da solo.
    @galatea
    bello 🙂

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  5. @claudio: il post voleva sottolineare come spesso dei Barbari abbiamo un’immagine stereotipata, che, a ben vedere, è la stessa che poi porti tu: Unni e Goti come tribù assolutamente prive di contatti con i Romani e con la civiltà prima di entrare nell’impero a far danni con le loro bande. Solo che non era così. I Goti entrano nell’Impero Romano come mercenari ben prima del 378, e fra i generali romani che vengono inviati ad Adrianopoli, ci sono un Sarmata e diversi Germani; pattuglie di mercenari Unni erano in regolare servizio nella provincia di Cirene, e anzi Sinesio (all’epoca solo senatore e non ancora vescovo) ne era contentissimo, e li elogiava come ottime truppe per tenere a bada le scorrerie dei Berberi. Lo stesso Attila non è escluso che abbia avuto contatti con i Romani prima di arrivare in Italia come flagello di Dio (dove per altro arrivò dietro invito e sperando di sposare una delle sorelle dell’imperatore), edi certo molti degli Unni del suo esercito avevano militato almeno per qualche anno nell’esercito romano. Mentre a Roma si costruivano terme, a Berlino c’erano ancora villaggi in paglia, ma gli abitanti, con tutto che avevano stangato i Romani a Teutoburgo, commerciavano regolarmente con loro, capivano bene o male il latino, e metà dei legionari, fra l’altro, lungo le frontiere, prendeva come concubine donne del posto. Quanto ai Goti che invadono Roma perché non sanno costruire belle città a casa loro, be’ anche qua è una visione un po’ stereotipata. Le migrazioni gotiche sono causate dal fatto che molti di loro non avevano più una terra dove restare, un po’ per l’arrivo e la spinta dei popoli delle steppe alle spalle e un po’ per un concomitare di piogge torrenziali e carestie. Sono profughi che arrivano a spingere per entrare nell’impero perché hanno fame, non perché vogliono distruggerlo, e si accalcano dopo aver fatto il viaggio su zattere e su carri di fortuna. Le analogie con il presente di sicuro ci sono, fra l’altro, anche se non erano poi neppure il principale motivo del post.

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  6. Dal post ho finalmente capito che i tanto vituperati barbari erano in realtà molto meno cialtroni dei nostri attuali leghisti padani. 🙂

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  7. @ Claudio: più che altro, negli ultimi anni dell’impero d’occidente non penso che ci fosse una differenza enorme tra il romano medio e il goto medio; le produzioni artistiche del periodo tardo-antico sono altamente stilizzate ed è difficile trattenersi dal definirle “barbariche”. Se pensiamo poi che nell’alto medioevo uno dei più importanti centri di cultura europea è stata l’Irlanda (un territorio che non ha mai subito la dominazione romana…).

    Ma anche la differenza tra barbari e greco-romani in epoca precedente (cioè al fulgore della storia di Atene, e poi di Roma) è meno stereotipata di quello che si può pensare. Le popolazioni celtiche della gallia narbonense non erano poi etnicamente e linguisticamente tanto diverse da latini e sabini, e i galli erano considerati dai romani pigri, infidi ma grandi oratori, piuttosto che “selvaggi”. Le popolazioni semitiche dell’Anatolia (i lidi ad es.) e quelle indoiraniche nomadi (come gli Sciti) erano famose per la loro ricchezza. Le tribù germaniche erano probabilmente quanto più di simile esista al concetto attuale di “barbari”; ma nel corso dei secoli si integrarono nell’apparato militare dell’impero.

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  8. io non metto in discussione che i barbari fossero ottimi guerrieri (galatea) (presi singolarmente: la battaglia di teutoburgo l’hanno vinta perchè guidati da un generale che aveva combattuto nell’esercito romano, e quindi non è assolutamente farina del sacco delle strategie militari barbare, che un granché non sono mai state) né che, NEL PERIODO TARDO (cachorro), ci fosse una gran differenza fra romano medio e barbaro medio.
    ma voi fate una gran confusione fra un periodo tardo, in cui la differenza non c’è PIU’ perchè I BARBARI HANNO PRESO MOLTISSIMO DAI ROMANI, ed un periodo precedente, in cui la situazione è ben diversa, ed è (casualmente) molto più simile a quella che descrivo io.
    questo per quanto riguarda galatea. cachorro ha ovviamente ragione a sottolineare la differenza fra “barbari” e “barbari” (che metto in luce anche io nella prima risposta) e sono d’accordo nell’identificare con le popolazioni germaniche quelle che più corrispondono alla nostra idea di barbaro.
    quello che continuo a non capire è il senso del post. cioè che “i barbari non erano poi così barbari, guarda che dopo 3 secoli di convivenza si lavavano anche loro (e non volevano distruggere l’impero e blablabla)” non mi sembra un granché profonda come conclusione.
    o sono io che me ne perdo un pezzo?

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  9. @claudio: guarda che io parlo nel post del periodo Tardo Antico, specificatamente dell’età di Teodosio e degli anni immediatamente successivi, in cui vivono Alarico e Galla Placidia, appunto.

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  10. tu dici che:
    “Barbari. Che poi a chiamarli “Barbari” si fa presto, e nella mente si stampa una immagine ben precisa. Gente rivestita di brache e pellicce, con in testa un elmo cornuto, sulla faccia i baffi folti e i capelli lunghi, trattenuti in trecce unte di burro rancido. Gente che puzza come i cavalli con cui dividono la vita, perché, nelle capanne di sterpi dove abitano, i cavalli stanno dentro assieme alle mogli e ai figli e sono trattati uguali. Forse un po’ meglio, perché i cavalli non si vendono, mentre le mogli e i figli per fame sì. Gente che vive negli sconfinati margini dell’impero, in posti che sfumano nel nulla; fra selve oscure di notte e di giorno, dove c’è soltanto freddo, miseria, desolazione, e ogni tanto un villaggio di poche capanne, in cui loro, i Barbari, grugniscono nelle loro lingue incomprensibili qualcosa che a stento e solo a loro può sembrare una parola.”

    e poi:
    “Solo che poi, se ti prende l’uzzolo di andarle a leggere davvero, le biografie di questi Barbari, qualche moto di sorpresa ce l’hai. Scopri infatti che, al di là di quello che t’han fatto vendere disegnato sul sussidiario delle elementari, quei Barbari lì tanto Barbari poi non erano, o almeno non lo erano così tanto, e forse non erano così diversi da quelli che siamo abituati a considerare romani.”

    ecco.
    secondo me però –>
    periodo classico: prima frase VERA, seconda FALSA.
    periodo tardo: prima frase (NON PIU’) VERA, seconda VERA (INSOMMA).

    cioè, c’è un po’ di casino. la nozione dei barbari “barbarici” non è mica falsa, è solo non sempre vera, ed è questo che non mi torna del tuo post.

    clà

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  11. @claudio: ma il senso del post era proprio quello che dici tu. Nell’immaginario collettivo i Barbari sono quell’immagine stereotipata da sussidiario delle elementari, cioè esseri rozzi e grezzi, che vivevano ai confini dell’impero e non avevano avuto nessun contatto con i Romani e la civiltà finché non hanno invaso l’impero. E’ una immagine stereotipata e che non è tanto vera neppure per la prima età imperiale, figuriamoci dopo. Perché i cosiddetti “barbari” erano assai meno rozzi di quanto si pensi e perché poi, in periodo tardo antico, ,ormai erano spesse volte assai romanizzati, persino quelli che non erano “dentro l’impero” o immigrati di seconda generazione. Alarico è un esempio di questo. Spero che ora ti sia più chiaro cosa sostenevo nel post.

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  12. sì, ma penso ancora che sia tremendamente sbagliato. vivo in germania da 4 anni e ti posso assicurare che i tedeschi sono dei buzzurri ancora oggi, fra spaghetti lanciati contro il muro (per vedere se sono cotti) e niente bidet, figurati duemila anni fa!
    barbari erano e barbari moriranno, ahimé, non ci sono speranze 🙂
    clà

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